lunedì 23 febbraio 2009

Paolo e l'annuncio del "mistero"

La settimana scorsa si è svolto a Roma, in occasione dell'Anno paolino, un convegno internazionale dal titolo "Sulle orme di Paolo". Il convegno era organizzato dalla Famiglia paolino-zaccariana (Chierici regolari di san Paolo, Angeliche di san Paolo e Laici di san Paolo), per l'occasione integrata dal Movimento giovanile zaccariano e dagli istituti di vita consacrata di ascendenza barnabitica (Famiglia dei Discepoli, Figlie della Divina Provvidenza, Suore del Preziosissimo Sangue, Piccole Operaie del Sacro Cuore, Missionarie di Santa Teresina, Discepole del Crocifisso). Complessivamente, circa trecento convegnisti. Oltre alle celebrazioni liturgiche alle Tre Fontane, a San Carlo ai Catinari e a San Paolo fuori le mura, il convegno è consistito in tre relazioni, affidate rispettivamente a Mons. Gianfranco Ravasi e ai barnabiti P. Giovanni Rizzi e P. Filippo Lovison. Mercoledí scorso i convegnisti, a cui si erano aggiunti centinaia di pellegrini giunti appositamente per l'occasione da ogni parte d'Italia, hanno partecipato all'udienza generale. Ma, sappiamo, quel giorno le attenzioni di tutti erano appuntate su Nancy Pelosi...

Purtroppo, non ho avuto la possibilità di partecipare al convegno. Il Padre Generale, però, mi ha chiesto di rendermi presente attraverso una testimonianza scritta, che è stata letta in aula. Mi permetto di riportare la parte finale del mio intervento, perché penso possa essere di interesse generale.

Qualcuno ha chiamato Paolo “fondatore del cristianesimo”: non lo credo; ma certamente egli ha svolto un ruolo essenziale nell’elaborazione della dottrina cristiana. Un ruolo che forse oggi andrebbe riscoperto. Ho l’impressione che ai nostri giorni, a parte i discorsi ufficiali, di fatto si corra il rischio di snaturare il cristianesimo. Anche se ci riempiamo la bocca di “cristocentrismo”, di fatto poi, soprattutto teorizzando e praticando un poco illuminato dialogo interreligioso, rischiamo di mettere da parte la centralità e l’unicità di Cristo a favore di presunte vie di salvezza alternative. In particolare, nei rapporti con l’ebraismo, si sta diffondendo nella Chiesa (non solo fra qualche teologo indisciplinato, ma fra le stesse gerarchie) una inquietante tendenza a metter sullo stesso piano le due alleanze, quasi fossero intercambiabili, quasi che gli ebrei possano avere accesso alla salvezza a prescindere da Cristo, annullando cosí qualsiasi novità della seconda alleanza rispetto alla prima. E non ci si accorge che in tal modo si uccide il cristianesimo. Credo che proprio qui stia l’essenza del messaggio paolino, la rivelazione che il nostro Apostolo ha ricevuto, la grazia che gli è stata concessa. Tra gli innumerevoli testi che si potrebbero citare, mi sembra centrale il terzo capitolo della lettera agli Efesini, dove Paolo parla della sua comprensione del mistero di Cristo. In che cosa consiste tale “mistero”? “Che le genti sono chiamate, in Cristo Gesú, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo, del quale io sono divenuto ministro secondo il dono della grazia di Dio, che mi è stata concessa” (Ef 3:6-7). Penso che in tale testo ci sia “tutto” Paolo. Se vogliamo essere paolini, questo passo deve diventare il nostro manifesto. Il carisma di Paolo (la “grazia di Dio che mi è stata concessa”) consiste nell’essere “ministri del Vangelo”; e il Vangelo consiste nell’annuncio del “mistero”; e il mistero consiste nella vocazione di tutti gli uomini alla medesima salvezza nella medesima Chiesa. L’unicità di Cristo è il cuore del Vangelo; l’universalità della salvezza è un tratto fondamentale del cristianesimo; la cattolicità della Chiesa è una delle sue note costitutive. Se vogliamo essere paolini, non solo di nome, ma di fatto, dobbiamo penetrare e vivere questo mistero.