L’altro ieri Ida Magli ha pubblicato un breve articolo sul Giornale dal titolo “Senza Gesú sta morendo la Chiesa”. La tesi centrale — assolutamente condivisibile — dell’intervento è la seguente: «Non è la pedofilia il problema piú grave della Chiesa attuale, sebbene siano in molti a crederlo e forse la Chiesa stessa. Il pericolo mortale è quello denunciato da [don Luigi] Giussani: la mancanza del Gesú vero nella predicazione e nel vissuto della Chiesa; del Gesú che ha parlato alla mente, al cuore degli uomini, non di sessualità, o di diritti, o di poveri, ma di ciò che li definisce “uomini” al di là da questo, della certezza del proprio essere uomini anche senza di questo».
Ma, al di là di questo, ciò che mi ha colpito maggiormente sono le seguenti parole: «Soltanto chi è fuori dalla Gerarchia può salvare la Chiesa, armato solo delle parole di Gesú, come dimostra la storia del passato, dai movimenti penitenziali alla predicazione popolare, a San Francesco». Comincio a convincermi che la Magli abbia proprio ragione. Finora abbiamo atteso le riforme dall’alto; ma non abbiamo visto nulla. Forse è giunto il momento di rimboccarci le maniche e assumere le nostre responsabilità: la Chiesa non cambierà finché noi, finché io non cambierò.
Inutile attendere riforme promosse dalla gerarchia; non è mai avvenuto nella storia della Chiesa. Le uniche riforme reali, durature, sono state quelle partite dal basso. Non attendiamo dalla gerarchia quel che essa non può dare; non carichiamola di pesi che non è in grado di portare. Accontentiamoci che essa ci indichi la strada da percorrere; il resto, poi, dobbiamo farlo noi.
È stata la grande illusione del Vaticano II: convocare un concilio che, con le sue riforme, rinnovasse la Chiesa. Sappiamo come è andata a finire. Ora attendiamo dal Papa che rimetta tutto a posto. Gli anni passano; ma, almeno per il momento, non si vede nulla: avrebbe dovuto riformare la curia, ma l’impressione che si ha è che essa funzioni sempre peggio; si attendava una “riforma della riforma” liturgica, ma, a parte qualche vecchio merletto tirato fuori dalla naftalina, non si direbbe che la liturgia abbia ricevuto un nuovo impulso nella Chiesa. Ma forse è sbagliato lamentarsi che gli anni passano e non si vede nulla; è sbagliato perché probabilmente sono quelle attese stesse a essere sbagliate. Se, invece di attendere che il Papa inizi a cambiare qualcosa (poveretto, non gli è riconosciuto neppure il diritto di proclamare il Santo Curato d’Ars patrono dei sacerdoti!), se incominciassi io a cambiare qualcosa in me stesso e intorno a me, allora forse la Chiesa inizierebbe a rinnovarsi.
Vi pregherei di dare un’occhiata al seguente video: esprime bene quel che voglio dire.
Se, invece di continuare a lamentarci di come ci è stata passata la palla, pensassimo a schiacciarla bene, la partita sarebbe già vinta.
Ma, direte voi, in che cosa consiste, nel nostro caso, “schiacciare bene la palla”? Qualcuno potrebbe pensare che, visto che le riforme conciliari non hanno ottenuto il loro effetto, la soluzione consista nel tornare sic et simpliciter alle forme precedenti al Concilio. Sarebbe ripetere lo stesso errore compiuto dagli ideologi del Vaticano II: pensare che il rinnovamento della Chiesa consista esclusivamente in un cambiamento delle sue forme esteriori. Mi pare che, anche a questo proposito, Ida Magli, riprendendo un’intuizione di don Giussani, abbia colto il nocciolo della questione: «La Chiesa ha cominciato ad abbandonare l’umanità perché ha dimenticato chi era Cristo...». Il problema è tutto qui: il problema non è né l’abolizione del celibato né la messa in latino (per quanto si tratti di problemi rispettabilissimi, di cui è legittimo discutere), ma rimettere al centro della nostra vita personale ed ecclesiale il Signore Gesú.