Celebriamo oggi la solennità del nostro Padre e Fondatore Antonio Maria Zaccaria. Un santo poco conosciuto, ma non per questo meno grande. La sua scarsa conoscenza forse dipende dal fatto che è stato canonizzato solo in epoca relativamente recente (nel 1897, da Leone XIII).
Effettivamente, nel corso della sua brevissima vita (morí a 37 anni, nel 1539), non fece nulla di straordinario. La sua biografia è estremamente semplice. Nato a Cremona nel 15o2, diciottenne si trasferí a Padova per studiarvi medicina. Una volta laureatosi, tornò in patria, dove, anziché dedicarsi alla professione medica, preferí consacrarsi a Dio. Messosi alla scuola (teologica e spirituale) dei Domenicani (in particolare di Fra Battista da Crema), fu ordinato sacerdote nel 1529. Divenne cappellano e confessore della Contessa di Guastalla Ludovica Torelli; con lei si trasferí a Milano, dove entrò in contatto con l'Oratorio dell'Eterna Sapienza. Ebbe l'intuizione di trasformare quell'esangue gruppo di rinnovamento in una nuova compagine spirituale a servizio della riforma della Chiesa. Siamo agli inizi degli anni Trenta, gli anni in cui in Europa si stava diffondendo la Riforma protestante. La nuova famiglia spirituale, posta sotto il patrocinio di San Paolo, comprendeva un ramo maschile (i Chierici Regolari di San Paolo, successivamente soprannominati "Barnabiti"), un ramo femminile (le Angeliche di San Paolo) e un ramo laicale (i Coniugati di San Paolo). Questi tre gruppi avrebbero dovuto lavorare insieme per la riforma della Chiesa e il rinnovamento della società. È ciò che immediatamente cominciarono a fare a Milano, attirandosi gli strali di coloro che non sopportavano le loro pratiche pubbliche spesso provocatorie. Successivamente vennero chiamati anche nella Repubblica di Venezia a riformare alcuni monasteri. Ben presto però lo Zaccaria fu sopraffatto dalle fatiche apostoliche. Ammalatosi, chiese di essere trasportato a Cremona, dove morí, fra le braccia dell'ancor giovane madre, il 5 luglio 1539, nell'ottava degli Apostoli.
Una vita senza alcun evento straordinario. Ciò che fu straordinario fu lo spirito con cui visse la sua breve esistenza. Era un medico e perciò fece una diagnosi dei mali del suo tempo. Si accorse che la malattia che affligeva la Chiesa in quell'epoca era la tiepidezza. Si trattava dunque di "distruggere questa pestifera e maggior nemica di Cristo Crocifisso, la quale sí grande regna ai tempi moderni". Dopo la diagnosi, la terapia: la tiepidezza doveva essere rimossa con il suo antidoto, il fervore. Egli volle che i suoi figli fossero "piante e colonne della rinnovazione del fervor cristiano". Scrivendo alle Angeliche, alla vigilia della missione veneta, le esortava: "O figliole care, spiegate le vostre bandiere, che presto il Crocifisso vi manderà ad annunziare la vivezza spirituale e lo spirito vivo dappertutto". Nella sua ultima lettera, rivolta a una coppia di sposi, egli ci lascia questa eredità: "Non pensate che l'amore che io vi porto, né che le doti che sono in voi possono fare che desideri che siate santi piccoli. Vorrei, e desidero, voi siete atti, se volete, a diventare gran santi, purché vogliate crescere e restituire piú belle quelle doti e grazie al Crocifisso, dal quale le avete".
Proprio perché condusse una vita assolutamente ordinaria, ma in modo straordinario, Antonio Maria può essere oggi proposto come modello a tutti, in special modo ai sacerdoti, in questo anno a loro particolarmente dedicato. I santi — tutti i santi — sono santi di tutti; non appartengono a questo o quell'Ordine religioso, ma alla Chiesa. La situazione della Chiesa nel Cinquecento era, per molti versi, simile a quella attuale. Allora, come adesso, si sentiva il bisogno di una riforma. Lutero, rifacendosi a Paolo, pensò di riformare la Chiesa allontanandosi dalla sua tradizione, mettendo in discussione la dottrina cattolica e rompendo la comunione ecclesiale. Antonio Maria, piú umilmente e piú realisticamente, si rese conto che il vero rinnovamento della Chiesa doveva essere spirituale. Anche lui si appellò a Paolo, non per distruggere, ma per edificare: la riforma della Chiesa, per essere efficace, non doveva tanto riguardare le strutture, ma partire dai cuori.
