tag:blogger.com,1999:blog-9355530832739327802024-03-13T16:31:44.661+01:00Antiquo roborePensieri in libertà di un Querciolino erranteQuerculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comBlogger646125tag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-79215608001708820322018-11-27T07:36:00.001+01:002018-11-27T07:36:42.391+01:00Una parola di spiegazione<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSUiKVdwb_WIYxuD_eAcPWC_Qb0Azi98my_XJL6cx0NjFCJ062Uov7SpJUDmxAJp6vZwId8DEZdg9Ngf_RxnRm0JaOIMqrzbBsvOyJ7Sv5jLG-gIZOOFzog-pDL-VxXpw56PzM18MtSm4/s1600/Querce.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="519" data-original-width="519" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgSUiKVdwb_WIYxuD_eAcPWC_Qb0Azi98my_XJL6cx0NjFCJ062Uov7SpJUDmxAJp6vZwId8DEZdg9Ngf_RxnRm0JaOIMqrzbBsvOyJ7Sv5jLG-gIZOOFzog-pDL-VxXpw56PzM18MtSm4/s320/Querce.jpg" width="320" /></a></div>
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Ho ricevuto diversi messaggi di lettori che chiedono conto del mio prolungato silenzio. Credo che sia doveroso, da parte mia, dare loro una parola di spiegazione.</div>
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Innanzi tutto, vorrei tranquillizzarli: non ci sono, grazie a Dio, né motivi di salute né interventi superiori che mi abbiano impedito di aggiornare il blog. La decisione dipende esclusivamente da me, per una serie di motivi che cercherò di focalizzare brevemente.</div>
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Innanzi tutto, ho l’impressione che gli spazi per un blog personale non professionale si stiano sempre piú restringendo. Il mio blog è nato dieci anni fa, quando si era agli inizi di questa nuova esperienza di comunicazione e le voci cattoliche in rete erano ancora relativamente poche. Oggi, anche grazie alla diffusione dei <i>social networks</i>, le possibilità di far sentire la propria voce si sono moltiplicate: alcuni interventi risultano caratterizzati da notevole professionalità; altri tradiscono una certa improvvisazione. È ovvio che i blog professionali, soprattutto quelli di giornalisti che, per un motivo o per l’altro, si sono messi in proprio, la fanno un po’ da padroni. E comprensibilmente: essi possono contare su abbondanza e attendibilità di informazioni, regolarità di pubblicazione, competenza professionale, ecc. Tu, che sei ancora un pivellino (nonostante la non piú giovane età), potrai pure avere idee strabilianti, ma non potrai mai pretendere di competere con certi mostri del giornalismo.</div>
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In secondo luogo, ho notato che, a parte i predetti <i>guru </i>(i quali, anche quando sono di parte, si sforzano di mantenere una certa moderazione), fra i “dilettanti” si sono radicalizzate le posizioni: se vuoi che qualcuno ti ascolti, devi “gridare”: piú la spari grossa (magari fondandoti solo su qualche voce) e piú <i>audience </i>avrai. Non è rimasto molto spazio per la riflessione pacata e obiettiva. L’equilibrio non paga.</div>
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In questo contesto di radicale polarizzazione, assistiamo, da una parte, all’arrogante autoreferenzialità del partito oggi al potere nella Chiesa. Una volta arrivati ai vertici e occupati tutti gli spazi di potere, quelli che un tempo ritenevano espressione di profezia contestare l’autorità, oggi si mostrano indifferenti a qualsiasi critica, se ne infischiano di quel che pensano gli altri e vanno avanti nell’attuazione della loro agenda, come se niente fosse. </div>
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Sul versante opposto (quello tradizionalista, tanto per intenderci) assistiamo a una non meno allarmante involuzione. Quanto sta accadendo oggigiorno nella Chiesa non li scandalizza piú di tanto; anzi, vi vedono la dimostrazione della bontà delle loro posizioni: la “nuova Chiesa”, secondo loro, non è che il risultato delle premesse poste dal Concilio Vaticano II. Non capiscono che si tratta della rivincita del partito che era stato sconfitto al Concilio e che aveva continuato a lavorare sottotraccia durante i successivi pontificati. No, per loro c’è piena continuità fra il Concilio, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco; era ovvio che dovesse andare a finire cosí. Sembrano quasi contenti che si sia arrivati a questo punto. La situazione di certo tradizionalismo attuale non è meno preoccupante di quella del partito al potere: le derive ereticali non mancano da una parte e dall’altra (sono significative le reazioni di alcuni tradizionalisti alla canonizzazione di Paolo VI).</div>
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Certamente non ereticale, ma non per questo meno inquietante, è l’opposizione all’attuale pontificato diffusa in ambienti conservatori, non necessariamente tradizionalisti (penso in particolare al laicato nordamericano), che, vista l’inefficacia della critica dottrinale fin qui praticata (si pensi ai <i>dubia </i>o alla <i>correctio filialis</i>), si sono buttati sul tema della corruzione ecclesiastica, sperando in tal modo di costringere il Papa alle dimissioni. Non che quello degli abusi non sia un problema reale e grave che la Chiesa deve decidersi ad affrontare con serietà ed efficacia, ma il fatto di strumentalizzarlo per motivi “politici” non appare molto corretto. Strumentalizzazione analoga era stata fatta ai tempi di Benedetto XVI, appunto con l’obiettivo di ottenere la rinuncia del Papa: il risultato, in quel caso, fu raggiunto; ma non è detto che l’utilizzo della stessa arma questa volta produca il medesimo effetto, vista la diversa personalità dei due Pontefici. Ciò che, a mio parere, non si considera sufficientemente, nel tifare per interventi del potere civile in ambito ecclesiastico, sono le conseguenze devastanti e irreversibili che questi potrebbero avere sulla libertà della Chiesa.</div>
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Se questa è la situazione, un povero blogger senza affiliazioni si chiede: a che serve continuare a gridare nel deserto, quando nessuno ti ascolta? Quello che dovevi dire, l’hai detto; aggiungere altre parole può diventare, oltre che inutile, dannoso. Forse è giunto il momento di smettere di parlare e di incominciare a pregare. L’ultimo post, precedente a questo, terminava con le parole del vangelo: «Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente» (Lc 18:7). La situazione della Chiesa è talmente grave che non rimane che sperare in un intervento divino. Noi non siamo nulla per pretendere di salvare la Chiesa: essa appartiene al suo Signore, ed è lui che deve salvarla. A noi spetta, oltre che pregare e soffrire per essa, provvedere alla nostra personale santificazione. Si è parlato molto, recentemente, di “opzione Benedetto”. Forse è arrivata l’ora di cominciare a darvi attuazione: ritirarsi in buon ordine e iniziare a lavorare su noi stessi, lasciando che al resto pensi il Signore. </div>
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Il mio saluto ai lettori non vuole essere un addio definitivo. So bene che le situazioni possono cambiare e voglio lasciare aperta la porta a futuri, possibili, ripensamenti. Per cui preferisco terminare con un semplice “a risentirci, se e quando Dio vorrà”.</div>
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<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-17858306496123298962018-10-13T19:14:00.000+02:002018-10-13T19:23:22.130+02:00Un Papa eretico?<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSTnHBPgiLsSYvgXgqYdu4PJvzZ5E0jlDvWFXZ41YNwaD7UCFElgEA-RVyvSMINq0Runz6OK0j0SLYYNLucirIUZb6VzyJ-nDyjZOCAWnDy2JX12VnvxKz3djofW4BtDYZ1g5peS6_ipk/s1600/Bux.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="326" data-original-width="600" height="216" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSTnHBPgiLsSYvgXgqYdu4PJvzZ5E0jlDvWFXZ41YNwaD7UCFElgEA-RVyvSMINq0Runz6OK0j0SLYYNLucirIUZb6VzyJ-nDyjZOCAWnDy2JX12VnvxKz3djofW4BtDYZ1g5peS6_ipk/s400/Bux.jpg" width="400" /></a></div>
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Non mi hanno mai appassionato le dispute sull’eventualità di un Papa eretico. Perché? Forse perché pongono un caso che non può darsi nella realtà? No, non ho alcun dubbio che un Papa, come chiunque di noi, possa cadere in eresia. In questo caso non c’entra l’infallibilità del Sommo Pontefice, che, come sappiamo, ha dei limiti ben definiti. Il problema è che si tratta di dispute totalmente sterili: una volta stabilito che il Papa è eretico, che fare?</div>
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Un esempio di tali sterili dispute lo troviamo nell’intervista rilasciata oggi da Mons. Nicola Bux ad Aldo Maria Valli (<a href="https://www.aldomariavalli.it/2018/10/13/monsignor-nicola-bux-lunita-si-fa-nella-verita/" target="_blank">qui</a>). Mons. Bux parte dal <i>Decretum Gratiani:</i></div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Nessun mortale avrà la presunzione di parlare di colpa del Papa, poiché, incaricato di giudicare tutti, egli non dev’essere giudicato da alcuno, a meno che non devii dalla fede.</blockquote>
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Facendo quindi riferimento a San Roberto Bellarmino, sostiene che il Papa può essere giudicato:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Ovviamente la deviazione deve essere manifesta e pubblica. E in caso di eresia manifesta, secondo San Roberto Bellarmino, il Papa può essere giudicato.</blockquote>
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Riallacciandosi poi ai Padri della Chiesa, afferma che un Papa, in caso di eresia, decadrebbe dal suo ufficio: </div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
L’eresia intacca la fede e la condizione di membro della Chiesa, che sono la radice e il fondamento della giurisdizione. Questo è il pensiero dei Padri della Chiesa, in specie di Cipriano, che ebbe a che fare con Novaziano, antipapa durante il pontificato di Papa Cornelio (cf Lib. 4, ep. 2). Ogni fedele, compreso il Papa, con l’eresia si separa dall’unità della Chiesa … Di fronte a questa eventualità, cosí grave per la fede, alcuni cardinali, o anche il clero romano o il sinodo romano, potrebbero ammonire il Papa con la correzione fraterna, potrebbero “resistergli in faccia” come fece Paolo con Pietro ad Antiochia; potrebbero confutarlo e, se necessario, interpellarlo al fine di spingerlo a ravvedersi. In caso di pertinacia del Papa nell’errore, bisogna prendere le distanze da lui, in conformità con ciò che dice l’Apostolo (cf Tt 3:10-11). Inoltre, la sua eresia e la sua contumacia andrebbero dichiarate pubblicamente, perché egli non provochi danno agli altri e tutti possano premunirsi. Nel momento in cui l’eresia fosse notoria e resa pubblica, il Papa perderebbe <i>ipso facto</i> il pontificato … Inoltre, se il Papa non volesse mantenere l’unione e la comunione con l’intero corpo della Chiesa, come quando tentasse di scomunicare tutta la Chiesa o di sovvertire i riti liturgici fondati sulla tradizione apostolica, potrebbe essere scismatico. Se il Papa non si comporta da Papa e capo della Chiesa, né la Chiesa è in lui né lui è nella Chiesa. Disobbedendo alla legge di Cristo, oppure ordinando ciò che è contrario al diritto naturale o divino, ciò che è stato ordinato universalmente dai concili o dalla Sede apostolica, il Papa si separa da Cristo, che è il capo principale della Chiesa e in rapporto al quale si costituisce l’unità ecclesiale. Papa Innocenzo III dice che si deve obbedire al Papa in tutto, fino a che egli non si rivolti contro l’ordine universale della Chiesa: in tal caso, a meno che non sussista una ragionevole causa, non va seguito, perché, comportandosi cosí, non è piú soggetto a Cristo e quindi si separa dal corpo della Chiesa. </blockquote>
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Mons. Bux, a questo punto, si accorge di essere andato forse troppo in là ed essersi cacciato in un ginepraio. Perciò aggiunge:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Non nascondo, però, che quanto indicato, sebbene sia limpido e liscio nella teoria, nella pratica incontra non poche difficoltà; inconvenienti anche di carattere canonistico … Per un Papa, in effetti, vige una sorta di immunità da giurisdizione. Per cui, sebbene in teoria si dica che i cardinali possono accertare la sua eresia, certamente nella pratica la cosa diventerebbe difficoltosa, a causa del fondamentale principio <i>Prima sedes a nemine iudicatur</i>, ripreso dal can. 1404 CIC. Nessuna Chiesa, in quanto figlia, può giudicare la madre, cioè la Sede apostolica. Ancor meno alcuna pecora del gregge può ergersi a giudicare il proprio pastore. Se guardiamo come è stato applicato questo principio nella storia della Chiesa, e del papato in particolare, notiamo che, anche in caso di accusa di eresia o addirittura vera e propria apostasia del Papa, tutto si è concluso con un nulla di fatto.</blockquote>
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E allora? A che serve disquisire astrattamente sull’eventualità di un Papa eretico, quando poi non si può far nulla in concreto per rimuoverlo? Inutile discutere, se poi alle parole non possono seguire i fatti. A parer mio, meglio abbordare il problema in maniera diversa. </div>
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Come detto, un Papa può errare e può anche — <i>quod Deus avertat! </i>— cadere in eresia. Il problema è: chi può stabilirlo? Nessuno. Solo un giudice potrebbe affermare se il Papa è eretico o no. Ma, come giustamente ricorda Monsignore, <i>Prima sedes a nemine iudicatur</i> (can. 1404). Neppure da un Concilio ecumenico o dal Collegio dei Vescovi? No: </div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Chi contro un atto del Romano Pontefice ricorre al Concilio ecumenico o al Collegio dei Vescovi, sia punito con una censura (can. 1372).</blockquote>
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Non si tratta solo di norme canoniche. Alla loro base c’è una precisa motivazione teologica: il primato del Romano Pontefice, definito solennemente nel Concilio Vaticano I, ma già affermato da Bonifacio VIII:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
<i>Si vero</i> [<i>deviat spiritualis potestas</i>] <i>suprema, a solo Deo, non ab homine poterit iudicari</i>. – Se devia la suprema autorità spirituale, potrà essere giudicata solo da Dio, non da un uomo (Bolla <i>Unam sanctam</i>, 18 novembre 1302: <i>Denzinger-Schönmetzer</i>, n. 873).</blockquote>
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Allora, che fare? In caso di errore o, peggio, di eresia del Romano Pontefice, ci sono due sole possibilità: o si ricorre a lui, perché giudichi sé stesso, o ci si appella al giudizio di Dio. <i>Tertium non datur</i>. Il primo caso è quello descritto da San Paolo nella lettera ai Galati:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto, perché aveva torto … quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?» (2:11-14).</blockquote>
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Paolo, cosí facendo, non si erge a giudice di Pietro: sta semplicemente esercitando l’opera di misericordia della correzione fraterna. Il precetto evangelico “Non giudicare” non impedisce di valutare, obiettivamente, gli errori di un fratello, fosse anche il Papa. Quindi non è da escludere l’eventualità di una correzione fraterna — meglio, filiale — nei confronti del Papa, che lasci a lui di giudicare del proprio insegnamento e comportamento. Ovviamente, tale correzione non può essere fatta dal primo arrivato e con superficialità. Personalmente ritengo che una cosa del genere, senza escludere <i>a priori</i> l’eventualità di un intervento straordinario da parte di un “profeta”, debba essere fatta dai Cardinali o, meglio ancora, dai Vescovi. </div>
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L’unica altra possibilità che rimane è il ricorso al giudizio di Dio, non perché si debba sottoporre il Papa a un’ordalia, ma semplicemente perché Gesú stesso nel Vangelo ci invita a rivolgerci a Dio come giudice supremo:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente (Lc 18:7).</blockquote>
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<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-24567340415092161202018-10-11T18:44:00.000+02:002018-10-11T18:44:32.962+02:00Sant’Alessandro Sauli<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4FFWZxotBXAzotXWWHmSG6IAedf14UGZQWziKFxaNQWLCP0FN64PMRfu0Ao3g7TMx0SW2nHRHIXotnNo52Z-i8RjCG3XmjpoiB4QU7BBLxCOAbvec-8-a1Wk90aI-DF04GHMOuvQUQc4/s1600/Sauli.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="960" data-original-width="562" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4FFWZxotBXAzotXWWHmSG6IAedf14UGZQWziKFxaNQWLCP0FN64PMRfu0Ao3g7TMx0SW2nHRHIXotnNo52Z-i8RjCG3XmjpoiB4QU7BBLxCOAbvec-8-a1Wk90aI-DF04GHMOuvQUQc4/s400/Sauli.jpg" width="233" /></a></div>
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Ieri si parlava di santità. Nel mio post, facevo riferimento al Cinquecento. Di solito si ricordano i nomi dei grandi Santi di quel secolo: Carlo Borromeo, Ignazio di Loyola, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, ecc. Ma ci furono molti altri Santi, meno noti, che pure contribuirono non poco all’opera di riforma della Chiesa, prima e dopo il Concilio di Trento. Uno di questi è il Santo celebrato quest’oggi: Alessandro Sauli, vescovo barnabita, uno dei maggiori esponenti della Controriforma cattolica. </div>
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Nacque nel 1534 a Milano da una famiglia nobile di origine genovese (la basilica di Carignano fu costruita dai Sauli). Nell’aprile del 1551, quando aveva 17 anni, chiese di entrare fra i Barnabiti, che erano stati da poco fondati (erano stati approvati un anno prima che lui nascesse, nel 1533). Quando gli fu chiesto il motivo per cui aveva scelto i Barnabiti, rispose che «qui è maggior rottura di volontà che in altri lochi, et che questo è un patire piú nobile et eccellente del patire esteriore». I Padri, poco convinti, considerando la sua estrazione aristocratica, vollero mettere alla prova la sua vocazione: gli chiesero di portare una grossa croce sulle spalle per le vie di Milano fino a Piazza dei Mercanti e lí predicare sulle vanità del mondo, cosa che egli fece senza esitazione. Era, quello, un periodo burrascoso per la giovane Congregazione: nel febbraio di quell’anno erano stati banditi dalla repubblica di Venezia; l’anno successivo, durante il noviziato di Alessandro, furono sottoposti alla visita apostolica. Quando il Visitatore, Mons. Marini, lo interrogò sulle sue intenzioni, rispose che sarebbe rimasto in Congregazione, «sperando che tutto si debba indirizzare». Prima della professione religiosa sentí la voce del Signore che gli diceva: <i>Esto mihi totus, totus mihi soli </i>(“Sii tutto mio, tutto solamente mio”), a cui egli rispose: <i>Ego tibi totus, totus tibi soli </i>(“Sono tutto tuo, tutto solamente tuo”). Fu ordinato sacerdote a 22 anni, nel 1556, e proseguí gli studi di teologia all’Università di Pavia, dove fu pure professore. A 33 anni, nel 1567, fu eletto Superiore generale, il sesto, dell’Ordine. Nel 1566 aveva preso possesso della diocesi di Milano il Cardinale Carlo Borromeo, che scelse il Sauli come suo consigliere e confessore. Nel 1570, quando aveva 36 anni, il Papa San Pio V lo nominò Vescovo di Aleria, la piú vasta diocesi della Corsica, dove rimase per piú di venti anni. Non dovette essere un’esperienza facile; si trattava di un territorio selvaggio e solo superficialmente evangelizzato, con una popolazione ancora paganeggiante e un clero ignorante e corrotto. Alessandro non si scoraggiò e si impegnò nella riforma voluta dal Concilio di Trento, dedicandosi alla predicazione, alla catechesi, all’assistenza dei poveri e dei malati. Fece largo uso dei sinodi e delle visite pastorali. Per la sua opera indefessa di promozione umana e spirituale, fu chiamato “Apostolo della Corsica”. Nel 1591 il Papa Gregorio XIV lo trasferí alla sede di Pavia, dove però rimase appena un anno, morendo l’11 ottobre 1592, mentre era in visita a Calosso d’Asti. Fu beatificato da Benedetto XIV nel 1741 e canonizzato da San Pio X nel 1904. Il suo corpo riposa nel Duomo di Pavia.</div>
