Venerdí scorso, 11 novembre, La Repubblica riportava l’ennesima intervista di Eugenio Scalfari a Papa Francesco. Se devo essere sincero, la cosa mi ha lasciato del tutto indifferente: di quello che il fondatore di Repubblica mette sulle labbra del Papa non mi interessa proprio nulla. Il discorso si fa diverso quando l’intervista viene rilanciata da L’Osservatore Romano, che, fino a prova contraria, è il quotidiano ufficioso della Santa Sede. Per carità, anche qui, finché il Papa si limita a dire che il male peggiore che esiste nel mondo sono le diseguaglianze, dal mio punto di vista, non è un grosso problema: si tratta di opinioni personali su cui si può essere piú o meno d’accordo. Magari qualcuno potrebbe far notare — come di fatto è avvenuto — che da un leader religioso ci si aspetterebbe un’analisi meno sociologica e piú religiosa della realtà (il male peggiore, una volta, non era forse il peccato?); ma, ripeto, si può discutere. Cosí come non mi crea eccessivi problemi l’affermazione secondo cui «sono i comunisti che la pensano come i cristiani»: anche questa, un’affermazione discutibile quanto si vuole, ma pur sempre una battuta con un suo fondo di verità.
Ma quando si afferma che «Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere», passiamo dal piano dell’opinabile a quello della mistificazione. Sia ben chiaro, non credo minimamente che Papa Francesco abbia potuto fare un’affermazione del genere: chiunque, anche un bambino del catechismo con una minima conoscenza del vangelo, sa che Gesú non ha mai detto una simile sciocchezza. Solo chi non ha mai letto il vangelo e ha la presunzione di conoscerlo per sentito dire, potrebbe pensare una cosa del genere. È quindi evidente che in tal caso (ma si potrebbe giungere alla medesima conclusione per l’intera “intervista”) si tratta di parole messe in bocca a Papa Bergoglio da Eugenio Scalfari. Ha fatto giustamente notare Luis Badilla, Direttore de Il Sismografo:
Ma quando si afferma che «Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere», passiamo dal piano dell’opinabile a quello della mistificazione. Sia ben chiaro, non credo minimamente che Papa Francesco abbia potuto fare un’affermazione del genere: chiunque, anche un bambino del catechismo con una minima conoscenza del vangelo, sa che Gesú non ha mai detto una simile sciocchezza. Solo chi non ha mai letto il vangelo e ha la presunzione di conoscerlo per sentito dire, potrebbe pensare una cosa del genere. È quindi evidente che in tal caso (ma si potrebbe giungere alla medesima conclusione per l’intera “intervista”) si tratta di parole messe in bocca a Papa Bergoglio da Eugenio Scalfari. Ha fatto giustamente notare Luis Badilla, Direttore de Il Sismografo:
L’incontro tra il Santo Padre e il fondatore della testata sarebbe durato 40 minuti circa e la conversazione (7 novembre), come nel caso delle prime interviste (1° ottobre 2013 e 13 luglio 2014), non è stata registrata; dunque è una conversazione senza supporto. Non è stata nemmeno un’intervista a regola d’arte, domande e risposte. Il giornalista non ha chiesto formalmente un’intervista. Ha chiesto un incontro personale.
Eugenio Scalfari ancora una volta avrebbe costruito “l’intervista”, usando la tecnica della domanda/risposta basandosi però sulla sua memoria e sulle sue conoscenze e, ovviamente, non su contenuti registrati. Ciò apparirebbe molto chiaro in virgolettati del Papa che non appartengono al suo linguaggio e naturalmente alla sua formazione teologica, in particolare quando si fa riferimento alle parole di Gesú.
Ma allora, se tutto questo è vero, ci si chiede: perché riprendere questa pseudo-intervista su L’Osservatore Romano? Sono convinto che il quotidiano della Santa Sede non prenderebbe mai l’iniziativa di pubblicare un testo del genere. Ma allora mi chiedo: non ci si rende conto che, permettendo una cosa del genere, chiunque ne sia responsabile, si fa dire al Papa una enormità?
