mercoledì 6 aprile 2016

Sull'intervista di Papa Benedetto



Mi è stato chiesto di esprimere un parere sull’ultima intervista di Benedetto XVI, contenuta nel volume Per mezzo della fede. Dottrina della giustificazione ed esperienza di Dio nella predicazione della Chiesa e negli Esercizi Spirituali, a cura del gesuita Daniele Libanori (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2016), che raccoglie gli atti di un convegno teologico sulla giustificazione svoltosi a Roma, presso il Gesú, nell’ottobre 2015. Durante il convegno il testo dell’intervista è stato letto da Mons. Georg Gänswein. Autore dell’intervista è il gesuita Jacques Servais, allievo di Hans Urs von Balthasar e studioso della sua opera. 

L’intervista ha avuto una certa risonanza, perché, nei tre anni trascorsi dalla sua rinuncia, il Papa emerito ha sempre mantenuto un grande riserbo. Come mai, allora, questa volta ha accettato di farsi intervistare? Non lo ha fatto certo nella veste di Papa emerito, ma esclusivamente in quella di teologo. Joseph Ratzinger non ha mai cessato di essere teologo, neppure negli oltre vent’anni trascorsi al Sant’Uffizio o negli otto anni di pontificato, anche se, per ovvi motivi, le sue maggiori attenzioni erano necessariamente assorbite da altre incombenze. Si ha l’impressione, leggendo l’intervista (come del resto leggendo i libri da lui scritti quando era Papa), che nel discutere questioni teologiche si senta perfettamente a suo agio: è il suo mondo, è il suo mestiere. La stessa rilassatezza e spontaneità non si percepiva invece quando, durante il pontificato, era costretto a gestire situazioni estremamente delicate. Non che non abbia svolto egregiamente le sue mansioni pastorali; solo, si sentiva che per lui doveva essere una grande sofferenza, accettata unicamente per obbedienza e in spirito di servizio alla Chiesa: se fosse dipeso da lui, avrebbe certamente preferito dedicarsi ai suoi studi e al dibattito teologico.

Mi sono soffermato su questo aspetto perché mi sembra importante per dare il giusto valore all’intervista: è l’intervento di un teologo a un convegno teologico. Sono pertanto del tutto fuori luogo alcune interpretazioni che pure ne sono state date: titolare, come faceva il Corriere della sera del 15 marzo, “Il sostegno a sorpresa del Papa emerito alla linea indicata da Francesco” significa stravolgere completamente il senso dell’intervista. Le uniche parole che si riferiscono all’attuale Pontefice sono le seguenti: «Papa Francesco si trova del tutto in accordo con questa linea. La sua pratica pastorale si esprime proprio nel fatto che egli ci parla continuamente della misericordia di Dio». Benedetto XVI sta descrivendo quello che lui chiama un “segno dei tempi”, vale a dire il fatto che, ai nostri giorni, «l’idea della misericordia di Dio diventi sempre piú centrale e dominante» (poco piú avanti farà un’affermazione teologicamente assai interessante: «Mi pare che nel tema della misericordia divina si esprima in un modo nuovo quello che significa la giustificazione per fede»). Per descrivere questo approfondimento della dottrina cattolica della giustificazione, il Papa emerito parte da Santa Faustina, per passare poi a Giovanni Paolo II e arrivare infine a Papa Francesco, che «si trova del tutto in accordo con questa linea». Voi vedete bene come la “linea”, di cui si sta parlando, sia quella che parte da Suor Faustina, e si tratta di una “linea” di evoluzione storico-teologica; mentre, nel titolo del Corriere, la “linea” diventa quella di Papa Francesco e assume i connotati di una “linea” di carattere ideologico-politico. Con questo non si vuole negare che Papa Francesco, con i suoi interventi sulla misericordia e con la stessa indizione del Giubileo straordinario in corso, stia dando il suo contributo all’approfondimento di questo tema, né si vuol negare che Benedetto XVI riconosca apertamente tale contributo; si vuol solo stigmatizzare “il sostegno a sorpresa del Papa emerito alla linea indicata da Francesco”, che c’entra come i cavoli a merenda.