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Stamane il Padre Robert Kosek, già Provinciale della Provincia Nord-Americana e neoeletto Assistente generale dell’Ordine, ha pubblicato su <i>Facebook </i>l’incisione che vedete in apertura di questo post. Non l’avevo presente; quando l’ho vista, sono sobbalzato sulla sedia. In essa appaiono dei simboli arcivescovili: il pallio e la croce con la doppia traversa (“croce patriarcale”) accanto al pastorale. Ma né Pavia né, tanto meno, Aleria sono mai state sedi metropolitane. Come mai allora l’incisore affibbiò al Sauli questi attributi che non gli competevano? Poi, facendo una veloce ricerca su internet, ho scoperto che i Vescovi di Pavia godono, fin dal VI secolo, del privilegio del pallio (anzi, tra il 1743 e il 1819, fu loro attribuito anche il titolo di Arcivescovi di Amasea nel Ponto, per giustificare in qualche modo tale privilegio). Beh, c’è sempre qualcosa da imparare.</div>
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<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-82499287778123062702018-10-10T09:46:00.000+02:002018-10-10T09:46:40.614+02:00«Abluitur undis, non quatitur»<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMIV3H30cMqOBnmI5bug9B9ZjoN5y8CHOqX72SGag-cdD1ufLfOVzVk1hGtR8sz2BXkevhfsM-J4P5lC2eoUfzHCVe-_kenjFjr5DxkAEsZx9nQHY74Il8IKr-qKk1tQ-qNkex5CDT1Rk/s1600/Alessandro-Gnocchi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="320" data-original-width="640" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMIV3H30cMqOBnmI5bug9B9ZjoN5y8CHOqX72SGag-cdD1ufLfOVzVk1hGtR8sz2BXkevhfsM-J4P5lC2eoUfzHCVe-_kenjFjr5DxkAEsZx9nQHY74Il8IKr-qKk1tQ-qNkex5CDT1Rk/s400/Alessandro-Gnocchi.jpg" width="400" /></a></div>
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Beh, bisogna riconoscere che l’attuale situazione della Chiesa, tanto critica da apparire terminale, qualche risvolto positivo pure ce l’ha, come per esempio quello di far ritrovare su un terreno comune, che potremmo definire “mediano”, persone intellettualmente oneste, provenienti da sponde opposte, fino a qualche tempo fa su posizioni che sembravano fra loro inconciliabili. Sto parlando di Aldo Maria Valli, di estrazione “progressista” (un tempo convinto sostenitore del Card. Martini), e Alessandro Gnocchi, da sempre su posizioni “tradizionaliste”. Ebbene questi due giornalisti si sono ritrovati ieri per un colloquio estremamente interessante, che vale la pena di leggere (<a href="https://www.aldomariavalli.it/2018/10/09/per-purificare-la-chiesa-non-serve-la-macchina-del-tempo-ma-la-santita/" target="_blank">qui</a>). Avverto i lettori che, per comprendere i contenuti del colloquio, è assolutamente necessario leggere prima l’articolo di Gnocchi su <i>Riscossa Cristiana</i> (<a href="https://www.riscossacristiana.it/padre-pio-anticristi-romanzo-infernale-di-alessandro-gnocchi/" target="_blank">qui</a>). </div>
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Premetto che io, di quel che racconta Gnocchi, non sapevo finora assolutamente nulla; non avevo neppure mai sentito parlare di Emanuele Brunatto. Eppure, quella che lo stesso Gnocchi chiama una “bomba” non mi meraviglia affatto; per me si tratta solo della conferma di ciò che ho sempre pensato: che la corruzione nella Chiesa non sia una novità del nostro tempo, ma sia sempre esistita. Ora, a quanto pare, anche Gnocchi sta giungendo, o è già giunto, alla medesima conclusione. Ci sono, nel colloquio con Valli, alcune affermazioni di Gnocchi, che mi fa piacere sentire:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Non sopporto piú tutta quella pletora di “tradizionalisti” secondo cui il mondo è stato perfetto fino alla mezzanotte del 10 ottobre 1962 e poi sarebbe arrivato il Vaticano II a distruggere tutto.</blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Penso anche che tutto quanto ho raccontato dovrebbe far riflettere chi è convinto che, per ritrovare la purezza, basti solo fare un passo indietro sul calendario … Secondo molti, la Tradizione, naturalmente con la “T” maiuscola, si trova andando indietro con la macchina del tempo. Io penso che, invece, si debba risalire alla sorgente e seguirla là dove si manifesta sempre uguale a se stessa e sempre vivificante.</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Molto interessante anche la sua <i>retractatio </i>a proposito dell’equazione “buona dottrina = buona Chiesa”:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Questo, per me, è il punto piú doloroso, perché anch’io ero caduto nella trappola dell’equazione “buona dottrina uguale buona Chiesa”. I fatti ci dimostrano che non è cosí. Tra i vizi della Chiesa cattolica c’è quello del formalismo legato a un eccesso di mentalità giuridica. Basta enunciare correttamente la lettera per salvare qualsiasi pratica. In questo modo siamo arrivati, e non da un secolo, a una Chiesa fondata sul diritto canonico invece che sul Vangelo.</blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Quando non si ha la santità come primo obiettivo, si finisce per corrompere tutto ciò che viene dopo, proprio tutto. La buona dottrina viene proclamata solo per fare la guerra ai propri avversari. Ma quando la dottrina viene usata come arma, finisce sempre per essere adattata alla guerra e, quindi, è alterata. Si comincia con il considerarla sotto un aspetto nuovo, strumentale, e si finisce per trovarsene tra le mani una nuova, magari piú efficace, ma nuova. Senza contare che, se la si usa per fare la guerra e la guerra viene persa, la dottrina soccomberà insieme con gli sconfitti.</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Anche se potrebbero apparire, come lo stesso Gnocchi riconosce, affermazioni “eversive e antistituzionali”, si tratta di considerazioni su cui è giusto riflettere: è profondamente vero che, se la retta dottrina viene brandita come un’arma per combattere i nemici, essa viene sostanzialmente adulterata. Anche se, a mio parere, questo fatto, pur vero, non giustifica la manipolazione della dottrina attualmente in corso. Personalmente ritengo che la difesa della dottrina vada fatta in ogni caso, anche quando si è consapevoli della corruzione presente nella Chiesa (e forse anche della propria personale corruzione); se, per iniziare a difendere la dottrina, si dovesse attendere una Chiesa totalmente pura e senza macchia, mi sa tanto che alla parusia staremmo ancora qui ad aspettare. Dobbiamo sempre distinguere tra la Sposa di Cristo, immacolata, e l’istituzione ecclesiastica, spesso corrotta; dobbiamo distinguere tra la condotta, spesso non irreprensibile, delle persone e l’ufficio che esse svolgono. Per questo non mi convince del tutto la frase di Gnocchi: «La buona dottrina maneggiata da una persona corrotta vale quanto la cattiva dottrina maneggiata da una persona integra». Diciamo piuttosto che la buona dottrina è una condizione necessaria, ma non sufficiente, mancando la santità.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Cosí come non mi convince molto il rifiuto radicale, oggi abbastanza diffuso, per il “rispetto formale dell’istituzione”, da Gnocchi considerato «un vizio tipicamente romano, che molti scambiano per virtú». La Chiesa, oltre che come realtà spirituale, va, secondo me, rispettata anche come istituzione umana, pur con tutti i suoi limiti e difetti. Il fatto che in essa operino persone corrotte, non giustifica l’attacco all’istituzione in quanto tale. Non dimentichiamo che quell’istituzione è il “sacramento universale della salvezza”, vale a dire lo strumento ordinario attraverso il quale gli uomini ricevono la grazia che li salva. Andiamoci piano, quindi, prima di attaccarla. Oltre tutto, in essa sono sempre stati presenti fior di galantuomini (nella fattispecie, i Cardinali Gasparri e Merry del Val) e di santi (Don Orione). È vero che questi rischiano di diventare «per quanto sani, ingranaggi di un meccanismo vizioso in grado di macinare tutto», ma ciò non toglie nulla al valore della loro testimonianza (mi sembra significativo che, dell’epoca rievocata da Gnocchi, questi siano fra i pochi nomi che oggi si ricordano; chi ricorda Ricardo de Samper o Camillo Caccia Dominioni?).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Pienamente d’accordo con Gnocchi sulla tesi di fondo del suo intervento: </div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
La rovina, in realtà, nasce ogni volta che la santità non viene messa al primo posto. E questo vale per ogni tempo.</blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Io ritengo che, per quanto riguarda la Chiesa cattolica, il problema non sia nella rinuncia all’esercizio dell’autorità, ma nella rinuncia alla santità da parte dell’autorità.</blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Solo la santità è eversiva rispetto a questo ordine infernale nel quale siamo immersi. </blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Non si tratta di una novità. In tutti i tempi, la santità è stata l’unico rimedio alla corruzione presente nella Chiesa. Pensiamo al Cinquecento: il problema della Chiesa non fu solo la Riforma protestante, ma anche la corruzione diffusa nel clero. Certamente il Concilio di Trento fece molto per risanare la Chiesa del tempo; ma molto di piú fecero gli innumerevoli Santi fioriti in quell’epoca. Ai nostri giorni succederà lo stesso. Noi oggi facciamo fatica a vedere i Santi attorno a noi; la nostra attenzione è attirata esclusivamente dagli scandali; ma i Santi ci sono, magari nascosti o perseguitati. Padre Pio non è certamente l’unico Santo dei tempi moderni.</div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
Lo stesso Concilio Vaticano II, tanto criticato dai tradizionalisti, perché avrebbe spianato la strada alla corruzione nella Chiesa, andrebbe probabilmente ripensato come un tentativo — riuscito o no, è un’altra questione — per porre rimedio alla corruzione già esistente nella Chiesa. Spesso si dimentica che proprio dal Vaticano II è venuto un forte richiamo alla santità (il capitolo 5 della Costituzione dogmatica <i>Lumen gentium:</i> “Universale vocazione alla santità nella Chiesa”).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
D’accordo con Gnocchi che «in questa Chiesa, ormai, non c’è piú niente da spaccare, c’è solo da ricostruire», e d’accordo con lui che «la mia santità personale è l’unico lenimento che posso portare al suo corpo piagato». Ma a questo io aggiungerei una convinzione che dovrebbe sempre animarci: che certe crisi, alla Chiesa, non possono fare altro che bene. Se crediamo nella provvidenza, non possiamo che concludere che Dio permette che tanta immoralità venga a galla proprio perché vuole che la Chiesa ne esca risanata. La vergogna che sta sconvolgendo la Chiesa e potrebbe sembrare che la porterà, prima o poi, alla sua fine, in realtà sarà ciò che la purificherà dai suoi mali. Non dimentichiamo mai l’affermazione di Sant’Ambrogio: «<i>Abluitur undis, non quatitur</i>» (Lettera 2); le onde della tempesta, nonché scuotere la barca, finiscono per lavarla dalla sua sporcizia. </div>
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<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-23110976936033361152018-10-06T19:54:00.001+02:002018-10-06T19:54:42.969+02:00Durezza di cuore<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhStZSoC1sNjwqWXkHZ2E6GuPvq71l8-AYZhAiHuPU-A30tJbveCJccCWXJiy34J2G7EEFc3ho3mTldTh93plhfQpyP4G5Gt469PBJJ6Yf0B_v4I157N-6yD-H-U__Ib4anB9wO6aAfyUg/s1600/Quod+Deus+coniunxit.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="430" data-original-width="622" height="276" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhStZSoC1sNjwqWXkHZ2E6GuPvq71l8-AYZhAiHuPU-A30tJbveCJccCWXJiy34J2G7EEFc3ho3mTldTh93plhfQpyP4G5Gt469PBJJ6Yf0B_v4I157N-6yD-H-U__Ib4anB9wO6aAfyUg/s400/Quod+Deus+coniunxit.jpg" width="400" /></a></div>
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Al di là delle tante considerazioni che si possono fare sul vangelo di questa domenica, mi ha particolarmente impressionato il linguaggio che Gesú usa con i farisei. Da notare, come premessa, che Gesú, ai farisei che lo interrogano sulla liceità del divorzio, chiede: «Che cosa vi <i>ha ordinato </i>Mosè?». Segno, questo, che egli si attende che essi rispondano citando il sesto comandamento («Non commettere adulterio»). E invece quelli replicano: «Mosè <i>ha permesso </i>di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». Ignorando <i>la legge </i>che proibisce, ricordano <i>l’eccezione</i> che autorizza. Ebbene, per giustificare la deroga fatta da Mosè al comandamento di Dio, Gesú dà la seguente spiegazione: «<i>Per la durezza del vostro cuore </i>egli scrisse per voi questa norma».</div>
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<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
Mi hanno colpito molto queste parole di Gesú. Oggi un’affermazione del genere sarebbe inconcepibile. A seguito della “conversione pastorale” che la Chiesa ha compiuto negli ultimi cinquant’anni e che ha visto una forte accelerazione nell’ultimo quinquennio, nessuno si sognerebbe di rispondere nel modo in cui ha risposto Gesú. Oggi si direbbe: Per la vostra debolezza, per la vostra fragilità Mosè ha previsto una deroga al comandamento. E invece no; Gesú dice: «Per la durezza del vostro cuore». Si direbbe che, se in questo brano evangelico c’è qualcuno duro di cuore, secondo i parametri dell’odierna pastorale, questi sia proprio Gesú, non certo i farisei, che invece sono preoccupati di trovare nelle pieghe della legge divina, cosí esigente, qualsiasi appiglio per venire incontro alla fragilità umana. Gesú, anziché commuoversi di fronte alle difficoltà, alle prove, alle ferite di un’umanità sofferente, parla di “durezza di cuore”. A quanto pare, Gesú non si fa scrupolo di rinfacciare a questa umanità tanto piagata la sua durezza di cuore. Vogliamo accusare Gesú di insensibilità, di rigidità, di scarso senso pastorale, di chiusura dinanzi alle prove della vita e alla debolezza della natura umana? O, vista la distanza che separa il nostro linguaggio dal suo linguaggio, non sarà piuttosto il caso di interrogarci sulla validità degli attuali metodi pastorali?</div>
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Di fronte alla condiscendenza di Mosè e dei farisei verso l’umana debolezza, Gesú non esita a proporre agli uomini il progetto iniziale di Dio in tutta la sua purezza e sublimità. Un ideale astratto, lo si liquiderebbe sbrigativamente ai nostri giorni; un ideale che ignora i limiti oggettivi della nostra condizione creaturale. Se Gesú si mostra cosí esigente con noi, ci sarà pure un motivo. Non è forse venuto nel mondo proprio per risanare l’umanità malata e permetterle di rispondere, con la grazia, alla sua sublime vocazione? Il Concilio di Trento, citando Sant’Agostino, ci assicura: «Dio non comanda l’impossibile; ma, quando comanda, ti ammonisce di fare quello che puoi e di chiedere quello che non puoi, e ti aiuta perché tu possa farlo» (<i>Decreto sulla giustificazione</i>, c. 11; cf Agostino, <i>De natura et gratia</i>, 43, 50).</div>
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<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-64967482125082498332018-10-01T06:57:00.000+02:002018-10-01T06:57:18.098+02:00Il primato della tradizione<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi12LJaNKjHxcHQKVjfs1B3xAdgMr31AOSUJ7oauvXwi0CIkH7FXVPUzQwNgKjjyf3nkYYcHpExWdAhRHcroic0G_2fdp_FLPXZWYx-4XIGuPTEhFx15yKpWk_q2JQAZRN3_baPVFSX9ys/s1600/Rosica.gif" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="320" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi12LJaNKjHxcHQKVjfs1B3xAdgMr31AOSUJ7oauvXwi0CIkH7FXVPUzQwNgKjjyf3nkYYcHpExWdAhRHcroic0G_2fdp_FLPXZWYx-4XIGuPTEhFx15yKpWk_q2JQAZRN3_baPVFSX9ys/s400/Rosica.gif" width="255" /></a></div>
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<div style="text-align: justify;">
Continuo a ripensare al tema affrontato in uno degli ultimi post: <i>Una Chiesa piú sinodale? Perché no? </i>(<a href="https://querculanus.blogspot.com/2018/09/una-chiesa-piu-sinodale-perche-no.html" target="_blank">19 settembre 2018</a>). Continuo a ripensarci, perché mi sembra di non aver detto tutto quel che bisognava dire. Non che sia sbagliato ciò che ho scritto, ma non è sufficiente. Praticamente mi sono limitato a incoraggiare i lettori a non aver paura della sinodalità e a metterli in guardia dal pericolo delle <i>lobby</i>. E questo è vero. Ma il pericolo non viene solo dalle <i>lobby; </i>esso può venire anche da un episcopato che partecipa a un sinodo in buona fede, ma con l’atteggiamento sbagliato, pensando di poter decidere qualsiasi cosa. Un rischio, questo, nel quale può però incorrere anche il Romano Pontefice: esercitare il primato con la massima buona fede, ma con lo spirito di chi pensa di possedere un potere assoluto. Che voglio dire? Noi stiamo a discutere su primato pontificio e sinodalità, per stabilire se venga prima l’uno o l’altra; ma ci dimentichiamo che il problema non solo loro — il primato e la sinodalità — il vero problema sta nel come viene inteso un concilio, un sinodo o il ministero stesso del Papa. Ci dimentichiamo forse che la sinodalità e il primato non sono valori assoluti, ma relativi: essi sono degli strumenti in funzione di un bene superiore che essi devono perseguire. Quale? La conservazione, l’approfondimento e la trasmissione del deposito della fede. </div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
Il comando di Paolo a Timoteo è chiaro: <i>Depositum custodi</i> (1Tm 6:20; 2Tm 1:14). Purtroppo, nell’attuale traduzione italiana della Bibbia, la parola “deposito” è scomparsa, quasi fosse incomprensibile, e la si è sostituita con varie perifrasi, che comunque ne rendono il senso: «Custodisci ciò che ti è stato affidato» (1Tm 6:20); «Custodisci … il bene prezioso che ti è stato affidato» (2Tm 1:14). Nella prima lettera ai Corinzi, Paolo sottolinea inoltre l’importanza di trasmettere ciò che si è ricevuto: «<i>Ego enim accepi a Domino, quod et tradidi vobis </i>– Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso» (1Cor 11:23); «<i>Tradidi enim vobis in primis, quod et accepi</i> – A voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto» (1Cor 15:3). Se manca questo senso della tradizione, tanto le riunioni dei Vescovi quanto l’esercizio del primato romano rischiano di trasformarsi in manifestazioni di un potere dispotico, arbitrario, discrezionale.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Recentemente qualcuno — Padre Thomas Rosica, addetto stampa per la lingua inglese presso la Sala stampa vaticana — ha sostenuto che il Papa può fare quel che vuole:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
<i>Pope Francis breaks Catholic traditions whenever he wants because he is “free from disordered attachments.” Our Church has indeed entered a new phase: with the advent of this first Jesuit pope, it is openly ruled by an individual rather than by the authority of Scripture alone or even its own dictates of tradition plus Scripture. </i>– Papa Francesco rompe le tradizioni cattoliche quando vuole, perché è “libero da attaccamenti disordinati”. La nostra Chiesa è effettivamente entrata in una nuova fase: con l’avvento di questo primo Papa gesuita, è apertamente governata da un individuo piuttosto che dall’autorità della sola Scrittura o persino dai dettami della tradizione piú la Scrittura. (<i>The Ignatian Qualities of the Petrine Ministry of Pope Francis</i>, 31 luglio 2018: <a href="http://googleweblight.com/i?u=http://saltandlighttv.org/blogfeed/getpost.php%3Fid%3D72516&hl=pt-BR&tg=468&pt=8" target="_blank">qui</a>)</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Sconvolto da tali inquietanti dichiarazioni, sono andato a rileggermi la Costituzione dogmatica <i>Pastor aeternus</i> del Concilio Vaticano I (<a href="http://www.vatican.va/archive/hist_councils/i-vatican-council/documents/vat-i_const_18700718_pastor-aeternus_it.html" target="_blank">qui</a>). Di solito, ci si limita a leggere le definizioni dogmatiche di certi documenti, perdendo in tal modo la ricchezza teologica in essi contenuta, che sta alla base di quelle definizioni. Ebbene, se leggiamo il capitolo 4 della Costituzione (“Del magistero infallibile del Romano Pontefice”) troveremo tutta una serie di citazioni che ci fanno comprendere come vada inteso tale magistero, a prescindere dai limiti posti all’infallibilità pontificia nella definizione dogmatica. Viene innanzi tutto ripresa la “formula di Ormisda”, sottoscritta dal IV Concilio Costantinopolitano:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
