lunedì 24 luglio 2017

Un metodo ancora valido?



Sono stati già versati fiumi d’inchiostro sulla foto che ritrae il Preposito generale della Compagnia di Gesú, Padre Arturo Sosa, in preghiera in un tempio buddista. Che altro aggiungere a quanto è stato scritto? A parte una grande tristezza per il declino di un Ordine glorioso, al quale per diversi motivi sono indissolubilmente legato, mi pongo una domanda: Ma come è stato possibile? Come è possibile che un Ordine religioso, che Sant’Ignazio ha voluto edificare sul solido fondamento degli esercizi spirituali, del silenzio, dell’orazione e del discernimento, potesse arrivare a questo punto?

Sembrava che Ignazio di Loyola avesse trovato un metodo infallibile non solo per scoprire la propria vocazione, ma anche per restarvi fedeli. E invece, nonostante tutti gli esercizi spirituali e il discernimento praticati dai gesuiti, siamo arrivati sull’orlo dell’apostasia. Ma allora, quello ignaziano, non era un metodo valido?

Il metodo ignaziano degli esercizi spirituali era e continua a essere validissimo; ma non può essere considerato autosufficiente. Esso dimostra tutta la sua efficacia solo se praticato all’interno della comunione ecclesiale. Il metodo ignaziano, isolato da questo contesto, dimostra tutti i suoi limiti. L’orazione, abbandonata a sé stessa, può trasformarsi in “libero esame”: una personale e discutibilissima interpretazione della parola di Dio. Solo la fedeltà alla tradizione del Padri, di cui la Chiesa si fa garante, impedisce alla meditazione personale di sfociare nel soggettivismo.

Del resto, si tratta di un aspetto messo in luce dagli stessi Esercizi spirituali. Se Ignazio ha sentito il bisogno di aggiungere al suo vademecum una serie di diciotto “Regole per sentire con la Chiesa”, ci sarà pure un motivo. La prima di esse afferma:
Messo da parte ogni giudizio proprio, dobbiamo avere lanimo disposto e pronto a obbedire in tutto alla vera sposa di Cristo nostro Signore, che è la nostra santa madre Chiesa gerarchica (n. 353).
L’obbedienza alla Chiesa è il contesto in cui gli esercizi spirituali possono essere svolti con frutto e senza correre il rischio di cadere nel soggettivismo. Per i gesuiti tale fedeltà alla “santa madre Chiesa gerarchica” trovava espressione nel voto di speciale obbedienza al Sommo Pontefice. La totale sottomissione al Papa è ciò che ha permesso ai gesuiti, nel corso dei secoli, di restare sempre fedeli alla loro vocazione e ha garantito l’efficacia del loro apostolato. Il Papa era il tramite che li metteva in contatto con la tradizione della Chiesa. Una volta venuto meno questo legame, la Compagnia si è persa. Pensando di avere un rapporto immediato con Dio (reso possibile, secondo loro, dall’orazione), i gesuiti hanno ritenuto inutile — e dannosa alla libertà dello Spirito — la dipendenza dal Papa, e hanno incominciato a errare per i sentieri piú disparati, ciascuno secondo quello che gli suggeriva lo “Spirito” attraverso il discernimento. Il risultato di questa emancipazione è… il Preposito generale della Compagnia che prega in un tempio buddista.

Con l’attuale pontificato sembrerebbe che ci sia stato un recupero dell’obbedienza al Sommo Pontefice. Si legga in proposito quanto ha dichiarato il Padre Sosa in una recente intervista: «Io mi identifico con quello che dice papa Francesco: non si mette in dubbio, si mette a discernimento…» (intervista rilasciata a Giuseppe Rusconi: Rossoporpora, 18 febbraio 2017). Ma si tratta di un recupero tardivo e inefficace. Sí, perché nel frattempo, con l’elevazione di un gesuita al supremo pontificato, questo ha mutato sembianze. Se prima il Papa ci metteva in contatto con la tradizione dei Padri, ora il Papa, da buon gesuita, ci invita a fare discernimento. Ma non è questa la funzione del Papa nella Chiesa. Non perché non si debba fare discernimento, ma perché non è il Papa che deve ricordarcelo. Il Papa, mentre noi facciamo discernimento, dovrebbe metterci di fronte a quanto la Chiesa ha sempre creduto, e dirci: Ascolta pure la voce dello Spirito, ma ricorda che il vero Spirito non ti chiederà mai di uscire dall’alveo della tradizione dei Padri. Il primo criterio di un autentico discernimento è l’obbedienza alla “nostra santa madre Chiesa gerarchica”.

Nella Chiesa ciascuno ha il suo carisma. La confusione dei ruoli non giova a nessuno. Se i gesuiti smettono di obbedire al Papa, non sono piú gesuiti; se il Papa continua a fare il gesuita, non fa piú il Papa. E questo con grave nocumento per tutta la Chiesa.
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