martedì 6 dicembre 2016

Referendum e... accompagnamento pastorale



Bisogna riconoscere che La nuova bussola quotidiana costituisce, nell’attuale momento di crisi, uno dei pochi punti di riferimento rimasti — una “bussola”, appunto — per i cattolici italiani. I commenti pubblicati a seguito della vittoria del NO al referendum costituzionale di domenica scorsa ne sono, se mai ce ne fosse stato bisogno, una ulteriore prova: il commento a caldo di Alfredo Mantovano, l’editoriale di Riccardo Cascioli, il “focus” di Marco Berchi.

Assolutamente condivisibile l’analisi di Mantovano: «Il popolo c’è. Mancano i capi». Interessante anche il parallelo storico con l’insorgenza antigiacobina tirolese che, nella diserzione generalizzata delle élites, trovò in un oste, Andreas Hofer, il proprio leader. Che uno dei grossi problemi della società odierna sia la carenza di leadership è un fatto assodato. In questi giorni, sui social networks, è facile imbattersi in foto che raffigurano i leaders delle principali potenze mondiali, riuniti per qualche summit solo pochi mesi fa, cancellati a uno a uno con una croce (in attesa di ulteriori sviluppi, sopravvive solo la Merkel). Che significa questo? Che gli attuali governanti sono persone del tutto inadeguate al compito che sono state chiamate a svolgere. Ma non dobbiamo pensare che si tratti di un semplice caso: essi vengono scelti per quel ruolo proprio perché inadeguati, dal momento che non devono essere loro a gestire il potere reale, che risiede altrove. Di qui l’esigenza di trovare un “capo” vero, l’Andreas Hofer della situazione. Può essere utile, in questo contesto, rileggere le riflessioni di Max Weber a proposito dell’“autorità carismatica”. Noi cristiani potremmo anche iniziare a pregare il buon Dio perché ci mandi un Santo, che si metta alla nostra guida, dal momento che ci sentiamo davvero “come pecore senza pastore” (Mc 6:34).

Ma forse è chiedere troppo; e forse non è neppure necessario essere governati da santi. Basterebbe un pizzico di competenza e di onestà. Il bisogno di leadership, in ogni caso, rimane. In passato, pur non avendo sempre avuto grandi condottieri santi, lo si sentiva meno. Perché? Perché, almeno nei paesi di tradizione cattolica, c’era la Chiesa che svolgeva questo ruolo. Pensiamo a ciò che ha fatto la Chiesa in Italia in momenti certo non piú facili dell’attuale, come durante il Risorgimento o nella ricostruzione del secondo dopoguerra o anche solo negli anni a noi vicini del pontificato wojtyliano e della presidenza Ruini alla CEI. A questo proposito, mi sembrano particolarmente significativi gli articoli odierni della Bussola. Cascioli ricorda che la Chiesa «ha veramente educato un popolo, dove la fede ha profondamente forgiato la cultura»; lamenta che quella stessa Chiesa, «nella sua forma istituzionale, da tempo ha smesso di educare i cattolici alla fede e, quindi, anche a un giudizio politico che da questa nasca»; e auspica che «almeno da alcuni pastori riparta un’iniziativa educativa forte: a una fede che sappia generare cultura, capace di abbracciare tutta la realtà, di giudicare il mondo». Da parte sua, anche Berchi conclude la sua puntualissima analisi con un appello alla Chiesa italiana:
Il popolo italiano ha dato un segnale impressionante per forza e commovente per intensità, quasi un grido. Se non si vuole che a raccoglierlo ci sia solo l’ennesimo leader di cartone — nuovo o reimbiancato — che condurrebbe all’ennesima delusione o a una dittatura 2.0, è ora che chi ha cultura e radicamento sociale si dia una mossa. In primis la Chiesa italiana, con le dovute modalità in tutte le sue articolazioni, dalla gerarchia all’ultimo dei fedeli. Anche questo sarebbe un gesto di misericordia, forse il piú grande, nei confronti del nostro povero Paese.
Auspici condivisibilissimi, ma che purtroppo rischiano di rimanere sulla carta. Sí, perché la Chiesa italiana, in questo momento, non mi sembra in grado di raccogliere il “grido di dolore” che si leva dal popolo italiano; non perché non ne abbia le capacità, ma perché bloccata dalla situazione che si trova a vivere attualmente la Chiesa universale. Che la Chiesa italiana abbia sempre avuto un legame privilegiato con la Santa Sede può difficilmente essere contestato, non soltanto come dato di fatto storico, ma anche come esigenza teologica, dal momento che la Provvidenza ha voluto che la suprema autorità della Chiesa stabilisse la sua sede in Italia. Il problema è che finora questo legame aveva sempre costituito per la Chiesa italiana uno stimolo in piú dal punto di vista pastorale; oggi invece esso sembrerebbe diventato un intralcio. Sono profondamente convinto che la stragrande maggioranza dei vescovi e dei preti italiani sia fondamentalmente “sana” e piena di autentico zelo pastorale; ma ho l’impressione che molti di loro siano disorientati dalle recenti novità introdotte nella Chiesa, si sentano inibiti nella loro intraprendenza pastorale e abbiamo addirittura timore di esprimersi liberamente. È come se fossero divenuti ostaggi di una minoranza, esigua ma rumorosa, che impone a tutti la linea da seguire, facendosi forte del sostegno, vero o presunto, dei vertici della Chiesa. Il problema, a mio parere, è proprio qui: non tanto a livello locale, quanto a livello universale. Il problema non è la Chiesa italiana, che dipende, nel bene e nel male, dalla Sede Apostolica; ma la Sede Apostolica stessa, che sembra divenuta improvvisamente incapace di leggere i segni dei tempi.