<i>Prima salus est, rectae fidei regulam custodire. </i>– La salvezza consiste anzitutto nel custodire le norme della retta fede (<i>Denzinger-Schönmetzer</i> = DS 3066).</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Viene poi citato il II Concilio di Lione:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
[<i>Sancta Romana Ecclesia</i>] <i>prae ceteris tenetur fidei veritatem defendere. </i>– Spetta a lei [alla Chiesa Romana], prima di ogni altra, il compito di difendere la verità della fede (DS 3067).</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Si passa quindi a una veloce carrellata storica:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
[<i>Romani Pontifices</i>] <i>ea tenenda definierunt, quae sacris Scripturis et apostolicis traditionibus consentanea Deo adiutore cognoverant.</i> – [I Romani Pontefici] definirono che doveva essere mantenuto ciò che, con l’aiuto di Dio, avevano riconosciuto conforme alle sacre Scritture e alle tradizioni apostoliche (DS 3069).</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Ma l’affermazione piú interessante è quella che segue:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
<i>Neque enim Petri successoribus Spiritus Sanctus promissus est, ut eo revelante novam doctrinam patefacerent, sed ut eo assistente traditam per Apostolos revelationem seu fidei depositum sancte custodirent et fideliter exponerent.</i> – Lo Spirito Santo infatti non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede (DS 3070).</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Non si può infine dimenticare la Dichiarazione dei Vescovi tedeschi (gennaio-febbraio 1875) che, a quanto ne so, costituisce l’unica interpretazione autorevole del dogma dell’infallibilità pontificia, ratificata dallo stesso Pontefice Pio IX:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
[<i>Infallibilitas papalis</i>] <i>restringitur ad proprietatem summi magisterii papalis: id vero coincidit cum ambitu magisterii infallibilis ipsius Ecclesiae et est ligatum ad doctrinam in Sacra Scriptura et in traditione contentam necnon ad definitiones a magisterio ecclesiastico iam latas.</i> – [L’infallibilità pontificia] si restringe alla proprietà del sommo magistero papale: esso coincide con l’ambito del magistero infallibile della Chiesa stessa ed è legato alla dottrina contenuta nella Sacra Scrittura e nella tradizione, come pure alle definizioni già promulgate dal magistero ecclesiastico (DS 3116).</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Il Papa perciò non può fare ciò che vuole; è sottomesso anch’egli all’autorità della rivelazione, che è contenuta nella Scrittura e nella tradizione. Egli non può elaborare nuove dottrine. Ripetiamo ancora una volta, casomai non fosse sufficientemente chiaro, ciò che abbiamo appena letto: «<i>Lo Spirito Santo non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede</i>». Dovere del Papa è quello di custodire con scrupolo e far conoscere con fedeltà il deposito della fede. Ma anche i Vescovi, riuniti in Concilio o in Sinodo, hanno lo stesso dovere; non possono pensare che lo Spirito riveli loro qualcosa di nuovo. Devono solo custodire, approfondire, trasmettere ciò che è stato già rivelato e a loro affidato. Prima di una pur opportuna sinodalità, ma anche prima dello stesso primato pontificio, esiste un <i>primato della tradizione</i>, al quale tutti — Papa, Vescovi e fedeli — devono sentirsi sottomessi.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Solo se la fedeltà alla tradizione tornerà a essere per tutti la norma suprema e indiscussa, primato e sinodalità avranno un senso e potranno aiutarsi e arricchirsi a vicenda. In caso contrario, né l’uno né l’altra serviranno a nulla, se non a essere gettati via, come il sale che ha perso il sapore, e a essere calpestati dagli uomini (Mt 5:13).</div>
<div style="text-align: right;">
<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-11166938161422833472018-09-24T16:54:00.000+02:002018-09-24T16:54:25.850+02:00Un passo indietro<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVTvnt1ITPCof6HWgViuEhkdKeOruB8EqvVILpwpofQGwXYELPh9zsAcBYJZk9K2u8A7F6U4UunwNcyNmIBghZs1tcyZSNSTN5YTLrA5XHK76YDW20huVYZU8t-6r9OhH6_w3ow_I5A-o/s1600/China+%2526+Vatican.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="507" data-original-width="760" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgVTvnt1ITPCof6HWgViuEhkdKeOruB8EqvVILpwpofQGwXYELPh9zsAcBYJZk9K2u8A7F6U4UunwNcyNmIBghZs1tcyZSNSTN5YTLrA5XHK76YDW20huVYZU8t-6r9OhH6_w3ow_I5A-o/s400/China+%2526+Vatican.jpg" width="400" /></a></div>
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<div style="text-align: justify;">
Non è facile esprimere un giudizio sul recente “<a href="http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/09/22/0673/01468.html" target="_blank">Accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei Vescovi</a>” per due motivi. Innanzi tutto, per una questione di principio: si tratta di un problema estremamente complesso e delicato, su cui solo chi è addentro alle cose e ha vissuto direttamente la trattativa può dire qualcosa; chi è estraneo rischia di fare chiacchiere da bar. C’è poi un motivo pratico: dell’accordo non si conoscono i termini. Come si fa a giudicare qualcosa che si ignora? Il fatto di non poter emettere giudizi non impedisce tuttavia di fare delle osservazioni. Da semplice spettatore, che osserva ciò che accade intorno a lui.</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
1. La prima osservazione riguarda appunto la segretezza dell’accordo. Viviamo nell’epoca della comunicazione; siamo informati su ciò che avviene nel mondo in tempo reale; si fa un gran parlare di trasparenza; e poi si conclude un accordo fra la Santa Sede e la RPC sulla nomina dei Vescovi, se ne dà l’annuncio ufficiale, ma non si dice una parola sui suoi contenuti. Mi sembra che ci sia qualcosa che non va. Nonostante la segretezza dell’intesa, però, tutti gli osservatori sono d’accordo nel dire che, con essa, si riconosce al governo cinese il diritto di nomina dei Vescovi, riservando al Sommo Pontefice un non meglio precisato diritto di veto.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
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2. Nella Chiesa cattolica si è svolto recentemente (poco piú di cinquant’anni fa) un concilio ecumenico, di cui si va particolarmente fieri: non si perde l’occasione per tesserne le lodi. E a ragione, direi. Ebbene, che cosa afferma il Concilio Vaticano II a proposito della nomina dei Vescovi?</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Poiché il ministero apostolico dei Vescovi è stato istituito da Cristo Signore e mira ad un fine spirituale e soprannaturale, questo Santo Sinodo Ecumenico dichiara che il diritto di nominare e di costituire i Vescovi è proprio, peculiare e di per sé esclusivo della competente autorità ecclesiastica. </blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Perciò, per difendere debitamente la libertà della Chiesa e per promuovere sempre piú adeguatamente e speditamente il bene dei fedeli, questo Santo Concilio fa voti che, per l’avvenire, alle autorità civili non siano piú concessi diritti o privilegi di elezione, nomina, presentazione o designazione all’ufficio episcopale. A quelle autorità civili poi che ora, in virtú di una convenzione o di una consuetudine, godono dei suddetti diritti o privilegi, questo Sinodo, mentre esprime riconoscenza e sincero apprezzamento per l’ossequio da loro dimostrato verso la Chiesa, rivolge viva preghiera, affinché, previe intese con la Santa Sede, ad essi vogliano spontaneamente rinunziare (Decreto sull’ufficio pastorale dei Vescovi <i>Chrisus Dominus</i>, n. 20).</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Il Concilio affermava un principio («Il diritto di nominare e di costituire i Vescovi è proprio, peculiare e di per sé esclusivo della competente autorità ecclesiastica») ed esprimeva un voto («Per l’avvenire, alle autorità civili non siano piú concessi diritti o privilegi di elezione, nomina, presentazione o designazione all’ufficio episcopale»). Ciò che nel Concilio era un semplice auspicio nel Codice di diritto canonico è diventato una precisa direttiva:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Can. 377 – § 1. Il Sommo Pontefice nomina liberamente i Vescovi, oppure conferma quelli che sono stati legittimamente eletti.</blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
(<i>I §§ 2-4 descrivono l’attuale procedura per la nomina dei Vescovi</i>)</blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
§ 5. Per il futuro non verrà concesso alle autorità civili alcun diritto e privilegio di elezione, nomina, presentazione o designazione dei Vescovi.</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Che, per raggiungere un accordo, si debba scendere a qualche compromesso, fa parte della natura delle cose. Ma in genere, nelle trattative, ci sono dei principi su cui le parti non sono disposte a transigere. Uno di questi, per la Chiesa, è il diritto nativo ed esclusivo a nominare i Vescovi. Per veder riconosciuto dalle autorità civili tale diritto la Chiesa ha lottato per secoli. E ora, pur di raggiungere un’intesa, si cede su un punto che sembrava dovesse essere considerato inderogabile?</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
3. E qui veniamo alla terza osservazione, di carattere storico. Mi limiterò a riportare l’<i>excursus </i>contenuto nel commento giuridico-pastorale al <i>Codice di diritto canonico</i>, a cura di Luigi Chiappetta, Edizioni Dehoniane, Napoli, 1988, vol. I, pp. 465-466 (non è chiaro se si tratti di un testo del Curatore o semplicemente di una citazione ripresa dalla rivista <i>Communicationes;</i> ma ciò che è importante è il contenuto):</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
È noto come, nei primi secoli, i Vescovi venivano eletti dal Clero e dal popolo, con l’approvazione dei Vescovi viciniori o del Metropolita, a cui spettava consacrare l’eletto. Una tale procedura — che, a partire dal sec. IV, venne spesso intralciata dagl’Imperatori bizantini, con la nomina diretta dei Vescovi, specialmente nelle sedi patriarcali — in Occidente durò piú a lungo. L’intromissione dei Sovrani ebbe inizio in Europa con Carlomagno, e si accrebbe in seguito con la creazione della feudalità ecclesiastica, ad opera di Ottone I il Grande della Casa di Sassonia (912-973). La situazione ecclesiastica divenne gravissima nel secolo successivo, e dette luogo alla “lotta per le investiture”, condotta in particolare con eroica fermezza da Gregorio VII (1073-1085). Il Concordato di Worms, concluso il 23 settembre 1122 tra Callisto II ed Enrico V, pose fine ufficialmente alla drammatica lotta, durata circa mezzo secolo. Con esso, l’elezione dei Vescovi venne sottratta all’ingerenza dell’Imperatore. Di fatto però, secondo il diritto delle Decretali, l’elezione canonica passò quasi completamente nelle mani dei Capitoli cattedrali, con esclusione degli altri ecclesiastici e dei laici.</blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Successivamente, il Romano Pontefice intese far valere i suoi diritti di Capo della Chiesa, e cominciò a riservare a sé la nomina dei Vescovi (sec. XIII). Tale riserva divenne quasi generale nel sec. XIV, ma in seguito, per la pressione dei Sovrani, la Santa Sede fu costretta a cedere, e molti principi (Francesco I di Francia, col Concordato del 1516) ottennero di nominare i Vescovi per il loro territorio. Il Papa conferiva l’istituzione canonica e concedeva la bolla.</blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Oggi, eccettuate alcune sedi della Germania, dell’Austria e della Svizzera, in cui l’elezione dei Vescovi spetta ai Capitoli cattedrali, i Vescovi, nella Chiesa latina, sono nominati di regola dalla Santa Sede. Il Codice attuale non ha inteso sopprimere tali privilegi per cui il can. 377, § 1, afferma che spetta al Romano Pontefice effettuare liberamente la nomina dei Vescovi o confermare i candidati eletti legittimamente. In forza del can. 1, l’attuale canone vale ovviamente per la Chiesa latina (<i>Communicationes</i>, a. 1986, p. 119, can. 4, § 1; p. 121, n. 1).</blockquote>
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A prescindere da qualsiasi valutazione di opportunità politica o pastorale — che, come dicevamo, non è di nostra competenza — l’Accordo firmato nei giorni scorsi con la RPC costituisce, oggettivamente, da un punto di vista storico, un passo indietro. Se di cinquecento o mille anni, vedete voi.</div>
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<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-13482685918837250322018-09-21T12:18:00.000+02:002018-09-21T12:18:08.080+02:00Il “paradiso” della Bibbia<br />
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<iframe allow="encrypted-media" allowtransparency="true" frameborder="0" height="725" scrolling="no" src="https://www.facebook.com/plugins/post.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Fcaniato%2Fposts%2F10217416744559610&width=500" style="border: none; overflow: hidden;" width="500"></iframe></div>
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Ieri l’amico Don Andrea ha postato su <i>Facebook </i>un appunto piuttosto preoccupato per la possibile pubblicazione di una seconda edizione italiana della Liturgia delle ore, che adotterebbe la traduzione dei Salmi contenuta nella nuova Bibbia CEI del 2008.</div>
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Personalmente, non provo la stessa preoccupazione, perché da ormai piú di trent’anni recito la Liturgia delle ore in latino. Uso la traduzione italiana solo in occasione degli incontri comunitari con i confratelli; per alcuni anni, quando ero responsabile della formazione nelle Filippine e in India, mi sono servito della traduzione inglese. Ciò non significa però che l’eventualità ventilata da Don Andrea mi lasci indifferente.</div>
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Mi sono già occupato piú volte su questo blog della nuova traduzione della Bibbia della CEI, che nel complesso non mi dispiace. Mi sono permesso però di fare alcune osservazioni critiche specialmente a proposito dei Salmi (<a href="https://querculanus.blogspot.com/2010/09/la-nuova-traduzione-della-cei.html" target="_blank">qui</a> e <a href="https://querculanus.blogspot.com/2010/10/ancora-sulla-settanta.html" target="_blank">qui</a>). Il grosso problema della traduzione del Salterio è: quale testo tradurre? Fino al secolo scorso, la Chiesa aveva sempre optato per il testo greco della Settanta; a partire dall’enciclica <a href="http://w2.vatican.va/content/pius-xii/it/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_30091943_divino-afflante-spiritu.html" target="_blank"><i>Divino afflante Spiritu</i></a><span id="goog_769431575"></span><a href="https://www.blogger.com/"></a><span id="goog_769431576"></span> (1943) di Pio XII, si preferisce che le traduzioni bibliche siano condotte sui testi originali (opzione confermata dal Concilio Vaticano II, <i>Dei Verbum</i>, n. 22). Quando si tratta dell’Antico Testamento, si dà per scontato che il testo originale sia il testo masoretico (il che è quanto meno opinabile); per cui ci si sente in dovere di tradurre l’AT, Salmi compresi, dal testo masoretico. I risultati di questa mentalità li troviamo nella nuova traduzione dei Salmi della CEI (gli esempi che facevo nei due post su riportati mi sembrano abbastanza significativi).</div>
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Che fare? Secondo me, l’unica soluzione è quella di fare ciò che la Chiesa ha sempre fatto: separare il Salterio dal resto della Bibbia ufficialmente adottata. Quando la Chiesa decise di fare propria la Volgata di San Girolamo (il Concilio di Trento la dichiarò “autentica”), pensò bene di conservare il Salterio precedentemente in uso, il cosiddetto <i>Salterio gallicano</i>, che altro non è che la revisione dei Salmi condotta dallo stesso Girolamo sulla LXX, rifiutando con ciò la sua nuova traduzione del Salterio fatta sul testo ebraico (<i>juxta Hebraeos</i>) e contenuta nella Volgata. Qualcosa di simile è accaduto ai nostri giorni nel mondo di lingua inglese, dove vengono usate diverse traduzioni della Bibbia (<i>Jerusalem Bible </i>in Inghilterra, <i>New American Bible</i> negli Stati Uniti, <i>Revised Standard Version </i>in altri paesi), ma per la Liturgia delle ore tutti recitano i Salmi nella traduzione di <i>The Grail </i>(1963). Recentemente, ne è stata pubblicata una nuova edizione: <i>The Revised Grail Psalms</i>, curata dai Benedettini di Collegeville, Minnesota (2010). Nel decreto di approvazione della Congregazione per il culto divino si dice chiaramente che si tratta di un “Salterio liturgico da usare in tutti i futuri libri liturgici” (di fatto, ciò non è ancora mai avvenuto, dal momento che il nuovo lezionario era già uscito prima della pubblicazione del nuovo Salterio, e della Liturgia delle ore non è ancora in vista una nuova edizione).</div>
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Qualcosa di simile si potrebbe fare anche in Italia. Nella Bibbia della CEI c’è una nuova traduzione dei Salmi, condotta sul testo ebraico? Bene, lí rimanga. Per la liturgia si continui a usare il Salterio della precedente versione CEI. Se proprio se ne rendesse necessaria una revisione, questa dovrebbe essere condotta, secondo le norme di <i>Liturgiam authenticam</i> (che è stata… rottamata, ma non abrogata!), sulla Neovolgata (anch’essa desta, almeno per i Salmi, non poche perplessità; ma rimane pur sempre il testo ufficiale della Bibbia nella Chiesa latina). Tale revisione, anziché essere affidata ai biblisti di fiducia della CEI, dovrebbe, a mio parere, essere affidata ai Benedettini, i quali alla conoscenza del testo possono aggiungere l’esperienza del canto.</div>
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Il Salterio non può essere messo sullo stesso piano degli altri libri dell’AT. Esso può essere considerato come una specie di compendio dell’intera Scrittura. Sant’Atanasio lo descriveva come il “giardino paradisiaco, nel quale si possono cogliere i frutti di tutti gli altri testi ispirati” (<i>paradisus omnium reliquorum librorum fructus in se continens</i>). Noi cristiani preghiamo i Salmi non come li potevano pregare gli antichi Israeliti, ma proprio in quanto cristiani. Intestardirsi a voler tradurre letteralmente il testo ebraico (oltretutto, con la presunzione di essere noi piú bravi dei Settanta…), se ci aiuta — forse — a recuperare il significato originario del testo, può impedirci di cogliere il loro riferimento a Cristo. Come giustamente ci ricordava Giovanni Paolo II (<a href="http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/2001/documents/hf_jp-ii_aud_20010328.html" target="_blank">Udienza generale</a> del 28 marzo 2001), nei Salmi si parla di Cristo, si parla a Cristo, ci parla Cristo. Beh, la nuova traduzione della CEI, in non pochi casi, impedisce che ciò avvenga.</div>