Effettivamente, nel corso della sua brevissima vita (morí a 37 anni, nel 1539), non fece nulla di straordinario. La sua biografia è estremamente semplice. Nato a Cremona nel 15o2, diciottenne si trasferí a Padova per studiarvi medicina. Una volta laureatosi, tornò in patria, dove, anziché dedicarsi alla professione medica, preferí consacrarsi a Dio. Messosi alla scuola (teologica e spirituale) dei Domenicani (in particolare di Fra Battista da Crema), fu ordinato sacerdote nel 1529. Divenne cappellano e confessore della Contessa di Guastalla Ludovica Torelli; con lei si trasferí a Milano, dove entrò in contatto con l'Oratorio dell'Eterna Sapienza. Ebbe l'intuizione di trasformare quell'esangue gruppo di rinnovamento in una nuova compagine spirituale a servizio della riforma della Chiesa. Siamo agli inizi degli anni Trenta, gli anni in cui in Europa si stava diffondendo la Riforma protestante. La nuova famiglia spirituale, posta sotto il patrocinio di San Paolo, comprendeva un ramo maschile (i Chierici Regolari di San Paolo, successivamente soprannominati "Barnabiti"), un ramo femminile (le Angeliche di San Paolo) e un ramo laicale (i Coniugati di San Paolo). Questi tre gruppi avrebbero dovuto lavorare insieme per la riforma della Chiesa e il rinnovamento della società. È ciò che immediatamente cominciarono a fare a Milano, attirandosi gli strali di coloro che non sopportavano le loro pratiche pubbliche spesso provocatorie. Successivamente vennero chiamati anche nella Repubblica di Venezia a riformare alcuni monasteri. Ben presto però lo Zaccaria fu sopraffatto dalle fatiche apostoliche. Ammalatosi, chiese di essere trasportato a Cremona, dove morí, fra le braccia dell'ancor giovane madre, il 5 luglio 1539, nell'ottava degli Apostoli.
Una vita senza alcun evento straordinario. Ciò che fu straordinario fu lo spirito con cui visse la sua breve esistenza. Era un medico e perciò fece una diagnosi dei mali del suo tempo. Si accorse che la malattia che affligeva la Chiesa in quell'epoca era la tiepidezza. Si trattava dunque di "distruggere questa pestifera e maggior nemica di Cristo Crocifisso, la quale sí grande regna ai tempi moderni". Dopo la diagnosi, la terapia: la tiepidezza doveva essere rimossa con il suo antidoto, il fervore. Egli volle che i suoi figli fossero "piante e colonne della rinnovazione del fervor cristiano". Scrivendo alle Angeliche, alla vigilia della missione veneta, le esortava: "O figliole care, spiegate le vostre bandiere, che presto il Crocifisso vi manderà ad annunziare la vivezza spirituale e lo spirito vivo dappertutto". Nella sua ultima lettera, rivolta a una coppia di sposi, egli ci lascia questa eredità: "Non pensate che l'amore che io vi porto, né che le doti che sono in voi possono fare che desideri che siate santi piccoli. Vorrei, e desidero, voi siete atti, se volete, a diventare gran santi, purché vogliate crescere e restituire piú belle quelle doti e grazie al Crocifisso, dal quale le avete".
Proprio perché condusse una vita assolutamente ordinaria, ma in modo straordinario, Antonio Maria può essere oggi proposto come modello a tutti, in special modo ai sacerdoti, in questo anno a loro particolarmente dedicato. I santi — tutti i santi — sono santi di tutti; non appartengono a questo o quell'Ordine religioso, ma alla Chiesa. La situazione della Chiesa nel Cinquecento era, per molti versi, simile a quella attuale. Allora, come adesso, si sentiva il bisogno di una riforma. Lutero, rifacendosi a Paolo, pensò di riformare la Chiesa allontanandosi dalla sua tradizione, mettendo in discussione la dottrina cattolica e rompendo la comunione ecclesiale. Antonio Maria, piú umilmente e piú realisticamente, si rese conto che il vero rinnovamento della Chiesa doveva essere spirituale. Anche lui si appellò a Paolo, non per distruggere, ma per edificare: la riforma della Chiesa, per essere efficace, non doveva tanto riguardare le strutture, ma partire dai cuori.