lunedì 17 luglio 2017

«Non calpestare e non intorbidare»



Nell’odierno Officium lectionis (1), la liturgia ci propone un testo di Agostino, tratto dal Sermo de ovibus (47, 12-14), nel quale il Santo Dottore, pur ribadendo che la cosa piú importante è avere una coscienza tranquilla («Questo è il nostro vanto: la testimonianza della nostra coscienza», 2Cor 1:12), ci invita a evitare qualsiasi atteggiamento che possa turbare la coscienza dei deboli:

Curemus ergo, fratres non tantum bene vivere, sed etiam coram hominibus bene conversari, nec tantum curare habere bonam conscientiam, sed quantum potest nostra infirmitas, quantum vigilantia fragilitatis humanae, curemus nihil etiam facere quod veniat in malam suspicionem infirmo fratri.
Cerchiamo dunque, fratelli, non soltanto di vivere bene, ma anche di comportarci bene davanti agli uomini. Non tendiamo solo ad avere una retta coscienza, ma per quanto lo comporta la nostra debolezza e lo consente la fragilità umana, sia anche nostro fermo impegno non compiere nulla che possa destare un cattivo sospetto nel fratello debole.
Potrebbe sembrare che le due cose si oppongano fra loro. Agostino riporta quindi due coppie di citazioni, due tratte dall’epistolario paolino e due dal vangelo, per dimostrare che si tratta di esigenze complementari, entrambe presenti nella Scrittura.

Ecco che cosa dice Paolo:
Se cercassi di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo (Gal 1:10);
[Cercate di piacere a tutti in tutto] cosí come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto (1Cor 10:33; si tenga presente che Agostino cita la Bibbia secondo la Vetus Latina, che spesso si discosta anche sensibilmente dalla successiva Vulgata).
Ed ecco che cosa troviamo scritto nel vangelo:
Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli (Mt 5:16);
State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini (Mt 6:1; si noti che entrambe le citazioni sono tratte dal discorso della montagna).
Chiosa Agostino:
Sicut tibi in Apostolo ista contraria videbantur, sic et in Evangelio. Si autem non perturbas aquam cordis tui, et hic agnosces pacem Scripturarum, et habebis cum eis et tu pacem.
Come questi insegnamenti ti sembravano contraddittori nell’Apostolo, cosí avviene nel vangelo. Se però non intorbidi l’acqua del tuo cuore, anche qui riconoscerai l’armonia delle Scritture e anche tu sarai in piena armonia con loro.
Che nelle Scritture ci siano affermazioni apparentemente contraddittorie, non è una novità. Dopotutto, si tratta della rivelazione di un mistero che supera le nostre limitate capacità di comprensione. L’unica cosa che possiamo fare è di tenere insieme tali affermazioni, convinti che esse non sono realmente in contraddizione fra loro. Perché questo possa avvenire, è necessario non “intorbidare l’acqua del cuore”. Che intende dire Agostino?

Che le Scritture devono essere per noi il pascolo a cui nutrirci, il torrente a cui dissetarci. E noi dobbiamo limitarci a nutrirci di esse e a dissetarci ad esse, senza calpestare l’erba che mangiamo e senza intorbidare l’acqua che beviamo:
Tu tantum pasce et bibe, noli conculcare et turbare.
Tu mangia e bevi solamente, non calpestare [quello che mangi] e non intorbidare [quello che bevi].
… ne forte puras herbas mandendo et puras aquas bibendo, conculcemus pascua Dei, et oves infirmae conculcatum manducent, et turbatum bibant.
Mentre mangiamo buone erbe e beviamo acque limpide, non calpestiamo i pascoli di Dio, perché le pecore inferme non abbiano a mangiare ciò che è calpestato, e a bere ciò che è stato intorbidato.
Leggendo questo bel passo di Agostino, mi veniva di fare una riflessione. Ciò che l’Ipponate ci chiede di evitare (conculcare et turbare le Scritture) è esattamente ciò che è avvenuto nella Chiesa nell’ultimo secolo (in campo protestante tale processo era iniziato con qualche decennio di anticipo): invece di accostarci alla Bibbia come al pascolo a cui nutrirci e al torrente a cui dissetarci, ci siamo divertiti a calpestarne le erbe (puras herbas) e a intorbidarne le acque (puras aquas). Con quale risultato? Una gran confusione, che non giova certo alle pecore deboli, ma neppure a quelle che si illudono di essere piú forti.

Ai nostri giorni poi l’intorbidamento, dalle Scritture, è stato esteso a tutto il corpus dottrinale della Chiesa: ciò che era chiaro (per quanto potesse esserlo alle nostre menti limitate), ora non lo è piú. La confusione regna sovrana. E chi si preoccupa che le pecore inferme abbiano a mangiare ciò che è calpestato e a bere ciò che è intorbidato? Dovrebbe essere questa la prima preoccupazione di una Chiesa in stato di permanente “conversione pastorale e missionaria” (EG 25). Ma, a quanto pare, sembra che oggi all’acqua limpida si preferisca quella torbida...

(1) Questo testo di Agostino viene proposto oggi nel lezionario biblico-patristico a ciclo biennale (L’Ora dell’Ascolto, a cura dell’UMIL, Piemme-Edizioni del Deserto, Casale Monferrato, 1989). Nel ciclo unico, riportato della Liturgia delle ore, esso viene letto il martedí della XIII settimana per annum.
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