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<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-59844471880472512132018-09-19T19:53:00.001+02:002018-09-27T12:59:29.798+02:00Una Chiesa piú sinodale? Perché no?<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZoLoodmhGCR-0Q0XmEX207jk6eywB4zkHAetITRmA3f9CrYTEEwZveyqw4hHLlcwijuAJLNQ1ynLEND4Yxootb54E2KCbADpNiR29W3DQ31gdb57rID70Nd1BHRdHj3FQsZSCXx1eLC0/s1600/Sinodo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="544" data-original-width="768" height="282" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiZoLoodmhGCR-0Q0XmEX207jk6eywB4zkHAetITRmA3f9CrYTEEwZveyqw4hHLlcwijuAJLNQ1ynLEND4Yxootb54E2KCbADpNiR29W3DQ31gdb57rID70Nd1BHRdHj3FQsZSCXx1eLC0/s400/Sinodo.jpg" width="400" /></a></div>
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Le rivoluzioni sono sempre stati fenomeni fondamentalmente elitari. L’esempio piú eclatante è dato dalla rivoluzione napoletana del 1799, di cui si occupò Vincenzo Cuoco nel suo <i>Saggio storico: </i>quella rivoluzione fallí, secondo lo scrittore napoletano, perché fu una “rivoluzione passiva”, cioè subita dal popolo. Ma anche le rivoluzioni riuscite, come la rivoluzione francese o quella russa, non furono meno elitarie della rivoluzione partenopea, anche se i manuali scolastici si sforzano di presentarcele come fenomeni di massa. Esse riuscirono non perché furono sollevazioni popolari, ma perché, a un cero punto, si trasformarono in dittature, e un uomo forte — Napoleone, Lenin o Stalin che sia — permise loro di imporsi in maniera definitiva. Veri fenomeni popolari sono invece le insorgenze controrivoluzionarie (a cominciare dalla Vandea), destinate però, in genere, al fallimento, proprio perché carenti di <i>leader</i> che permettessero loro di prevalere.</div>
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Le <i>élites</i> rivoluzionarie hanno sempre avuto sulle labbra il popolo — o meglio, il Popolo con la “p” maiuscola — ma per loro il popolo è sempre stato piú che altro uno slogan, un’idea astratta. Alle <i>élites</i>, del popolo reale in carne e ossa, interessa ben poco; a loro non interessa la realtà, ma l’ideologia. Il popolo — quello vero — in genere non è rivoluzionario, ma attaccato alla tradizione. Lo dimostrano, appunto, le insorgenze popolari contro la rivoluzione francese e contro i tentativi di imporre le idee giacobine nel resto d’Europa. Ma anche nei secoli successivi, ogni volta che al popolo è stata data la possibilità di esprimersi liberamente, esso ha solitamente mostrato un orientamento moderato. </div>
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Si consideri ciò che sta avvenendo in questi anni in Occidente, dove, senza che ci sia stata alcuna rivoluzione ufficiale, il potere è ormai concentrato nelle mani di poche <i>élites</i>. Ovviamente anche le attuali <i>élites</i>, come quelle di tutti i tempi, si presentano come avanzate, mentalmente aperte e sensibili ai bisogni dell’umanità; si riempiono la bocca di democrazia, libertà, uguaglianza, diritti umani, ecc. Di fatto, sono preoccupate esclusivamente di perpetuare i loro privilegi. Il popolo, o meglio i popoli (perché, come abbiamo visto, il “popolo” non esiste, è una pura astrazione) hanno cominciato ad aprire gli occhi, e quando hanno la possibilità di votare, nonostante il lavaggio del cervello dei media saldamente controllati dalle <i>élites</i>, scelgono le forze politiche populiste.</div>
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La Chiesa non fa eccezione alla regola. Anche nella Chiesa è in corso, ormai da molti anni, una rivoluzione, che si vuol far credere essere una riforma voluta dalla base — dal “popolo di Dio” — ma in realtà è una vera e propria rivoluzione portata avanti da una ristretta <i>élite</i>, che a poco a poco è riuscita a occupare tutti gli spazi di potere, raggiungendo negli anni piú recenti i vertici della Chiesa. Anche in questo caso si parla di popolo di Dio, di Chiesa del popolo, di comunità di base, di decentramento, di maggiore spazio alle Chiese locali, alle conferenze episcopali, ai laici, alle donne. Di fatto, si sta realizzando una centralizzazione che non si era mai vista nella storia della Chiesa e si assiste alla diffusione di una mentalità sempre piú clericale. Si parla di ascolto, ma non si tiene conto di alcuna posizione alternativa e non è ammessa alcuna forma di dissenso. Si ha l’impressione che l’unica preoccupazione dell’<i>élite</i> al potere nella Chiesa sia quella di attuare un’agenda prestabilita, in nessun modo modificabile.</div>
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Il paradosso è che i cattolici tradizionalisti, che si sono sempre opposti a qualsiasi tipo di riforma, perché, a loro giudizio, poteva mettere in discussione la struttura gerarchica della Chiesa e minare il primato del Romano Pontefice, ora sono i primi a contestare le iniziative del Papa e arrivano, in qualche caso, a chiederne addirittura le dimissioni. I cattolici progressisti, invece, che sono sempre stati i sostenitori dei diritti delle Chiese locali, delle conferenze episcopali, dei laici, delle donne, dei popoli del terzo mondo, ecc., hanno pensato bene di scalare il potere per poter attuare il loro programma. Il bello è che tutte quelle categorie, che essi hanno contribuito ad emancipare nella Chiesa, si stanno rivelando tutt’altro che rivoluzionarie (si pensi, solo per fare un esempio, all’opposizione al “nuovo corso” che viene dall’episcopato africano o dai laici americani). Anche nella Chiesa, il “popolo” sta dimostrando di essere molto piú conservatore di quanto non ci si attendesse; anche nella Chiesa, rivoluzionarie sono, ancora una volta, soltanto le <i>élites</i>. Dare piú spazio alla base della Chiesa non ha costituito finora un pericolo per la conservazione della fede. I pericoli stanno venendo solo dalle <i>élites</i> clericali.</div>
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Questa lunga introduzione per arrivare a parlare della Costituzione apostolica <i>Episcopalis communio</i> sul Sinodo dei Vescovi, pubblicata in data 15 settembre e presentata ieri alla stampa (<a href="http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_constitutions/documents/papa-francesco_costituzione-ap_20180915_episcopalis-communio.html" target="_blank">qui</a>). A parte la forma del documento (“costituzione apostolica”), che mi fa tanto subito pensare alle pressioni di un anno fa esercitate sul Papa da alcuni membri dell’episcopato tedesco, perché le riforme fossero “scolpite nella pietra” per mezzo, appunto, di una costituzione apostolica (<a href="https://querculanus.blogspot.com/2017/09/riforme-e-controriforme.html" target="_blank">qui</a>), non mi sento di esprimere un giudizio sui suoi contenuti. L’ho letta; non ci trovo nulla di rivoluzionario; per dare una valutazione, bisognerebbe avere un’esperienza diretta, che io ovviamente non ho. La mia unica preoccupazione è che alle parole seguano i fatti. Tanto per fare un esempio, se si parla di “ascolto del Popolo di Dio” (n. 6), è auspicabile che tale ascolto ci sia davvero. Il timore è che, di fatto, esso si riduca all’ascolto dei soliti noti, scambiati per il “popolo di Dio”. Si parla di “consultazione dei fedeli”: ben venga! La paura è che essa possa risolversi nella consultazione dei soliti organismi di partecipazione, costituiti dalle varie <i>élites</i> a livello parrocchiale, diocesano, nazionale, ecc. </div>
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C’è poi la preoccupazione, ancora piú grave, che è stata espressa ieri dalla <i>Nuova Bussola Quotidiana</i> (<a href="http://www.lanuovabq.it/it/lagenda-e-gia-scritta-il-sinodo-diventa-solo-un-pretesto" target="_blank">qui</a>), riassunta nel titolo dell’articolo di Stefano Fontana: “L’agenda è già scritta, il Sinodo diventa solo un pretesto”. Quelle di Fontana sono parole forti, ma certamente non infondate: tutti abbiamo ben viva la memoria di come sono andate le cose negli ultimi due Sinodi sulla famiglia… Il timore è quindi che la riforma del Sinodo serva solo a renderlo uno strumento piú malleabile per introdurre nella Chiesa riforme di carattere eversivo. Spero che il futuro dimostri che tali preoccupazioni erano eccessive.</div>
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Quel che mi preme invece qui ribadire è che, ammessa la bontà di questa e di altre riforme e la buona fede di chi le promuove, non si deve aver paura di una Chiesa piú sinodale e piú popolare. Come ho cercato di dimostrare in questo post, non bisogna aver paura del popolo, tanto meno del popolo di Dio. Giustamente <i>Episcopalis communio</i> richiama il <i>sensus fidelium</i>, che un po’ liberamente, ma correttamente traduce come “fiuto che ha il popolo di Dio” (n. 5). Il popolo di Dio non può sbagliarsi nel credere. È piú facile che sbagli una persona — fosse pure un Vescovo o il Papa — che non la totalità dei fedeli. Io rimango stupefatto, in questo periodo di profonda crisi della Chiesa, dalla richiesta di pulizia che sale dai fedeli. Di fronte a un clero che sta dando pessima prova di sé, si pone un laicato che non si limita a restare scandalizzato, ma esige che sia fatta pulizia. Questi laici non sono caduti dal cielo: sono cresciuti in questi anni in mezzo a noi; anche noi abbiamo contribuito a formarli; certamente hanno lasciato il segno su di loro il magistero e l’esempio di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Questi laici hanno dato ascolto a quello che noi — preti, Vescovi, Papi — dicevamo loro; ci hanno preso sul serio. Siamo stati noi a non prendere sul serio quello che dicevamo… Perciò che paura dobbiamo avere a lasciare piú spazio ai laici?</div>
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Similmente, a mio parere, non bisogna aver paura a dare piú spazio ai Vescovi. La Chiesa è sempre stata sinodale e ha conservato il deposito della fede proprio attraverso i concili e i sinodi dei Vescovi. A questo proposito vi consiglio di leggere l’intervento, interessantissimo, del Prof. Dario Vitali alla presentazione della costituzione apostolica (<a href="http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/09/18/0654/01387.html#vita" target="_blank">qui</a>). Anzi, visto ciò che sta accadendo ai nostri giorni nella Chiesa cattolica, si direbbe che le Chiese ortodosse, con la loro struttura sinodale, abbiano conservato la fede meglio di quanto non siamo riusciti a fare noi con la nostra struttura primaziale. I concili e i sinodi, se svolti in un clima di obbedienza allo Spirito e nella fedeltà alla tradizione, non possono che giovare al bene della Chiesa.</div>
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L’unica cosa di cui bisogna aver paura sono le <i>lobby</i>, che tentano di impossessarsi di questi organismi per farne gli strumenti per sovvertire la Chiesa. Ma ho l’impressione che tali trame, che potevano risultare abbastanza facili fino a qualche anno fa (si pensi all’opera di <i>lobbying</i> svolta durante il Concilio Vaticano II), con i mezzi di informazione che abbiamo oggi a disposizione si stiano rivelando sempre piú difficili. È necessario che i fedeli esercitino un’attenta vigilanza, perché nei prossimi Sinodi tutto si svolga regolarmente e possa cosí essere scoraggiato qualsiasi tentativo di manipolazione. </div>
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<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-68470306728159103332018-09-17T08:57:00.000+02:002018-09-17T08:57:07.688+02:00Dottori di serie B?<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMPhNtFMk9oRKsgC11SSITQzMUoqcLvQMz50wBBxv4gzHBJ8ciLxwNmVPbaoResulHZsaBIWuw3jUU1iTMls03gZmfgTlMAOAqxaBYW8y9LzHpgJChMKh4sxkObzKMQs2wVtFMe2swBD0/s1600/Ildegarda.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="251" data-original-width="201" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgMPhNtFMk9oRKsgC11SSITQzMUoqcLvQMz50wBBxv4gzHBJ8ciLxwNmVPbaoResulHZsaBIWuw3jUU1iTMls03gZmfgTlMAOAqxaBYW8y9LzHpgJChMKh4sxkObzKMQs2wVtFMe2swBD0/s320/Ildegarda.jpg" width="256" /></a></div>
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Ricorre oggi il <i>dies natalis </i>di Santa Ildegarda di Bingen (1098-1179). Il <i>Martirologio Romano</i> la ricorda con queste parole:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Nel monastero di Rupertsberg vicino a Bingen nell’Assia, in Germania, santa Ildegarda, vergine, che, esperta di scienze naturali, medicina e di musica, espose e descrisse piamente in alcuni libri le mistiche contemplazioni, di cui aveva avuto esperienza.</blockquote>
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</div>
<a name='more'></a>Il <i>Martirologio</i> (l’ultima edizione è stata pubblicata nel 2004) dunque la considerava già come santa della Chiesa universale (i santi e i beati, il cui culto è circoscritto a una diocesi o a una famiglia religiosa, vengono indicati nel <i>Martirologio</i> con un asterisco). Nonostante ciò, siccome i processi di canonizzazione di Ildegarda non si erano mai ufficialmente conclusi, il 10 maggio 2012 Benedetto XVI, procedeva alla cosiddetta “canonizzazione equipollente”, con la quale estendeva in via definitiva a tutta la Chiesa il culto liturgico della santa (si veda in proposito la <a href="http://www.causesanti.va/content/causadeisanti/it/archivio/amato/prolusione-studium-2013.html" target="_blank">prolusione allo <i>Studium</i></a> del Card. Angelo Amato). Il 7 ottobre successivo il medesimo Pontefice proclamava Ildegarda dottore della Chiesa (<a href="https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/apost_letters/documents/hf_ben-xvi_apl_20121007_ildegarda-bingen.html" target="_blank">lettera apostolica</a>), insieme col sacerdote spagnolo Giovanni d’Avila (<a href="https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/apost_letters/documents/hf_ben-xvi_apl_20121007_giovanni-avila.html" target="_blank">lettera apostolica</a>).<br />
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
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Fino a quella data tutti e 33 i dottori della Chiesa — 30 uomini e 3 donne (Caterina da Siena, Teresa d’Avila e Teresa di Lisieux) — erano iscritti nel calendario romano generale, e se ne poteva (o doveva) perciò celebrare la memoria liturgica (18 memorie obbligatorie e 14 memorie facoltative). Degli ultimi 3 dottori della Chiesa (a Ildegarda di Bingen e a Giovanni d’Avila va aggiunto Gregorio di Narek dichiarato dottore da Papa Francesco il 12 aprile 2015: <a href="http://w2.vatican.va/content/francesco/la/apost_letters/documents/papa-francesco_lettera-ap_2015412_gregorius-narecensis-doctor-ecclesiae.html" target="_blank">lettera apostolica</a>) nessuno è stato ancora iscritto nel calendario liturgico. Perché? Incominciamo ad avere dottori di serie A e dottori di serie B? Eppure, non sarebbe molto difficile rimediare alla dimenticanza: è sufficiente un brevissimo decreto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, con cui si stabilisca che vengono introdotte nel calendario romano generale le seguenti memorie facoltative: </div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<ul>
<li>27 febbraio, San Gregorio di Narek, monaco e dottore della Chiesa</li>
<li>10 maggio, San Giovanni d’Avila, sacerdote e dottore della Chiesa</li>
<li>17 settembre, Sant’Ildegarda di Bingen, vergine e dottore della Chiesa.</li>
</ul>
<br />
<div style="text-align: justify;">
E in allegato si aggiunga il testo delle rispettive orazioni.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
E giacché ci siamo, visto che ormai sono quattro le donne a cui è stato riconosciuto il titolo di “dottore” (<i>doctor</i>) della Chiesa, non sarebbe il caso di attribuire loro il piú corretto “dottrice” (<i>doctrix Ecclesiae</i>)? In italiano il termine non esiste (il femminile di “dottore” è “dottoressa”); ma in latino, sí (si veda il <a href="http://lexica.linguax.com/forc2.php?searchedLG=doctrix" target="_blank">Forcellini</a> o il <a href="http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus%3Atext%3A1999.04.0059%3Aalphabetic+letter%3DD%3Aentry+group%3D48%3Aentry%3Ddoctrix" target="_blank">Lewis-Short</a>), e non si vede perché non si debba usarlo. In italiano, ci farà un po’ sorridere all’inizio, ma, una volta abituati, diventerà la cosa piú ovvia parlare di una santa <i>dottrice della Chiesa</i>. Non è una questione di moda, ma di correttezza grammaticale. E di rispetto per le donne.</div>
<div style="text-align: right;">
<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-64052297302353577082018-09-14T09:07:00.001+02:002018-09-14T09:21:46.092+02:00Clericalismo?<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1wGRmi6xiU7ROp2fPNUX_lEdjoYD_eLEVxm4KnKScVR00mrPPNK9p3O6jOXmbzulIb66FlpRMuV85W7Nkkg3M3IxAUBsWOk3IVCszr3bYKAc_payKKwqCNGYgEq-6bvq9xoK2k47gltc/s1600/cupich-vigano.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="711" data-original-width="949" height="298" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1wGRmi6xiU7ROp2fPNUX_lEdjoYD_eLEVxm4KnKScVR00mrPPNK9p3O6jOXmbzulIb66FlpRMuV85W7Nkkg3M3IxAUBsWOk3IVCszr3bYKAc_payKKwqCNGYgEq-6bvq9xoK2k47gltc/s400/cupich-vigano.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
Nel suo memoriale, l’Arcivescovo Viganò, parlando del Card. Cupich, ha scritto:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Ostentando la sua particolare competenza in materia, essendo stato Presidente del <i>Committee on Protection of Children and Young People </i>della USCCB, ha asserito che il problema principale nella crisi degli abusi sessuali da parte del clero non è l’omosessualità e che affermarlo è solo un modo per distogliere l’attenzione dal vero problema che è il clericalismo.</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<a name='more'></a>Viganò si stava riferendo a un’intervista rilasciata da Cupich alla rivista <a href="https://www.americamagazine.org/faith/2018/08/07/cardinal-cupich-supports-investigation-mishandling-mccarrick-complaints" target="_blank"><i>America</i></a> il 7 agosto 2018:<br />
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
