domenica 13 settembre 2009

XXIV domenica "per annum"

«Egli domandava loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo” ... E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto...».

Potrebbe sembrare che ci sia una forte opposizione tra la prima e la seconda parte del Vangelo odierno. E in effetti la c’è; nella mentalità di Pietro, dei discepoli, dei giudei in genere (e, diciamolo pure, nella nostra mentalità), che Gesú sia il messia e che egli debba soffrire sono due affermazioni pressoché contraddittorie: se Gesú è il messia, non può soffrire; se deve soffrire, non è il messia.

È per questo che «Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo». Egli non ha difficoltà a riconoscere in Gesú il messia; quel che non può accettare è questa prospettiva di sconfitta, inconciliabile con le sue — e le nostre — attese.

Ma per Gesú non esiste alcuna opposizione fra le due affermazioni. Egli non rifiuta la confessione di Pietro (semplicemente, chiede ai discepoli di non mettere in giro la voce, perché nessuno avrebbe capito), ma spiega che tipo di messia egli è: diverso dalle loro aspettative; non un messia glorioso, potente, vittorioso, ma un messia sofferente.

Già questo era sconvolgente per chiunque. Come se non bastasse, Gesú non si limita a parlare di sé; aggiunge qualcosa anche per quanti lo seguono. Siccome il messia sarà un messia sofferente, anche i suoi discepoli sono chiamati a condividere lo stesso destino:

«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».

Pensiamoci seriamente, quando decidiamo di porci alla sequela di Cristo: che cosa ci attendiamo? Il successo, il potere, la gloria? Dovremmo sapere fin dall’inizio che innanzi a noi c’è solo una croce. I discepoli di un messia sofferente non possono che essere, essi stessi, “discepoli sofferenti”.