Il mondo sta cambiando. Questo 2016 dovrebbe aver ormai fornito sufficienti indizi di tale trasformazione: il 10 maggio, l’elezione di Rodrigo R. Duterte alla presidenza delle Filippine; il 23 giugno, il referendum del Regno Unito sulla “Brexit”; l’8 novembre, la vittoria di Donald J. Trump alle elezioni presidenziali americane; il 27 novembre, l’affermazione di François Fillon nelle primarie presidenziali dei gollisti in Francia; il 4 dicembre, la vittoria del NO nel referendum costituzionale italiano con le conseguenti dimissioni del Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Si tratta di segnali che vanno tutti nella medesima direzione: i popoli si sono stancati di essere governati dalle élites; vogliono riappropriarsi della loro sovranità. È ovvio che si tratta, in tutti i casi sopra elencati, di segnali ambigui, dai quali non è lecito trarre conclusioni troppo affrettate. Si pensi, per esempio, all’“accozzaglia” che ha reso possibile la vittoria del NO in Italia: è evidente che nessuno dei gruppi che la componevano possa rivendicare la vittoria come propria. È giusto, come fa la Bussola, richiamare il ruolo svolto dal “popolo del Family Day”, ma senza cullare l’illusione che, con il referendum, l’Italia si sia improvvisamente risvegliata cattolica. Purtroppo la secolarizzazione in corso da anni, in Italia e nel mondo, ha fatto i suoi danni, a cui non sarà per niente facile porre rimedio. Ma pur rimanendo coi piedi per terra, ciò che ci si aspetterebbe dalla Chiesa — non solo in Italia, ma nel mondo — è una presa di coscienza che qualcosa sta cambiando e che questo cambiamento nasce dal basso, dai popoli. E invece proprio quella Chiesa, che in questi anni si è riempita la bocca di tante belle parole, sembra incapace, non dico di accompagnare il processo in corso, ma anche solo di percepirlo. Anzi sembrerebbe che proprio la Chiesa sia rimasta uno degli ultimi baluardi di quell’establishment che i popoli — i popoli reali, non quelli immaginari dell’ideologia — stanno attaccando con l’unica arma rimasta nelle loro mani, il voto democratico. La Chiesa — la “Chiesa di Papa Francesco”, come amano chiamarla i fautori del “nuovo corso”, che poi tale non è in quanto già superato dagli eventi — si attarda su posizioni che facevano parte dell’agenda di quel sistema ormai in totale crisi (ecologismo, comunione ai divorziati risposati, apertura alle coppie omosessuali, accoglienza indiscriminata dei profughi, ecc.) quasi si trattasse dei bisogni primari dell’umanità odierna, mentre le priorità della gente sono di tutt’altro genere. La Chiesa, che era sempre stata accanto al popolo, ora sembrerebbe stare accanto alle élites, col rischio di restare travolta dalla rivoluzione popolare che le spazzerà via.

Un’ultima parola su Renzi. Cascioli delinea cosí l’errore da lui commesso:
Il grave errore politico di Renzi è stato l’avere sottovalutato in modo quasi da scherno [la] tradizione culturale cattolica a cui evidentemente il popolo italiano è molto più legato di quanto si pensi. Sostenuto da grandi poteri internazionali, Renzi ha invece affermato una concezione materialistica e consumistica ridefinendo il concetto di famiglia, degradata a comprendere qualsiasi tipo di unione, il concetto di genitorialità, sdoganando pratiche indegne come l’utero in affitto. Pensava che bastasse il potere delle élites per vincere, per indirizzare il popolo, e invece no.

Giustissimo. Credo però che non vada dimenticato che Renzi non è espressione del fronte laicista. Renzi è un “cattolico”; proviene dalle file del “cattolicesimo democratico”; è uno scout dell’AGESCI, e perciò figlio di quel settore della Chiesa che per molti anni si è posto in piú o meno aperto dissenso nei confronti della gerarchia e che ora ha finalmente raggiunto il potere nella Chiesa. Cascioli afferma che, con Renzi, hanno perso anche Galantino e Paglia. Io aggiungerei: con Renzi ha perso la “Chiesa di Papa Francesco”. Intendo dire che con Renzi noi abbiamo potuto toccare con mano quali siano gli esiti della deriva ideologica della Chiesa odierna, ammantata di “rinnovamento pastorale”: l’appiattimento sull’agenda globalista, la riduzione all’insignificanza e, come se non bastasse, l’incapacità di distinguere i veri cambiamenti in atto. Ebbene, è anche a questa deriva che il popolo dice NO. Nella Chiesa non è possibile indire referendum; ma ciò che la gente — dalle Filippine all’Italia, passando per la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Francia — sta cercando di esprimere attraverso le sue scelte elettorali, riguarda anche la Chiesa: è un appello perché la Chiesa ritrovi sé stessa, si liberi una volta per tutte dai lacci dell’ideologia e si rimetta a fianco dei popoli nella loro secolare lotta contro le élites illuminate, che cercano di stravolgerne l’identità. È questo l’autentico “accompagnamento pastorale” che la gente si attende dalla Chiesa.
Q