I really believe that the issue here is more about a culture of clericalism in which some who are ordained feel they are privileged and therefore protected so that they can do what they want … [I] would not want to reduce this simply to the fact that there are some priests who are homosexual. I think that is a diversion that gets away from the clericalism that’s much deeper as a part of this problem.</blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Sono convinto che in questo caso il problema consista piuttosto in una cultura clericale, nella quale alcuni che sono ordinati si sentono privilegiati e perciò protetti in modo da poter fare ciò che vogliono … Io non vorrei ridurre questo problema semplicemente al fatto che ci sono alcuni preti omosessuali. Io penso che si tratti di un diversivo per distogliere dal clericalismo, che è una parte molto piú profonda di questo problema.</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Il 20 agosto 2018 Papa Francesco ha scritto una <a href="http://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2018/documents/papa-francesco_20180820_lettera-popolo-didio.html" target="_blank">lettera al popolo di Dio</a>, nella quale ha scritto:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Ogni volta che abbiamo cercato di soppiantare, mettere a tacere, ignorare, ridurre a piccole <i>élites </i>il Popolo di Dio abbiamo costruito comunità, programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva senza vita. Ciò si manifesta con chiarezza in un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa — molto comune in numerose comunità nelle quali si sono verificati comportamenti di abuso sessuale, di potere e di coscienza — quale è il clericalismo, quell’atteggiamento che «non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente» [<i>Lettera al Cardinale Marc Ouellet</i>, 19 marzo 2016]. Il clericalismo, favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo. Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo.</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Durante il suo viaggio in Irlanda (25-26 agosto 2018), Papa Francesco ha di nuovo fatto riferimento al clericalismo nel <a href="http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/august/documents/papa-francesco_20180826_dublino-irlanda-vescovi.html" target="_blank">discorso rivolto ai Vescovi</a> e, soprattutto, nell’incontro avuto con i suoi confratelli gesuiti: </div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Io ho capito una cosa con grande chiarezza: questo dramma degli abusi, specialmente quando è di proporzioni ampie e dà grande scandalo — pensiamo al caso del Cile e qui in Irlanda o negli Stati Uniti —, ha alle spalle situazioni di Chiesa segnate da elitismo e clericalismo, una incapacità di vicinanza al popolo di Dio. L’elitismo, il clericalismo favoriscono ogni forma di abuso. E l’abuso sessuale non è il primo. Il primo è l’abuso di potere e di coscienza … L’abuso sessuale è conseguenza dell’abuso di potere e di coscienza … L’abuso di potere esiste: chi tra di noi non conosce un vescovo autoritario? Sempre nella Chiesa sono esistiti superiori religiosi o vescovi autoritari. E l’autoritarismo è clericalismo (<a href="http://www.laciviltacattolica.it/articolo/occorre-ridare-vita/" target="_blank"><i>La Civiltà Cattolica</i></a>, quaderno 4038, 15 settembre 2018, pp. 447-451).</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Che cos’è il clericalismo? Se consultiamo un dizionario italiano, siamo destinati a rimanere delusi. Lo Zingarelli dà la seguente definizione, di carattere storico-politico:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Atteggiamento, tendenza di coloro che, nella pratica politica, si propongono soprattutto la tutela dei diritti della Chiesa e l’applicazione dei suoi principi nell’ordine civile.</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Come si vede, si tratta di un significato che non ha nulla a che fare con l’argomento che stiamo trattando. Troviamo una definizione simile nel <a href="http://www.treccani.it/vocabolario/clericalismo" target="_blank">vocabolario Treccani</a>:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
L’atteggiamento di chi sostiene la partecipazione attiva e determinante del clero e del laicato cattolico al governo dello stato, e di chi, prendendo parte alla vita pubblica, subordina le sue scelte politiche agli interessi della Chiesa; piú genericamente, tendenza ad appoggiare il partito clericale, orientamento clericale. Meno comunemente, con valore concreto e collettivo, l’insieme dei seguaci delle dottrine politiche di un partito clericale.</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Dunque, per capire in che senso il Card. Cupich e Papa Bergoglio intendono il clericalismo, dobbiamo rifarci alle loro stesse parole. L’Arcivescovo di Chicago parla di «una cultura clericale, nella quale alcuni che sono ordinati si sentono privilegiati e perciò protetti in modo da poter fare ciò che vogliono». Il Pontefice, da parte sua, identifica il clericalismo con «un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa» (= autoritarismo) e lo affianca all’elitismo e all’incapacità di vicinanza al popolo di Dio. Nell’uno e nell’altro caso, evidentemente, si tratta di significati nuovi, non ancora recepiti dai dizionari. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
L’Arcivescovo Viganò, nel suo memoriale, rifiuta l’interpretazione degli abusi data dal Card. Cupich, perché, secondo lui, essa non tiene conto dei</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Rapporti indipendenti del <i>John Jay College of Criminal Justice</i> del 2004 e del 2011, in cui si concludeva che nei casi di abusi sessuali l’81% delle vittime erano maschi. Infatti, P. Hans Zollner, S.J., Vice-Rettore della Pontificia Università Gregoriana, presidente del <i>Centre for Child Protection</i>, Membro della Pontificia Commissione per la Protezione dei minori, ha recentemente dichiarato al giornale <i>La Stampa</i>, che «nella maggior parte dei casi si tratta di abusi omosessuali».</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
La teoria del Card. Cupich, secondo cui l’omosessualità non sarebbe altro che “un diversivo per distogliere dal clericalismo”, potrebbe dunque essere ribaltata nella teoria opposta, secondo la quale sarebbe il clericalismo a essere un diversivo per distogliere l’attenzione dall’omosessualità. Il fatto che anche il Papa porti come esclusiva spiegazione degli abusi il clericalismo, senza mai parlare, almeno ufficialmente, di omosessualità, dà l’impressione che sia stata data una specie di parola d’ordine per cui si debba parlare solo di clericalismo e non di omosessualità.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Per natura, sono portato a sospettare delle eccessive semplificazioni: spiegare fenomeni estremamente complessi facendo ricorso a una sola causa mi sa tanto di ideologia. Certi fenomeni non possono, a mio parere, essere ricondotti sbrigativamente a un’unica motivazione; occorre procedere ad analisi piú approfondite, spassionate, obiettive, che si sforzino di mettere in luce, con franchezza e senza complessi, tutti i risvolti che essi comportano. Che tutti gli abusi sessuali siano anche abusi di potere, non ci piove (anche se non mi convince del tutto l’identificazione <i>tout court </i>di abusi di potere e clericalismo). Che all’origine di una buona percentuale di essi ci sia la tendenza omosessuale, sono le statistiche a dichiararlo. Ma perché non provare a scovare anche altri aspetti del fenomeno? Benedetto XVI, nella sua <a href="http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/letters/2010/documents/hf_ben-xvi_let_20100319_church-ireland.html" target="_blank">lettera ai cattolici irlandesi</a> del 19 marzo 2010, un tentativo lo aveva fatto:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Certamente, tra i fattori che vi contribuirono possiamo enumerare: procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa; insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari e nei noviziati; una tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità e una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali, che hanno portato come risultato alla mancata applicazione delle pene canoniche in vigore e alla mancata tutela della dignità di ogni persona. </blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Personalmente, ritengo che non poca responsabilità vada attribuita alla rivoluzione sessuale che ha scolvolto l’Occidente (e non solo) negli ultimi cinquant’anni e che ha costituito una vera e propria “rivoluzione culturale”, che ha cambiato radicalmente il modo di vivere e di pensare della gente. Non che prima non ci fossero abusi, ma si trattava di un fenomeno piú circoscritto. Tale rivoluzione ha divelto tutti i paletti che fino ad allora avevano segnato i limiti oltre i quali non era permesso andare, pena il generale biasimo della comunità; i freni inibitori che fino ad allora avevano trattenuto le persone dal lasciarsi andare ai propri istinti sono stati allentanti; la sessualità è stata definitivamente scissa dalla sua finalità riproduttiva e considerata come un bene in sé; la pornografia, che un tempo era arduo procurarsi, è divenuta accessibile a tutti; in ambito cattolico, i tradizionali mezzi di autocontrollo (ascesi, mortificazione, custodia dei sensi, ecc.) sono stati svalutati, disprezzati, abbandonati; la pratica delle virtú, in particolare della castità, non è stata piú proposta come un valore da perseguire; l’atteggiamento, anche teologico, nei confronti della sessualità è cambiato (da una visione totalmente negativa a una visione esclusivamente positiva); nella predicazione, all’insistenza, forse eccessiva, sul timor di Dio è stata sostituita l’insistenza, altrettanto eccessiva, sull’amore e la fiducia sconfinata nella misericordia di Dio; dalla catechesi sono scomparsi i “peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio”. Che cosa si pretendeva? Si è cambiato il mondo (e la Chiesa), e si voleva che i preti rimanessero immuni da questo sconvolgimento? Prima si gioca a fare la rivoluzione, e poi ci si scandalizza delle conseguenze che essa comporta! Prima si crea una società ipersessuata, e poi si vorrebbe che i preti fossero degli esseri asessuati esenti da qualsiasi contaminazione. I preti sono forse dei marziani o degli angeli caduti dal cielo? Non sono forse anch’essi figli di questo mondo e di questa epoca, cresciuti in questo ambiente e respirando questo clima?</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Non vorrei essere frainteso: la mia non è una difesa d’ufficio; non sto cercando attenuanti per la categoria a cui appartengo. Sto solo cercando di capire per quali motivi avvengano certi fenomeni. Come ho detto, non mi soddisfano le spiegazioni frettolose e semplicistiche. Quando ci troviamo di fronte a una malattia, per poter trovare la terapia giusta, occorre prima fare un’attenta diagnosi. Nel nostro caso, non si può fare un’analisi dell’attuale crisi della Chiesa con gli slogan: “È colpa del clericalismo!”; “No, è colpa dell’omosessualità!”. Bisogna andare piú a fondo e riconoscere con franchezza le varie cause che possono aver contribuito alla manifestazione di certi eccessi, pronti a rimettere in discussione, se necessario, anche certe scelte teologiche, pastorali e disciplinari che sono state fatte nel recente passato e che potrebbero avere, almeno in parte, contribuito all’emergere dei mali che ora lamentiamo. Non vorrei che l’annunciata riunione dei Presidenti delle Conferenze episcopali si riducesse alla conferma <i>sic et simpliciter </i>che il Papa e il Card. Cupich hanno ragione: “È tutta colpa del clericalismo!”. Se cosí fosse, sarebbe questo, davvero, un segno di clericalismo.<br />
<div style="text-align: right;">
<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
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Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-64249405786311888742018-09-11T18:36:00.000+02:002018-09-11T18:37:08.405+02:00Fare chiarezza<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5wDB1kObKY5Jj6_RW40bMxDXfPZAEaQoWVpZwR0SowAccNn3pwJhhsqTrpVxoOQzSNYdJqi20k1wNCttgXp4oJYgQ1SGp6UeJVyqFniT6sflNmIieIg6KzlTer83m8BsZwHAcfOE-au4/s1600/ratzinger-bergoglio.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="200" data-original-width="630" height="126" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh5wDB1kObKY5Jj6_RW40bMxDXfPZAEaQoWVpZwR0SowAccNn3pwJhhsqTrpVxoOQzSNYdJqi20k1wNCttgXp4oJYgQ1SGp6UeJVyqFniT6sflNmIieIg6KzlTer83m8BsZwHAcfOE-au4/s400/ratzinger-bergoglio.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
Su <a href="https://www.italiaoggi.it/news/benedetto-ha-ancora-tanti-nemici-2296902" target="_blank"><i>Italia Oggi</i></a> è apparso un articolo di Alessandra Nucci sulle vicende che stanno sconvolgendo la Chiesa cattolica in questi giorni. La peculiarità di questo articolo è quella di prendere spunto dal memoriale Viganò per richiamare alla memoria il dossier che era stato preparato per Benedetto XVI dalla commissione di Cardinali (Herranz, Tomko e De Giorgi) e dal Papa emerito era stato poi passato al suo successore. L’articolo verte piú sul pontificato di Papa Ratzinger che non sull’attuale pontificato, e ne rievoca le vicende piú dolorose: l’impossibilità di pronunciare la prolusione dell’anno accademico all’Università “La Sapienza”; le reazioni al discorso di Ratisbona; il caso Williamson; la profanazione delle tombe dei Cardinali belgi; la disattivazione dei bancomat della Città del Vaticano; le vicende che videro coinvolto lo IOR; lo scandalo <i>Vatileaks</i>. A questi fatti vanno aggiunti un paio di episodi avvenuti dopo la rinuncia di Benedetto al pontificato: l’invito a lui rivolto dal Prof. Grillo di «allontanarsi dal Vaticano e tacere per sempre», in seguito alla pubblicazione di un libro del Card. Sarah con prefazione del Papa emerito, e il tentativo di strumentalizzazione operato da Mons. Dario Viganò.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br />
<a name='more'></a></div>
<div style="text-align: justify;">
A ripercorrere tutte queste vicende oggi, dopo quel che è accaduto nei giorni scorsi, ci si accorge che il problema non è solo quello posto dall’Arcivescovo Carlo Maria Viganò, se cioè Papa Francesco sapesse dei trascorsi del Card. McCarrick e se è vero che Papa Ratzinger avesse già sanzionato il Porporato statunitense. Il problema è molto più vasto e non riguarda solo l’attuale pontificato, ma coinvolge anche quello precedente. Il vaso di Pandora è stato ormai scoperchiato e a nulla serve cercare di richiuderlo, adottando strategie inevitabilmente destinate al fallimento. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Premetto che io non sono mai stato un fanatico della trasparenza a tutti i costi; appartengo alla vecchia scuola, quella che sosteneva che i panni sporchi dovessero essere lavati in casa. Ma, arrivati a questo punto, credo che sia assolutamente necessario fare chiarezza. Non credo che in questo momento servano a nulla il silenzio, i tentativi di minimizzare ciò che è accaduto, le manovre per dirottare l’attenzione del pubblico su altre tematiche (economia, ambiente o migranti che siano), gli sforzi di delegittimare l’avversario, ecc. Questo è il momento di prendere il toro per le corna e affrontare coraggiosamente i problemi. Papa Francesco aveva scritto in <i>Evangelii gaudium:</i></div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Di fronte al conflitto, alcuni semplicemente lo guardano e vanno avanti come se nulla fosse, se ne lavano le mani per poter continuare con la loro vita. Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri, perdono l’orizzonte, proiettano sulle istituzioni le proprie confusioni e insoddisfazioni e cosí l’unità diventa impossibile. Vi è però un terzo modo, il piú adeguato, di porsi di fronte al conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo (n. 227).</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Ebbene, è proprio quello che si deve fare in questo momento. Non si tratta di difendere il Papa dai suoi nemici. Forse lui è la prima vittima di questa situazione, e perciò va aiutato a superarla. Si tratta di fare chiarezza non solo sul caso McCarrick, ma, tornando indietro negli anni, </div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<ul>
<li>su <i>Vatileaks</i></li>
<li>sull’indagine dei Cardinali Herranz, Tomko e De Giorgi;</li>
<li>sulle dimissioni di Benedetto XVI;</li>
<li>sulla lobby gay;</li>
<li>sulla “mafia” di San Gallo.</li>
</ul>
<br />
<div style="text-align: justify;">
Sono vicende che, a tutt’oggi, attendono un chiarimento. Non è piú il tempo di nascondere la sporcizia sotto il tappeto, di stendere su queste vicende il velo del segreto pontificio, sperando che ci si dimentichi di esse e cosí andare avanti. Quando pecchiamo, se vogliamo essere perdonati, dobbiamo umilmente riconoscere il nostro peccato. Lo stesso vale per la Chiesa nel suo complesso: se essa vuole liberarsi di questa situazione, occorre che scopra le carte. Concretamente, che fare?</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ci sono stati nei giorni scorsi dei Vescovi che hanno proposto di sospendere il Sinodo sui giovani e di fare piuttosto un Sinodo sul problema degli abusi. Una proposta da non liquidare sbrigativamente: i Vescovi appaiono in questo momento delegittimati, per trattare il tema dei giovani; molto meglio occuparsi del problema all'ordine del giorno. Personalmente, però, ritengo che il problema sia piú vasto e piú grave, per cui non è sufficiente un Sinodo per affrontarlo. Forse è il caso di convocare un Concilio ecumenico, perché è giusto che tutti i Vescovi vengano coinvolti nell’affrontare i problemi che affliggono in questo momento la Chiesa. Un Concilio che non sia né dottrinale né pastorale, ma esclusivamente disciplinare e che prenda in esame tutti gli aspetti dell’attuale crisi della Chiesa e si proponga di restaurare quella che Giovanni Paolo I chiamò, nel discorso per il suo insediamento, la “grande disciplina della Chiesa”. A mali estremi, estremi rimedi. Non è piú il tempo dei sotterfugi. È giunto il momento di guardare in faccia la realtà, senza paura di denunciare il male dove è annidato, e con umiltà e coraggio, confidando nella grazia di Dio, adottare le misure necessarie per il risanamento del corpo ecclesiale. È giunto il momento di procedere a una vera riforma — non ideologica, ma morale — della Chiesa.</div>
<div style="text-align: right;">
<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-87701577407317018602018-09-05T08:37:00.000+02:002018-09-05T08:38:51.442+02:00Pari opportunità?<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtstAq4FVzkhnXk0foYOlCIe6h2gxVrZQs2QW2lALqCJpuJJHhWJANP0CMwRsZ7cinxLYEPymJLe6rVGFj3KHSxEdwmgDkG4nHCNKJoLg05T94XW0RvCEkip4BdniROWWEKMw3y9ltJkc/s1600/Phoenix+Park.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="349" data-original-width="620" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgtstAq4FVzkhnXk0foYOlCIe6h2gxVrZQs2QW2lALqCJpuJJHhWJANP0CMwRsZ7cinxLYEPymJLe6rVGFj3KHSxEdwmgDkG4nHCNKJoLg05T94XW0RvCEkip4BdniROWWEKMw3y9ltJkc/s400/Phoenix+Park.jpg" width="400" /></a></div>
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<div style="text-align: justify;">
Un lettore dalla Spagna, dopo aver letto il <a href="https://querculanus.blogspot.com/2018/08/autocensure-ecclesiastiche.html" target="_blank">post di giovedí scorso</a> sulla “censura” apportata dal lezionario americano alla seconda lettura della XXI domenica del tempo ordinario (anno B), mi ha fatto notare che anche alla Messa celebrata dal Papa quel giorno (26 agosto) nel Phoenix Park di Dublino, per la conclusione del IX Incontro mondiale delle famiglie, è stata letta, in spagnolo, la forma abbreviata della seconda lettura (Ef 5:2a.25-32), esattamente come viene proposta, come seconda opzione, nel lezionario americano (<a href="https://www.youtube.com/watch?v=cnQgUpW5dBs&feature=youtu.be" target="_blank">qui</a> tra il minuto 1:01:00 e il minuto 1:02:30). </div>
<div style="text-align: justify;">
<br />
<a name='more'></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Faccio notare che in Irlanda non si usa il lezionario americano, ma quello inglese, dove non viene offerta la possibilità di una forma breve per la seconda lettura (<a href="http://www.liturgyoffice.org.uk/Calendar/Sunday/OT4Sunday.shtml#OT21" target="_blank">qui</a>). La lettura, come detto, è stata fatta in spagnolo, seguendo la versione ufficiale della Bibbia curata dalla Conferenza episcopale spagnola (2008), ma non leggendola dal nuovo lezionario ufficiale usato in Spagna (2017), che prevede esclusivamente il testo completo (Ef 5:21-32) (<a href="https://textosparalaliturgia.blogspot.com/2018/07/leccionario-i-b-domingo-xxi-del-tiempo.html" target="_blank">qui</a>). La possibilità di una forma breve esiste invece nel lezionario usato in Messico (1987, 5ª ed. 2004), ma allora si sarebbe dovuta usare una diversa traduzione della Bibbia (<a href="http://www.usccb.org/bible/lecturas/082618.cfm" target="_blank">qui</a>).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Meraviglia che l’Ufficio per le celebrazioni pontificie non si attenga alla norma che vuole che, durante la Messa, le letture siano «tratte dai testi del Lezionario approvato» (<i>Ordinamento generale del Messale Romano</i>, n. 358). Ma ciò che soprattutto meraviglia è che in un incontro internazionale delle famiglie si senta il bisogno di tagliare San Paolo, proprio in un testo che tratta di rapporti domestici. Senza accorgersi poi che, in tal modo, si finisce per negare pari opportunità all’uomo e alla donna: nella forma abbreviata della lettura, infatti, dopo un generico appello alla carità (v. 2a), ci si rivolge esclusivamente ai mariti, trascurando completamente le mogli. Se questo non è maschilismo, ditemi voi che cos’è.</div>
<div style="text-align: right;">