Se è scorretta tale interpretazione “politica” — di politica ecclesiastica, s’intende — dell’intervista di Benedetto XVI, sarebbe nondimeno scorretta un’interpretazione che volesse vedere nell’intervista una polemica del Papa emerito contro alcune correnti teologiche “gesuitiche”, che finora non sono mai state espressamente contraddette dall’attuale Pontefice. Papa Ratzinger, nella risposta alla quarta domanda, fa riferimento a due teorie che hanno tentato di «conciliare la necessità universale della fede cristiana con la possibilità di salvarsi senza di essa»: quella di Karl Rahner (i “cristiani anonimi”) e quella di Jacques Dupuis (il “pluralismo religioso”), entrambi gesuiti. A tali teorie Benedetto XVI contrappone la tesi di Henri de Lubac, anch’egli gesuita (la “sostituzione vicaria”). Ora, è vero che il Papa emerito confuta le teorie di Rahner e Dupuis, ma lo fa su un piano squisitamente teologico, senza alcuna polemica nei confronti dell’attuale dirigenza ecclesiastica. Come ha sempre fatto, Papa Benedetto vola alto; non ha tempo da perdere nel chiacchiericcio di curia.

Sgombrato il campo da possibili travisamenti strumentali e appurato il carattere esclusivamente teologico dell’intervista, ci si può soffermare sui contenuti dell’intervista stessa, non senza però aver prima fatto un’ulteriore precisazione. Dato il suo carattere teologico, si può tranquillamente discutere sulle affermazione di Papa Ratzinger e direi anche sulla sua personalità di teologo. 

Innanzi tutto, mi sembra di poter affermare che il Papa emerito si dimostra un attento osservatore della vita della Chiesa: il fatto di riconoscere nell’emergere del tema della misericordia un “segno dei tempi” mi sembra un grande merito di Benedetto XVI. Dopo decenni in cui si scambiavano per “segni dei tempi” quelli che erano semplicemente gli schemi mentali di qualche teologo, finalmente incontriamo qualcuno capace di individuare i veri “segni” dei nostri tempi, finora trascurati, se non addirittura disprezzati, da molti osservatori.

In secondo luogo, ritengo che, nonostante il passare degli anni e la maturazione intellettuale avvenuta in Joseph Ratzinger, egli sia fondamentalmente rimasto il teologo “liberale” delle origini. Lo facevo già notare in un post di qualche anno fa; le considerazioni che trovo ora nell’intervista, a proposito di redenzione ed espiazione (si veda la risposta alla terza domanda), mi confermano nel mio giudizio. Attenzione, questo non significa che il teologo Ratzinger possa essere in qualche modo sospettato di eresia (come qualcuno non avvezzo alle sottigliezze teologiche potrebbe pensare): qui non c’entra il dato rivelato, si tratta semplicemente dell’interpretazione teologica del dato rivelato. Ebbene, tale interpretazione è diversa da quella tradizionale, e per questo la chiamo, in senso lato, “liberale”. Mi pare la parte piú debole dell’intervista; ma non perché io abbia da offrire una spiegazione “forte” alternativa; semplicemente perché ho l’impressione che, dopo aver messo in discussione la teoria tradizionale, non siamo ancora riusciti a trovare una nuova interpretazione del tutto soddisfacente. Personalmente concordo sul fatto che l’interpretazione classica (che nel testo vede il suo rappresentante in Sant’Anselmo) sia superata e vada perciò in qualche modo riesaminata; le vanno però onestamente riconosciute una logica e una coerenza interna che nessuna delle soluzioni alternative finora proposte possiede. Penso che si possa ripetere anche a questo proposito l’affermazione che Papa Benedetto fa al termine della risposta alla quarta domanda: «È chiaro che dobbiamo ulteriormente riflettere sull’intera questione». 

Dobbiamo riconoscere al Papa emerito una onestà intellettuale non comune: ha le sue idee, non le nasconde, ma ne riconosce i limiti e rimane aperto a sempre possibili ripensamenti. Ha inoltre dimostrato, nello svolgimento delle sue gravose funzioni pastorali, di essere capace di distinguere fra le proprie ipotesi teologiche, discutibili e rivedibili, e l’insegnamento immutabile della Chiesa. Un esempio per tutti. Da imitare.