<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-48112934730939240612018-09-03T08:45:00.000+02:002018-09-03T08:45:17.065+02:00«Il Papa ha un’agenda piú ampia»<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXISJKCtyrNAY2vTRsE-xcTGFTXSfbsGg3EdVBTgJTTmLkZ0SknPVm7tFoVk8rm-LlTus_o7DoRd5gNCuSngtKWthou0XTvnB4-Sdw316bLzTuG8_NZnwgOrJuYOUiYqglKSrEdxwcuX8/s1600/Cupich.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="349" data-original-width="620" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiXISJKCtyrNAY2vTRsE-xcTGFTXSfbsGg3EdVBTgJTTmLkZ0SknPVm7tFoVk8rm-LlTus_o7DoRd5gNCuSngtKWthou0XTvnB4-Sdw316bLzTuG8_NZnwgOrJuYOUiYqglKSrEdxwcuX8/s400/Cupich.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify; text-indent: 0in;">
Il Cardinal Blase Cupich, Arcivescovo di Chicago, la settimana scorsa ha rilasciato un’intervista al canale televisivo <a href="https://www.nbcchicago.com/news/local/cardinal-cupich-pope-bigger-agenda_Chicago-491855581.html" target="_blank">NBC 5</a>. L’intervistatrice, Mary Ann Ahern, ha discusso con Sua Eminenza sulle accuse contenute nel memoriale dell’Arcivescovo Carlo Maria Viganò. Alla domanda: «È necessario che il Papa dica esattamente ai cattolici che cosa sapeva circa il Cardinal McCarrick e quando lo seppe per la prima volta?», Cupich ha risposto:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify; text-indent: 0in;">
Per il
Santo Padre, penso che entrare in tutti e singoli questi aspetti, sia in qualche
modo fuori luogo, e poi il Papa ha un’agenda piú ampia (<i>the Pope has a bigger agenda</i>): egli deve andare avanti
con altre cose, a proposito di ambiente e protezione dei migranti e portare
avanti il lavoro della Chiesa. Non scenderemo nella tana del coniglio per
questo.</blockquote>
<br /><div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
(<i>To go down the rabbit hole</i> è un’espressione idiomatica inglese, tratta dalle <i>Avventure di Alice nel paese delle meraviglie</i>, che significa: entrare in una situazione particolarmente strana, problematica, difficile, complessa o caotica).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify; text-indent: 0in;">
</div>
<a name='more'></a><br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify; text-indent: 0in;">
Successivamente Cupich ha rilasciato una dichiarazione nella quale si afferma: «Un servizio della NBC Chicago TV, andato in onda lunedí sera [27 agosto], è stato montato in maniera tale da dare la falsa impressione che Papa Francesco ed io consideriamo la protezione dei bambini meno importante di altre questioni, come l’ambiente o l’immigrazione. Nulla potrebbe essere piú lontano dalla verità». La stazione televisiva ha respinto l’accusa di Cupich, postando l’intervista sul suo sito internet (una trascrizione integrale dell’intervista è stata fatta dalla <a href="https://www.catholicnewsagency.com/news/transcipt-of-cardinal-blase-cupich-interview-on-vigano-73429" target="_blank">CNA</a>).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify; text-indent: 0in;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify; text-indent: 0in;">
<span style="text-indent: 0in;">A parte le rettifiche tardive, colpisce l’arroganza con cui Cupich risponde alla domanda dell’intervistatrice: Il Papa ha un’agenda piú ampia! Non può perdere tempo dietro a certe bazzecole; lui deve pensare all’ambiente e ai migranti, non può mica occuparsi di abusi. Qualche anno fa, se un Cardinale si fosse permesso di rispondere cosí, sarebbe venuto giú il mondo; ma oggi evidentemente i tempi sono cambiati… Ci si può permettere anche un po’ di insolenza. Tanto si sa che i media non si stracceranno le vesti per cosí poco.</span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify; text-indent: 0in;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: right; text-indent: 0in;">
<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-72268004876392595362018-09-01T19:41:00.002+02:002018-09-01T19:41:49.160+02:00«Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?»<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg01jtCjpkQ6QjU3fNJ7DM3ewDvna2Ag8QjzuAmywz7zWYfdcXFPteoibqq5GKmhhSRFVgBoXgT0LHnWVYhFujdgSMq5HtUyJRoH2IUR35AXZedCRW-Ccg_JIam4d2tNcxfDS9JfAcyRuo/s1600/McCarrick.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="483" data-original-width="720" height="267" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg01jtCjpkQ6QjU3fNJ7DM3ewDvna2Ag8QjzuAmywz7zWYfdcXFPteoibqq5GKmhhSRFVgBoXgT0LHnWVYhFujdgSMq5HtUyJRoH2IUR35AXZedCRW-Ccg_JIam4d2tNcxfDS9JfAcyRuo/s400/McCarrick.jpeg" width="400" /></a></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ieri Sandro Magister ha pubblicato sul suo blog <a href="http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/08/31/francesco-recidivo-non-ha-coperto-solo-mccarrick/" target="_blank"><i>Settimo cielo</i></a> un post dove non si dice nulla di nuovo, ma che è utile leggere per rinfrescare la memoria di certi fatti e di certe dichiarazioni. Sono rimasto colpito nel rileggere le parole pronunciate da Papa Francesco sul volo di ritorno a Roma da Rio de Janeiro il 28 luglio 2013. Si tratta della conferenza stampa forse piú famosa del pontificato, tanto per intenderci quella del “Chi sono io per giudicare?”; quindi arcinota. Eppure, a rileggerla oggi, alla luce dei fatti successivamente emersi, alcuni passaggi, a cui lí per lí non si era data eccessiva importanza, assumono un significato diverso.</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
</div>
<a name='more'></a><br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
In quella conferenza stampa, il Papa faceva una distinzione fra delitto e peccato:<o:p></o:p></div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Io vedo che tante volte nella Chiesa, al di fuori di questo caso ed anche in questo caso [il caso Ricca], si vanno a cercare i “peccati di gioventù”, per esempio, e questo si pubblica. Non i delitti, eh? I delitti sono un’altra cosa: l’abuso sui minori è un delitto. No, i peccati. Ma se una persona, laica o prete o suora, ha fatto un peccato e poi si è convertito, il Signore perdona, e quando il Signore perdona, il Signore dimentica e questo per la nostra vita è importante. </blockquote>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
A parte qualche approssimazione (anche i delitti possono essere perdonati da Dio), la distinzione in sé è giusta: se è vero che tutti i delitti sono peccati, non per questo ogni peccato è un delitto (non andare alla Messa la domenica è un peccato, ma non è un delitto). Per sapere che cos’è un peccato, possiamo tranquillamente rifarci alla definizione classica del Catechismo di San Pio X: un’offesa fatta a Dio, disobbedendo alla sua legge. Mentre la nozione di delitto è ricavabile dal can. 1321 § 1: una violazione esterna di una legge o di un precetto penale, gravemente imputabile per dolo o per colpa (nel precedente Codice si dava la seguente definizione: «Col nome di delitto, s’intende nel diritto ecclesiastico una violazione esterna e moralmente imputabile di una legge, alla quale sia annessa una sanzione canonica almeno indeterminata», can. 2195 CIC 1917).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Quindi fa bene il Papa a richiamare questa distinzione. Rileggendo però le sue parole, si ha l’impressione che ci sia un equivoco di fondo: che non stia facendo una distinzione fra peccato e delitto in senso canonico, ma fra peccato e delitto inteso come violazione della legge civile. Da dove deduco questa impressione? Dall’esempio che viene fatto: «L’abuso sui minori è un delitto». Anche questo è vero: l’abuso sui minori è considerato un delitto tanto dalla legge canonica quanto da quella civile. Il fatto però che tutte le altre trasgressioni <i>contra sextum</i> (nell’intervista si stava parlando di rapporti omosessuali) vengano derubricate a semplici peccati (“peccati di gioventú”) fa capire che il fondamento della distinzione non è il diritto canonico, ma la legislazione civile, che non considera i rapporti sessuali fra adulti consenzienti — etero o omo che siano — un delitto. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Si dà il caso però che, per i chierici, il Codice di diritto canonico considera delitto non solo l’abuso sui minori, ma anche altri peccati contro il sesto comandamento (il can. 695 § 1 estende i medesimi delitti anche ai religiosi):<o:p></o:p></div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Can. 1395 - § 1. Il chierico concubinario, oltre il caso di cui nel can. 1394 [attentato di matrimonio anche solo civile], e il chierico che permanga scandalosamente in un altro peccato esterno contro il sesto precetto del Decalogo, siano puniti con la sospensione, alla quale si possono aggiungere gradualmente altre pene, se persista il delitto dopo l’ammonizione, fino alla dimissione dallo stato clericale.</blockquote>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
§ 2. Il chierico che abbia commesso altri delitti contro il sesto precetto del Decalogo, se invero il delitto sia stato compiuto con violenza, o minacce, o pubblicamente, o con un minore al di sotto dei 16 anni, sia punito con giuste pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, se il caso lo comporti.</blockquote>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Come si può vedere, in questo canone sono considerati tre tipi di delitti: concubinato; situazione scandalosa (in cui rientrano anche i rapporti omosessuali); abusi sui minori. Dunque, per il diritto canonico non costituiscono un delitto solo questi ultimi, ma anche i peccati <i>contra sextum</i> di cui al § 1. Il che significa che, una volta accertati, essi vanno opportunamente sanzionati. Non si può liquidare la questione semplicemente dicendo: si tratta di rapporti consensuali fra adulti, se la vedano loro col confessore.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
E invece sembrerebbe proprio questa la mentalità oggi diffusa. Ha destato un certo scalpore il comunicato del Card. Joseph William Tobin, Arcivescovo di Newark, il quale, negando di essere a conoscenza di accuse di abusi rivolte al Card. McCarrick, ha però candidamente ammesso:<o:p></o:p></div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
In passato ci sono state accuse secondo le quali egli sarebbe stato coinvolto in relazioni sessuali con adulti. Questa arcidiocesi e la diocesi di Metuchen, hanno ricevuto tre accuse di cattiva condotta sessuale con adulti decenni fa; due di queste accuse hanno portato a dei risarcimenti.</blockquote>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
E sembrerebbe che questa mentalità sia alla base dell’atteggiamento della Santa Sede nei confronti del Card. McCarrick: finché si trattava di adulti (ancorché seminaristi), <i>nulla quaestio;</i> non appena è stato incriminato per abuso su minori, è immediatamente scattata la sanzione.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Si direbbe che, al di là delle norme canoniche, ci fosse una specie di tacito accordo, per cui si dovesse intervenire solo in caso di abusi sui minori, chiudendo un occhio su altri comportamenti immorali del clero. Non sarebbe forse il caso di incominciare ad applicare le leggi esistenti anziché lasciarsi ispirare da spericolate teorie senz’alcun fondamento morale e canonico?</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-7939188197300523702018-08-30T09:45:00.001+02:002018-08-30T09:46:33.487+02:00Autocensure ecclesiastiche<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhzCfwUYzTSDu2R8gwPac-x7xgwapku5wYZeTq6c-wA4rW2PbrvPzjNnJS8lSEyaxhtkB7Y0FqQNeaqNTi-Wux7VE57hbcM5fZp025Md0pKmTNFj7cMuIIADZluROU19H4kZ0n5zwJ_OJw/s1600/American+Lectionary.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1144" data-original-width="1200" height="305" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhzCfwUYzTSDu2R8gwPac-x7xgwapku5wYZeTq6c-wA4rW2PbrvPzjNnJS8lSEyaxhtkB7Y0FqQNeaqNTi-Wux7VE57hbcM5fZp025Md0pKmTNFj7cMuIIADZluROU19H4kZ0n5zwJ_OJw/s320/American+Lectionary.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
Non si sa se ridere o piangere: in Belgio, domenica scorsa, il Ministro della cultura, Sven Gatz, dopo essersi casualmente imbattuto in TV nella trasmissione della Santa Messa festiva e aver ascoltato la seconda lettura, che riportava il passo della lettera agli Efesini dove Paolo invita le donne a essere sottomesse ai mariti, ha pensato bene di twittare: <o:p></o:p></div>
<blockquote class="tr_bq" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
Se un imam
avesse detto la stessa cosa in televisione, sarebbe scoppiato un putiferio. Va
bene la libertà di culto, va bene la libertà di opinione, ma un simile discorso
retrogrado e sessista a spese del servizio pubblico, non va bene.</blockquote>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br />
<a name='more'></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
E, come se non bastasse, ha chiesto che la Messa non sia piú trasmessa dalla televisione pubblica. La rivista <a href="https://www.tempi.it/il-belgio-scopre-lesistenza-delle-lettere-di-san-paolo-e-si-indigna#.W4d_-Oj7RnI" target="_blank"><i>Tempi</i></a> ironizza, giustamente, sull’accaduto: «Il Belgio scopre l’esistenza delle lettere di san Paolo. E si indigna». Questo fatterello mostra chiaramente come sia ridotto il Belgio. Ma probabilmente il discorso potrebbe essere esteso all’Europa intera.</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
Se Atene piange, Sparta non ride. Noi ci meravigliamo dell’Europa, ma in America, a quanto pare, le cose non vanno poi molto meglio. Anzi, direi che la situazione è ancor piú preoccupante. Sí, perché per lo meno in Europa è un Ministro laico che si scandalizza delle parole di San Paolo; in America invece è la Chiesa stessa a mostrarsi imbarazzata di fronte a quelle parole. Come? — direte voi.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
Domenica scorsa ho notato una differenza fra il lezionario italiano, dove veniva riportato, come unica possibilità per la seconda lettura, il brano Ef 5:21-32, e il lezionario americano, dove invece venivano proposte due opzioni: o la forma lunga (Ef 5:21-32) o la forma breve (Ef 5:2a.25-32). Lí per lí, non ci avevo badato, dal momento che spesso, nel lezionario rinnovato, vengono proposte una forma lunga e una forma breve della medesima lettura. Ciò che ha attirato la mia attenzione è stata, nella forma breve, l’aggiunta — inusuale — di quel versetto 5:2a, assente nella forma lunga. La cosa mi ha incuriosito e mi ha spinto a fare un veloce controllo, grazie al quale ho potuto appurare che né nel testo italiano né in quello latino c’era una forma breve della seconda lettura. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
Ebbene, quali versetti sono stati tralasciati nella forma breve? C’è bisogno di chiederlo? Naturalmente i vv. 21-24:<o:p></o:p></div>
<blockquote class="tr_bq" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
Nel timore
di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro
mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, cosí come
Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è
sottomessa a Cristo, cosí anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto.</blockquote>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
Non basta che Paolo inviti tutti — tutti! mogli e mariti — a essere sottomessi gli uni agli altri; a quanto pare, è proprio il concetto di sottomissione che deve scomparire (tanto è vero che nella forma breve esso viene sostituito da quello, piú rassicurante, di amore, ripreso dal v. 2a).<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
Si dirà: si tratta solo di una possibilità; la lettura intera è rimasta, e chi vuole può leggerla liberamente. Sí, è vero; ma il fatto stesso che si dia la possibilità — ovviamente per “motivi pastorali” — di censurare la parola di Dio, mi fa rabbrividire. È il segno che ormai fra criteri delle scelte pastorali c’è anche il politicamente corretto.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
Se si vuole, questo caso è piú grave di quello del Ministro belga. Lí si tratta, in fondo, di un uomo politico che dimostra solo la sua ignoranza; qui si tratta invece della Chiesa stessa che si autocensura, quando capisce che il suo messaggio può apparire problematico per la mentalità dominante.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify;">
Non so come ciò sia potuto accadere. È vero che il lezionario festivo americano è stato pubblicato nel 1998, quando ancora l’istruzione <i>Liturgiam authenticam </i>non era stata approvata (e infatti nel lezionario feriale, uscito nel 2002, dopo la pubblicazione di quell’istruzione, nel martedí della 30ª settimana del T. O. il brano viene riportato integralmente). In ogni caso, si tratta di un fatto, a mio parere, grave. Esso costituisce una prova in piú, se mai ce ne fosse stato bisogno, dell’opportunità di quell’istruzione, ormai rottamata. Ecco dove porta il lasciare la liturgia (e non solo quella…) nelle mani delle conferenze episcopali.<o:p></o:p></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: right;">
<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-82022461906833546222018-08-23T19:37:00.001+02:002018-08-23T19:37:59.004+02:00Il crollo della modernità<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgOPv-Yv27xhGP5y6fl8_-VYhJ3vMST3L_Vh0qPaFZ74uHNHlocQ8FMLpR0pLC6CjSKps0skG7kp1uRLvPiWp0yJv6A1t1kScYyn0j6C9qD9M4tu77PKu0eFtk-QFseHOQmx5EofSuIsmo/s1600/Ponte+Morandi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="450" data-original-width="783" height="228" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgOPv-Yv27xhGP5y6fl8_-VYhJ3vMST3L_Vh0qPaFZ74uHNHlocQ8FMLpR0pLC6CjSKps0skG7kp1uRLvPiWp0yJv6A1t1kScYyn0j6C9qD9M4tu77PKu0eFtk-QFseHOQmx5EofSuIsmo/s400/Ponte+Morandi.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
È apparso ieri sul <i><a href="https://www.ilfoglio.it/cronache/2018/08/22/news/quel-ponte-era-bello-210607/" target="_blank">Foglio</a> </i>un interessante articolo del Prof. Pier Paolo Tamburelli sul crollo del viadotto Polcévera, dal titolo “Quel ponte era bello”.</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
Si potrebbe dissentire su varie affermazioni fatte da Tamburelli, a cominciare dal titolo: che il Ponte Morandi fosse bello è tutto da dimostrare. Ma evidentemente i canoni della bellezza variano da persona a persona. Ciò su cui non si può in alcun modo essere d’accordo è la tesi di fondo dell’articolo, espressa in questo passaggio:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Se i ponti crollano, la colpa non è dell’ambizione dei tecnici di cinquant’anni fa, ma della mancanza di coraggio e di responsabilità dei tecnici di oggi. Non era il progetto di Morandi a essere sbagliato, è che nessuno si è preso la responsabilità di dire che dopo cinquant’anni era il caso di demolirlo.</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Eh no, caro Professore, non è vero che il progetto di Morandi non era sbagliato: a prescindere dalle responsabilità che possono avere i tecnici d’oggi, se un ingegnere cinquant’anni fa progettò un ponte che è durato solo cinquant’anni, significa che il suo progetto era sbagliato. Se i ponti crollano, la colpa è innanzi tutto dell’ambizione dei tecnici di cinquant’anni fa che, ignorando la perizia di chi li aveva preceduti, si avventurarono in sentieri sconosciuti. Non bastano i “sogni di bellezza” per fare un ingegnere. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Qualcuno in questi giorni ha cercato di giustificare l’Ing. Morandi affermando che quel progetto fu fatto in base alle conoscenze che si avevano allora e che non è giusto giudicarlo a partire dalle nostre conoscenze attuali. Sembrerebbe che solo negli ultimi cinquant’anni abbiamo imparato a costruire ponti che stiano in piedi; in realtà è da secoli che si hanno le conoscenze per costruire ponti che durino piú di cinquant’anni. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il problema è che in quegli anni (siamo negli anni Cinquanta-Sessanta del Novecento) si era convinti di poter reinventare il mondo; l’esperienza che l’umanità aveva accumulato nel corso dei secoli e dei millenni veniva guardata con sufficienza, se non considerata un’anticaglia del passato; si pensava che non ci fossero limiti alle possibilità dell’uomo; sembrava che la scienza e la tecnica gli permettessero di fare qualsiasi cosa; si era convinti che il cemento armato sarebbe durato in eterno. Non è fuori luogo parlare di vero e proprio delirio di onnipotenza (gli antichi greci avrebbero detto <i>hybris</i>).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
A parte il disaccordo di fondo, trovo interessante l’articolo di Tamburelli perché vede nel viadotto Polcévera un simbolo:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Di questo complesso, e per niente scontato, progetto di modernità italiano il ponte di Morandi … era un simbolo.</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Ovviamente, anche il crollo di quel viadotto non può che assumere un valore simbolico:</div>
<blockquote class="tr_bq" style="text-align: justify;">
Se crolla un ponte di Morandi, a essere chiamata in causa è tutta la cultura architettonica e ingegneristica italiana dell’ultimo secolo.</blockquote>
<div style="text-align: justify;">
Esattamente di questo si tratta: il crollo di quel ponte segna la fine della modernità, con la sua presunzione di inventare qualcosa di nuovo, senza tener conto dell’esperienza del passato. Il crollo di quel ponte dimostra che il progetto della modernità — della modernità che si presentava in opposizione e come alternativa al passato — era sbagliato. Il cemento armato che si sbriciola, lasciando scoperto il ferro arrugginito che lo sosteneva, è una metafora della modernità che, sbriciolandosi, lascia intravvedere le ideologie, ormai arrugginite, che l’hanno ispirata. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
L’infatuazione degli anni Cinquanta-Sessanta era diffusa ovunque, non solo nella società civile, ma anche nella Chiesa. I sintomi erano gli stessi: l’esperienza del passato considerata come superata; la convinzione che si potesse (e si dovesse) “reinventare” il cristianesimo; l’illusione che non ci fossero limiti alla fantasia... La Chiesa, dopo una prima reazione di totale chiusura, si decise a fare un discernimento (attraverso il Concilio Vaticano II e i successivi pontificati), per valorizzare ciò che di positivo poteva esserci nella modernità e per respingere i suoi pericoli; tenne duro a lungo su questa posizione equilibrata (di puro buon senso, se giudicata con distacco, ma considerata retrograda dai paladini della modernità) fino a quando non ha pensato bene, negli anni recenti, di deporre le armi e rincorrere quella modernità che stava ormai venendo giú a pezzi. Speriamo che il crollo del ponte di Morandi faccia capire agli ultimi mohicani della modernità che non tutto ciò che è nuovo, per il semplice fatto che è nuovo, è anche buono.</div>
<div style="text-align: right;">
<span style="color: #38761d; font-size: x-large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-4013799988474704212018-06-29T16:38:00.000+02:002018-06-29T16:38:00.978+02:00«Una corona sociavit»<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjjL-dSEInkBFE5I5DEnOH9FLXnJkjrg2gmhvpmDAHAPMmD3o3hsV841HQYVHHE4sTraDPkMFs_U6Vjnfl4PtQu0KQJzJxlKhCnBsj08QO8CkX2ZGewrYtXSZrMRvlzVIYdotV6LA_XYPM/s1600/Santi+Pietro+e+Paolo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="695" data-original-width="556" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjjL-dSEInkBFE5I5DEnOH9FLXnJkjrg2gmhvpmDAHAPMmD3o3hsV841HQYVHHE4sTraDPkMFs_U6Vjnfl4PtQu0KQJzJxlKhCnBsj08QO8CkX2ZGewrYtXSZrMRvlzVIYdotV6LA_XYPM/s320/Santi+Pietro+e+Paolo.jpg" width="256" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
NB: <i>With this homily, your homilist takes a break. God bless!</i></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
As we have already done on other important festivals of the liturgical year, in order to deepen the meaning of the celebration, we can refer to the preface of the Mass. At the beginning of the Eucharistic Prayer we will say, “By your providence the blessed Apostles Peter and Paul bring us joy: Peter, foremost in confessing the faith, Paul, its outstanding preacher, Peter, who established the early Church from the remnant of Israel, Paul, master and teacher of the Gentiles that you call. And so, each in a different way gathered together the one family of Christ; and revered together throughout the world, they share one Martyr’s crown.”</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
In this text, the twofold mission of the Holy Apostles is highlighted. Two points are considered: the faith and the Church. As for the former point, Peter is the first—“foremost”—to confess his faith in Christ: as we have heard in the gospel, Peter says to Jesus, “You are the Christ, the Son of the living God.” Paul, on his part, is the “outstanding preacher” of the same faith: after his conversion, all his life was spent to announce the gospel all over the world. And at the end of his life he was in a position to say, “I have competed well; I have finished the race; I have kept the faith.”</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
As for the Church, both of them contributed to her establishment and propagation, but in a different way. Peter addressed the Jews; Paul, the Gentiles. In the letter to the Galatians, Paul says, “The one who worked in Peter for an apostolate to the circumcised worked also in me for the Gentiles.” God assigns different tasks and gives different graces: to Peter, the apostolate among the Jews; to Paul, the evangelization of the pagans. The Church is one, but with different charisms: Peter and Paul contributed, each with his own gift, to build her up. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
The life of the two Apostles was very different from each other, not only because they had been sent to different people, but also for their different characters. Sometimes they did not agree. But they had the same faith and they ended their life in the same place—Rome—testifying that faith by the shedding of their blood. As the preface says, “They share one Martyr’s crown” (<i>Una corona sociavit</i>) Let us pray to the Holy Apostles, that we too, with all our differences, may profess the same faith and build up the one Church.</div>
<div style="text-align: right;">
<span style="color: #38761d; font-size: large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-47228778567902820242018-06-23T18:06:00.001+02:002018-06-23T18:06:58.465+02:00«Ioannes cecinit affuturum et adesse monstravit»<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNj3ISeFMOtm69NFneAw8e8w8vJrniKhu1qHxeBLe4K2PYNyvpbRHpzSeDM63_q8GERj83pcC7eiwb4UOeM2vxN5wSxKOHWt1CuQfSAhDcbVPfV1Rd7Aj6dN0Kh_tZ-dNakTk5F4ijvhE/s1600/Nativity+of+John.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="813" data-original-width="600" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNj3ISeFMOtm69NFneAw8e8w8vJrniKhu1qHxeBLe4K2PYNyvpbRHpzSeDM63_q8GERj83pcC7eiwb4UOeM2vxN5wSxKOHWt1CuQfSAhDcbVPfV1Rd7Aj6dN0Kh_tZ-dNakTk5F4ijvhE/s400/Nativity+of+John.jpg" width="295" /></a></div>
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<div style="text-align: justify;">
The Second Vatican Council says about Sunday, “The Lord’s day is the original feast day … Other celebrations, unless they be truly of greatest importance, shall not have precedence over the Sunday, which is the foundation and kernel of the whole liturgical year” (<i>Sacrosanctum Concilium</i>, n. 106). As you have seen, on Sundays we never celebrate Saints; today is an exception, because it is a celebration of greatest importance. Is Saint John the Baptist more important than others Saints? Yes, it was Jesus himself to say so, “Among those born of women there has been none greater than John the Baptist” (Mt 11:11). He is, among the Saints, the only one of whom we celebrate the birth. Usually, we celebrate the Saints on their <i>dies natalis</i>, that is, on the day of their death, which is also the day of their “birth” into eternal life. We cannot celebrate their earthly birth, because, when they were born, they still had the original sin. On the contrary, we celebrate the nativity of Jesus and Mary, because, when they were born, they were in the state of grace, as the former was the Son of God and the latter had been conceived without sin. Why do we also celebrate the nativity of John the Baptist? He neither was the Son of God nor had been conceived sinless. But he had been sanctified before being born. We believe that, when Mary, pregnant with Jesus, visited Elizabeth, expecting John, this one was sanctified by the presence of the Savior. We find a hint to this event in the first reading, “The Lord called me from birth, from my mother’s womb he gave me my name.” And then the angel said so to Zechariah, “He will be filled with the Holy Spirit even from his mother’s womb” (Lk 1:15).</div>
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</div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
How many things could be said about John the Baptist! I think we can find an outline of his life in the preface of this Mass. We will say in few minutes’ time, “His birth brought great rejoicing; even in the womb he leapt for joy at the coming of human salvation. He alone of all the prophets pointed out the Lamb of redemption. And to make holy the flowing waters, he baptized the very author of Baptism and was privileged to bear him supreme witness by the shedding of his blood.” Five events are mentioned: John’s exultation at Mary’s visitation, his birth, his preaching, the baptism of Jesus at the Jordan and his death as a martyr. The first two events are connected with joy, even though today’s gospel, besides joy, mentions amazement and fear; but these feelings are not mutually exclusive in Christian life; indeed, there is need of all of them. The baptism of Jesus was certainly important in John’s life, so much so that we call him <i>the Baptist </i>par excellence. Worthy of admiration is undoubtedly his death: John spent all his life for truth and justice, and remained faithful until the end. Usually, John is admired for his austerity and his consistency, and rightly so. But it is not here his greatness. The greatest merit of John is that of showing people the Messiah, “He alone of all the prophets pointed out the Lamb of redemption.” The prophets had predicted the coming of the Messiah; John himself, still in the womb of his mother, had foretold with his leaping the imminent arrival of the Savior; but it was on the occasion of the baptism at the Jordan that John recognized in Jesus the Messiah and announced him to the people and to his disciples, “Behold the Lamb of God, who takes away the sin of the world” (Jn 1:29.36); “I have seen and testified that he is the Son of God” (Jn 1:34). Another preface—the second of Advent—poetically describes this role of the Precursor, “John the Baptist sang of his coming and proclaimed his presence when he came” (<i>Ioannes cecinit affuturum et adesse monstravit</i>). John is the forerunner, the one who, with his preaching and his baptism, prepares the way of the Lord and, once the Lord has arrived, points out his presence. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
It is what we also should do as Christians. We, too, should pave the way for the Lord: with our word and, above all, with our witness, we should help others to be in the condition of welcoming Christ in their lives. But, at the same time, we should be able to recognize Jesus, who is already present in the world, and point out this presence to others. And then, like John, we should retire in good order, so that Christ may do his own work. “He must increase; I must decrease” (Jn 3:30).</div>
<div style="text-align: right;">
<span style="color: #38761d; font-size: large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-34851381308210462572018-06-16T19:18:00.000+02:002018-06-16T19:18:31.885+02:00«Vobis datum est mysterium regni Dei»<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBnc8P_tc9w5TmH0y6okEBWtCRRQHOFGKLktSbTS6kGCpJcrMf18KPyQscN4KXMqJlfw7FLoc-4HEbCUtKXNfY6YvPqcPi0mwCRKr2uZq-E4vRv7m2OT1UXYZ7NLdiQ_vU2SnEft9hN1Q/s1600/Growing+seed.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="432" data-original-width="650" height="265" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBnc8P_tc9w5TmH0y6okEBWtCRRQHOFGKLktSbTS6kGCpJcrMf18KPyQscN4KXMqJlfw7FLoc-4HEbCUtKXNfY6YvPqcPi0mwCRKr2uZq-E4vRv7m2OT1UXYZ7NLdiQ_vU2SnEft9hN1Q/s400/Growing+seed.jpg" width="400" /></a></div>
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<div style="text-align: justify;">
Mark is the shortest of the gospels. Among the four gospels, Mark is perhaps the one that reports fewer words of Jesus: there are no long discourses in it. We also find just few parables: I have counted only six in the whole gospel; five of them in chapter four. Today’s liturgy presents two of these. Both of them are very short comparisons: their shortness emphasizes their enigmatic character. Mark, at the end of today’s passage, informs us that “with many such parables [Jesus] spoke the word to them as they were able to understand it. Without parables he did not speak to them, but to his own disciples he explained everything in private.” This note of the evangelist is interesting, because, on one hand, it seems that Jesus tells parables to make himself understood by people; but, on the other hand, it seems that there are two different kinds of teaching, one more obscure for the crowds, and one plainer, reserved for the disciples. </div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
For modern mentality, Jesus’ behavior could seem discriminatory: why didn’t Jesus explain his parables to everybody? Why did he reveal their meaning only to his disciples? To answer these questions, we have first to understand the purpose of parables: through them Jesus illustrates the mystery of the kingdom of God—and that explains their enigmatic character. This mystery is revealed only to those who follow Jesus and believe in him. Without faith it is impossible to understand the parables and thus to grasp the mystery of the kingdom of God. Few verses before today’s selection, Jesus says to his disciples, “The mystery of the kingdom of God has been granted to you (<i>vobis datum est mysterium regni Dei</i>). But to those outside everything comes in parables, so that ‘they may look and see but not perceive, and hear and listen but not understand, in order that they may not be converted and be forgiven’” (Mk 4:11-12). We could say, the kingdom of God is for all, but not all are for the kingdom of God.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Today’s parables highlight two particular aspects of the kingdom of God. The first parable—the parable of the growing seed—is peculiar to Mark. In order to grow, the seed has to be sown by the sower; but, once he has scattered the seed on the land, the sower has finished his job, until the harvest: the growth of the seed does not depend on him; the seed grows of its own accord; the sower not even knows how. He will have to intervene again only at harvest time, to reap the crop grown by itself. Meaning: The spread of the kingdom of God does not depend on us: we have to announce it tirelessly; but its growth is not the result of our efforts; it depends only on its own inherent strength. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
The second parable—which we find also in the other two synoptic gospels (Matthew and Luke)—is about the outcome of the growth: the mustard seed becomes the largest of plants. The point of this parable is the disproportion between the smallness of the seed and the greatness of the plant. The same disproportion is highlighted in the first reading: a tender shoot is torn off from the crest of a cedar and planted on a high mountain, to become, in its turn, a majestic cedar. Both readings mention large branches and birds that come to dwell under their shade. Many see in this detail the universality of the kingdom of God: all peoples are called to it; the kingdom of God is not reserved only for a privileged few. So, we should not be surprised at the small beginnings of the kingdom of God; it will grow until it is established in its fullness. There is no space for discouragement, when we see a seed so tiny; there is only need of patience: we have just to wait for the seed to grow. And it will grow. Infallibly. </div>
<div style="text-align: right;">
<span style="color: #38761d; font-size: large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-5695898418940921112018-06-09T18:24:00.000+02:002018-06-09T18:24:43.456+02:00«Reus aeterni delicti»<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwzMF85W6fEUvZ8KFYul_OvcGP4fpibd5a5WumnE4CXr-WlN8zmObxLhiyGne_FJs_UUTSItHHrCDTtLtAXJctjw-kH2vdW9FEb4ZC-OGO4RoZwa4TWhQc7tf-dNAim8d_-eKZYOUF5nA/s1600/Sins+against+Holy+Spirit.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="209" data-original-width="400" height="207" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjwzMF85W6fEUvZ8KFYul_OvcGP4fpibd5a5WumnE4CXr-WlN8zmObxLhiyGne_FJs_UUTSItHHrCDTtLtAXJctjw-kH2vdW9FEb4ZC-OGO4RoZwa4TWhQc7tf-dNAim8d_-eKZYOUF5nA/s400/Sins+against+Holy+Spirit.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
Jesus’ ministry was very successful: if you remember, when he began to preach in the synagogue of Capernaum, the people were astonished, for he taught as one having authority and not as the scribes. Moreover, he did not limit himself to speaking, but he also drove out demons and healed the sick. So, people flocked to him from everywhere. Today’s gospel tells us that, while he was at home with his disciples, “the crowd gathered, making it impossible for them even to eat.” </div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
But not all appreciated this success. In today’s gospel we find two negative reactions. The first comes from Jesus’ relatives: they say, “He is out of his mind.” The second reaction comes from the scribes. They level two accusations against Jesus: first of all, they charge him of being a demoniac (“He is possessed by Beelzebul,” “He has an unclean spirit”); and then they attribute his power over demons to Satan (“By the prince of demons he drives out demons”).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Jesus first answers this latter charge by a parable, to show that it is impossible for Satan to drive out himself. There is need of someone stronger then him, who can tie up him and plunder his house. Jesus is precisely this man, stronger than Satan, come to defeat Satan. It is interesting to notice that in this parable Jesus does not talk only of the <i>house</i> of Satan, but also of his <i>kingdom</i>. It means that Jesus has come to bring the kingdom of God to replace the kingdom of Satan in the world.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Then Jesus responds to the first charge of the scribes, who accuse him of being possessed. Jesus, who is generally lenient, becomes now surprisingly strict, “Amen, I say to you, all sins and all blasphemies that people utter will be forgiven them. But whoever blasphemes against the Holy Spirit will never have forgiveness, but is guilty of an everlasting sin” (<i>reus aeterni delicti</i>). How come is Jesus so harsh? How can he speak of an <i>everlasting sin</i>, that cannot be forgiven? Are there sins stronger than divine mercy? Yes, there are. To understand what Jesus means, we have to consider that we cannot be saved by ourselves; we need God’s mercy. The problem is that, if we deliberately oppose the mercy of God, we prevent him from saving us, and we remain without any other opportunity of salvation. In this case, the scribes jeopardize their salvation, because they are not able to recognize the action of God in what Jesus does; they mistake the Holy Spirit for the prince of the demons; they attribute to Satan what is actually the work of the Holy Spirit. The catechetical tradition has detailed six “sins against the Holy Spirit,” that cannot be forgiven: 1. despair of salvation; 2. presumption of God’s mercy; 3. impugning the known truth; 4. envy at another’s spiritual good; 5. obstinacy in sin; 6. final impenitence. Let us keep away from these sins, if we do not want to compromise our salvation!</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Finally, Jesus responds also to his relatives, who have come to seize him, because they consider him out of his mind. They have been able even to trouble Mary, to convince him to desist and come back home with them. But Jesus reminds them that family ties become less important now that new relationships have been established, based on faith, “Here are my mother and my brothers. For whoever does the will of God is my brother and sister and mother.” Family is a very important institution; it comes before all other human institutions. According tho the Catechism, it “is the original cell of social life” (n. 2207). We have to remember this truth now that they are doing all they can to destroy it. But there is something more important than family—Christ. Compared to him, family disappears; the relationship with him is much more important than blood ties.</div>
<div style="text-align: right;">
<span style="color: #38761d; font-size: large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-16692773817872803622018-06-08T07:44:00.001+02:002018-06-08T07:44:24.440+02:00Precisazioni<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSw_uHy_ML3Fo9zyS-yb7ACIFrLlERDuCM5FY8jnu6X0142jRsWTRtQLjbSuMsN9ANwFhh7yezNN69L1XcO-7LAfnaqu5Myqjl7W5I6MpK_gcj-RvP2u_ThRzA046ZQ1glMaGZKSBwWnc/s1600/Moncalieri.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="268" data-original-width="475" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiSw_uHy_ML3Fo9zyS-yb7ACIFrLlERDuCM5FY8jnu6X0142jRsWTRtQLjbSuMsN9ANwFhh7yezNN69L1XcO-7LAfnaqu5Myqjl7W5I6MpK_gcj-RvP2u_ThRzA046ZQ1glMaGZKSBwWnc/s400/Moncalieri.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
Siccome sono stato sollecitato da piú parti a esprimermi sulla notizia, riportata ieri dalla <a href="http://www.lanuovabq.it/it/big-del-petrolio-in-vaticano-la-chiesa-si-consegna-allonu" target="_blank"><i>Nuova Bussola Quotidiana</i></a>, di un incontro col climatologo Michael Mann, che sarebbe stato organizzato dalla Diocesi di Torino e dai Padri Barnabiti, mi sembra opportuno fare alcune precisazioni.</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<a name='more'></a><br />
<div style="text-align: justify;">
1. Premetto che parlo a titolo personale, come appartenente all’Ordine dei Barnabiti: non ho ricevuto alcun mandato a fare dichiarazioni; se la Congregazione vuole pronunciarsi in proposito, può farlo attraverso i suoi canali. Il sito ufficiale dei Barnabiti (<a href="http://www.barnabiti.net/" target="_blank">qui</a>), al momento, riporta solo una notizia riguardante il Real Collegio Carlo Alberto di Moncalieri: un incontro svoltosi mercoledí scorso presso la Biblioteca Civica sulla storica istituzione (<a href="http://www.barnabiti.net/ordinazione-sacerdotale-di-don-graziano-castoroordinazione-sacerdotale-di-don-graziano-castoro/" target="_blank">qui</a>). </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
2. Non sapevo nulla dell’iniziativa (e non era necessario che lo sapessi); ne sono venuto a conoscenza dalla <i>Nuova Bussola Quotidiana</i>. Dopo aver letto l’articolo di Riccardo Cascioli, sono andato a cercare in rete la locandina a cui si allude nell’articolo, ma senza fornirne il link (<a href="http://www.diocesi.torino.it/wp-content/uploads/2018/05/locandina_MANN_22_06_2018.pdf" target="_blank">qui</a>). Tutte le mie informazioni si limitano dunque al suddetto volantino.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
4. La locandina è pubblicata dal sito della Diocesi di Torino. Da essa però si evince che gli organizzatori dell’incontro sono l’Università di Torino e la Società Meteorologica Italiana.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
5. La <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Societ%C3%A0_meteorologica_italiana" target="_blank">Società Meteorologica Italiana</a> è stata fondata dal barnabita Padre Francesco Denza presso l’<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Stazione_meteorologica_di_Moncalieri" target="_blank">Osservatorio Meteorologico di Moncalier</a>i, che ha sede nel Real Collegio Carlo Alberto. Il medesimo Collegio sarà pure la sede dell’incontro con Michael Mann il 22 giugno 2018.</div>
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6. La “Congregazione dei Padri Barnabiti”, proprietaria del Real Collegio Carlo Alberto, compare nella locandina fra gli Enti patrocinatori dell’evento, insieme con l’Università di Torino, la Società Meteorologica Italiana e la Città di Moncalieri. Patrocinare un evento non significa organizzarlo, né tanto meno condividerne i contenuti. Un patrocinio — si sa — in genere non si nega a nessuno.</div>
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7. Da siti benemeriti come la <i>Nuova Bussola Quotidiana</i> ci si aspetterebbe un maggior rigore nell’informazione. Come opportunamente ricorda Stefano Fontana sempre ieri sulla <a href="http://lanuovabq.it/it/la-chiesa-italiana-vende-pannelli-solari" target="_blank">NBQ</a>, fornendo un’informazione approssimativa (e quindi parziale) si rischia di fare un’operazione ideologica.</div>
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<span style="color: #38761d; font-size: large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-58049223378194994282018-06-02T20:09:00.000+02:002018-06-02T20:09:08.141+02:00«Sabbatum propter hominem ... non homo propter sabbatum»<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4eCGCP4j4j4ztS9D41AAmrx4JPQYQDpplPUrE0K5FxoLQdsKvnf2k7qh1QNlPfHn-yoR0t3TwnHfm4N8Hpk8ZHTi4Ke3Av93UQHavmHLBjvGfJaMV_DCI0h7aQ4QbhxSQtvlumobpz6U/s1600/Lord+of+the+Sabbath.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="552" data-original-width="736" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4eCGCP4j4j4ztS9D41AAmrx4JPQYQDpplPUrE0K5FxoLQdsKvnf2k7qh1QNlPfHn-yoR0t3TwnHfm4N8Hpk8ZHTi4Ke3Av93UQHavmHLBjvGfJaMV_DCI0h7aQ4QbhxSQtvlumobpz6U/s400/Lord+of+the+Sabbath.jpg" width="400" /></a></div>
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We resume on this Sunday—the ninth Sunday in Ordinary Time—the reading of the gospel of Mark we had suspended on February before the beginning of Lent. The last passage we read was the healing of a leper. Jesus had just started his public ministry in Galilee, announcing the coming of the kingdom of God and inviting people to repentance. He had called his first disciples and performed his first miracles. But a conflict with the Pharisees had also broken out. In today’s gospel we see a couple of controversies about the sabbath.</div>
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The observance of the sabbath was very important in the Jewish religion. The third of the ten commandments decreed, “Remember the sabbath day, to keep it holy.” In the book of Exodus this precept is justified in the following way, “In six days the Lord made the heavens and the earth, the sea and all that is in them; but on the seventh day he rested.” In today’s first reading we have heard the same commandment, as it is presented in the book of Deuteronomy. It is interesting to notice that in this case the commandment is grounded not on creation, but on the liberation from Egypt, “Remember that you were once a slave in Egypt, and the Lord, your God, brought you from there with his strong hand and outstretched arm.” Even though the grounds are different, the precept is the same, “Six days you may labor and do all your work; but the seventh day is the sabbath of the Lord, your God. No work may be done then.” The commandment is clear, but little by little, especially after the exile, a series of interpretations had been added, which had made the observance of the sabbath very heavy and often against the common sense. </div>
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In today’s gospel we find two incidents about the sabbath, the first regarding the disciples, and the second concerning Jesus himself. In the first case, the disciples are accused of breaking the sabbath because they are picking the heads of grain. Jesus defends them recalling what David had done: in case of need, it is possible to break a law. And he reminds us of an important principle, “The sabbath was made for man, not man for the sabbath” (<i>Sabbatum propter hominem ... non homo propter sabbatum</i>), which we could extend to any kind of law: laws exist for people and not vice versa. It should be an obvious principle; but the one who recalls it could be taken as subversive. That is why Jesus adds, “The Son of Man is lord even of the sabbath.” Since it had been God to give the commandment of the sabbath, by claiming his lordship on the sabbath, Jesus is putting himself on the same level as God.</div>
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The second episode concerns Jesus himself. They are watching him closely to see if he cures the man with a withered hand on the sabbath and thus to accuse him. So, they know that Jesus performs miracles; but, instead of praising God for this, they spy on him, so as to accuse him. But Jesus unmasks their hypocrisy: he asks them, “Is it lawful to do good on the sabbath rather than to do evil, to save life rather than to destroy it?” The Pharisees are worried because Jesus could heal a sick person—thus doing good—because this would be a kind of work and go against the law; but they do not realize that what they are doing on the sabbath—that is, spying on Jesus and planning his death—is evil; but they do not consider this against the law. That is why Jesus challenges them and cures the man with the withered hand. But it is useless. Indeed, it induces the Pharisees to ally themselves with their worst enemies, the Herodians, so as to put Jesus to death. When your heart is evil, the defense of the law is an excuse: you do not care about the law; your only purpose is to do evil. If your heart is good, you will try to observe the law, especially God’s law, with all your strength; but you will be always ready to break the law, when you realize that there is a greater law compelling you. Law is an incentive to do good, not a hindrance to it.</div>
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<span style="color: #38761d; font-size: large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-15972307553863217512018-05-31T17:58:00.000+02:002018-05-31T17:58:06.499+02:00Pretiosissimus Sanguis<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGGrU3XLXtvylmb4TJ2CvgYDguDLf35o-DipES7gNga2Ral5KmzaUugofMsxOvFdavCFY3msdc8upaXkQzyOCElTqeUw3EYJCu3P-yUhVZGoQ8IbKQU84Yr5mrG1E_vz1_h1B9Vs0IHD4/s1600/Jesus-Blood.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="400" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGGrU3XLXtvylmb4TJ2CvgYDguDLf35o-DipES7gNga2Ral5KmzaUugofMsxOvFdavCFY3msdc8upaXkQzyOCElTqeUw3EYJCu3P-yUhVZGoQ8IbKQU84Yr5mrG1E_vz1_h1B9Vs0IHD4/s400/Jesus-Blood.jpg" width="400" /></a></div>
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We continue calling this solemnity <i>Corpus Christi</i>, as it was in the ancient liturgy. But at that time, besides today’s celebration, there was, on July 1, the feast of the Most Precious Blood of Our Lord Jesus Christ. With the liturgical reform, this latter celebration was abolished and the title of <i>Corpus Christi</i> was changed to “the Most Holy Body and Blood of Christ,” since the Eucharist is precisely the sacrament of the Body and Blood of Christ.</div>
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The readings of Year B of the three-year liturgical cycle are all about blood. The first reading is the account of the ratification of the covenant between God and the people of Israel at the foot on Mount Sinai. In ancient times, to seal the alliance between two peoples, the kings mingled their blood. So, in this case the blood of the victims is splashed on the altar, symbol of God, and sprinkled on the people, to signify the “blood relationship” between God and Israel. Moses says, “This is the blood of the covenant.” </div>
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We have heard the same words on Jesus’ lips in the gospel: during the last supper he said, “This is my blood of the covenant.” So, the Blood of Christ is, first of all, the <i>blood of the covenant</i>. Of course, as the second reading reminds us, it is a <i>new covenant: </i>no more a covenant between God and Israel, but a covenant between God and the whole of humankind. Moreover, it is an <i>eternal covenant</i>, which lasts for ever.</div>
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The second reading points out other two meanings of the Blood of Christ. It hints to an important rite the High Priest performed once a year: on the Day of Atonement (<i>Yom Kippur</i>), he entered the Holy of Holies and sprinkled blood, thus obtaining the forgiveness of sins. Now, the letter to the Hebrews says that Christ, the High Priest of the good things to come, “entered once for all the sanctuary, not with the blood of goats and calves but with his own blood.” So, the Blood of Christ is also the <i>blood of atonement</i>, by which we have been purified from our sins.</div>
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But the letter to the Hebrews speaks also of an <i>eternal redemption</i>. Here the reference is to the liberation of Israel from Egypt. In that case, the Israelites were rescued from slavery, thank to the blood of the Passover lamb, with which their houses had been marked. The new Paschal Lamb is Christ, who delivered us from the slavery of sin. He redeemed us from sin, and his redemption, unlike the liberation from Egypt, is eternal. So, the Blood of Christ is the <i>price of our redemption</i>, paid by him to free us from sin.</div>
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Blood of the covenant, blood of atonement, price of our redemption: that is the Blood of Christ for us. Thank to it, we have been saved. It is the Most Precious Blood (<i>Pretiosissimus Sanguis</i>) indeed!</div>
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<span style="color: #38761d; font-size: large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-935553083273932780.post-72909547463625622942018-05-26T18:42:00.000+02:002018-05-26T18:42:59.096+02:00«Una divinitas, aequalis gloria, coaeterna maiestas»<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYCUowOPbRWBhxAy-JpB0G7Y6-L7uVDCsMYs4-FvXDGqDwuZiYKootTixRtzSgG3VIxvlfni8VT44BzJ_qFtyQAGzDbjMwW9W4Mx-Wj3oWr5B_tLF17ehwgxrUwQR1LrNaEGhhZmUAYJ0/s1600/shamrock.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="640" height="250" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYCUowOPbRWBhxAy-JpB0G7Y6-L7uVDCsMYs4-FvXDGqDwuZiYKootTixRtzSgG3VIxvlfni8VT44BzJ_qFtyQAGzDbjMwW9W4Mx-Wj3oWr5B_tLF17ehwgxrUwQR1LrNaEGhhZmUAYJ0/s400/shamrock.jpg" width="400" /></a></div>
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<span style="font-size: x-small;"><i>St. Patrick used the shamrock as a metaphor for the Holy Trinity</i></span></div>
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The Fathers of the Church used to distinguish between <i>theology </i>and <i>economy: </i>with the first term they referred to the <i>mystery </i>of God; with the second, to the <i>works </i>of God, that is, the history of salvation. Up to now, during the liturgical year, we have had to do with <i>economy:</i> at Christmas we celebrated the mystery of the incarnation of the Son of God, his birth and his manifestation; at Easter we celebrated the mystery of his passion, death, burial and resurrection. We completed the celebration of the paschal mystery these last weeks with the Lord’s ascension and the descent of the Holy Spirit on Pentecost. On this Sunday after Pentecost, the Church wants us to shift our attention from <i>economy </i>to <i>theology:</i> after considering the works of God, we are invited to fix our eyes on God himself, on his mystery, which was revealed through those works. The Catechism of the Catholic Church says, “Through <i>economy</i>, <i>theology </i>is revealed to us; but conversely, <i>theology </i>illuminates the whole <i>economy</i>. God’s works reveal who he is in himself; the mystery of his inmost being enlightens our understanding of all his works. So it is, analogously, among human persons. A person discloses himself in his actions, and the better we know a person, the better we understand his actions” (n. 236).</div>
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Well, in the history of salvation, God sent his Son into the world, who became man and revealed to us the mystery of God. He used to call God his Father, and before leaving the world he promised another Advocate, who would be with us always—the Holy Spirit. Before ascending to heaven, as we have heard in today’s gospel, he sent his disciples to teach all nations, “baptizing them in the name of the Father, and of the Son, and of the Holy Spirit.” Little by little, the Church, taught by this revelation and enlightened by the Holy Spirit, has come to know that in God there are three Persons—the Father and the Son and the Holy Spirit. Was this a regression to polytheism? What had characterized the Jewish religion in ancient times was precisely the confession of one God, against the many deities of pagan religions. And now Jesus tells us that there is a Father, a Son and a Holy Spirit. We live in a Muslim country: the major accusation Islam makes against Christianity is exactly this; they consider us polytheists. Do we really believe in three Gods? Definitely not! We believe in only one God, in three Persons, exactly equal to each other, but really distinct from one another, the Father and the Son and the Holy Spirit. The three divine Persons are only one God because each of them equally possesses the fullness of the one and indivisible divine nature—three Persons, one nature. One of the ancient professions of faith, the Athanasian Creed, describes our faith in this way, “We worship one God in the Trinity and the Trinity in unity, without either confusing the Persons or dividing the substance; for the Person of the Father is one, the Son’s is another, the Holy Spirit’s another; but the Godhead of the Father, Son, and Holy Spirit is one, their glory equal, their majesty coeternal” (<i>una divinitas, aequalis gloria, coaeterna maiestas</i>).</div>
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The belief in the Holy Trinity is what distinguishes Christianity from other monotheistic religions. Nowadays we are inclined to stress what unites more than what divides. So, sometimes we have the impression that the three great monotheistic religions—Judaism, Christianity and Islam—at least as for their belief about God, could be considered as one religion. But that is false. It is true that there is only one God; but our faith about this one God is deeply different from that of Jews and Muslims. The Catechism says, “The mystery of the Holy Trinity is the central mystery of Christian faith and life. It is the mystery of God in himself. It is therefore the source of all the other mysteries of faith, the light that enlightens them. It is the most fundamental and essential teaching in the ‘hierarchy of the truths of faith.’” (n. 234). In short, no Trinity, no Christianity.</div>
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<span style="color: #38761d; font-size: large;"><i>Q</i></span></div>
Querculanushttp://www.blogger.com/profile/17481619198591329626noreply@blogger.com