Mi sembra che questo incidente dovrebbe far riflettere quanti, anche fra i cattolici piú conservatori, sono convinti che qualsiasi esternazione del Papa sia una forma di “magistero”, un nuovo modo di fare magistero. È vero che è stato lo stesso Pontefice a incoraggiare questa convinzione: in un’intervista rilasciata al quotidiano argentino La Nación il 7 dicembre 2014 aveva affermato: «Faccio continuamente dichiarazioni e pronuncio omelie, e questo è magistero». Anche se però aveva aggiunto una frase a mio parere rivelatrice: «Quello che c’è lí è ciò che io penso». Il magistero, se ben ricordo, non è ciò che il Papa pensa (queste semmai sono le sue opinioni personali, rispettabilissime, ma pur sempre opinioni), bensí quello che “pensa” (= crede) la Chiesa. Mi ero già espresso sulla questione del magistero nell’intervista che durante l’estate avevo rilasciato al sito Cooperatores veritatis: personalmente, non riconosco valore magisteriale alle omelie mattutine di Santa Marta (che rientrano, semmai, nel munus docendi della Chiesa esercitato da qualsiasi sacerdote); tanto meno considero atti magisteriali i libri, le interviste o le conferenze stampa in aereo (il cosiddetto “magistero volante”). L’incidente di cui ci stiamo occupando dimostra che, in questi casi, si tratta di dichiarazioni che possono essere discutibili e talvolta, come nel caso presente, addirittura errate.
Ho l’impressione inoltre che non ci si renda conto che tale magistero, diciamo cosí, “non-convenzionale” (unconventional, in inglese) può spesso sfociare in ideologia, con grave danno per la purezza del vangelo. Persone non sufficientemente preparate e dotate di senso critico, leggendo che «Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere», sono portate a concludere che sia vero: lo ha detto il Papa, e il Papa non può sbagliare. Mentre si tratta di pura ideologia.
Il Papa è molto sensibile su questo punto. Il giorno stesso della pubblicazione dell’intervista a Scalfari, al mattino, in Santa Marta, ha proprio fatto una meditazione sulla possibilità di trasformare il cristianesimo in ideologia. Di solito Papa Bergoglio sottolinea il pericolo che la dottrina cristiana diventi ideologia. Questa volta non poteva farlo, perché la seconda lettera di Giovanni, da cui prendeva spunto la meditazione, ci invita a «rimanere nella dottrina» (v. 9); per cui ha dovuto, necessariamente, ammettere che si può ideologizzare anche l’amore:
Francesco ha fatto riferimento alla parola greca proagon, che è “tanto forte”, per indicare «chi va, chi cammina oltre» [interessante notare come la New American Bible traduca πᾶς ὁ προάγον (= “chi va oltre”) con anyone who is so “progressive” (= “chi è cosí progressista”), N.d.R.]. E «da lí — ha proseguito — nascono tutte le ideologie sull’amore, le ideologie sulla Chiesa, le ideologie che tolgono alla Chiesa la carne di Cristo». Ma proprio «queste ideologie scarnificano la Chiesa». Portano a dire: «sí, io sono cattolico; sí, sono cristiano; io amo tutto il mondo di un amore universale». Ma «è tanto etereo». Invece «un amore è sempre dentro, concreto, e non oltre questa dottrina dell’incarnazione del Verbo».
«La vita della Chiesa, l’appartenenza alla Chiesa — ha affermato il Pontefice — è sempre dentro, va oltre, esce dalla Chiesa». E cosí «chi vuole amare non come ama Cristo la sua sposa, la Chiesa, con la propria carne e dando la vita, ama ideologicamente: non ama con tutto il corpo e con tutta l’anima». E «questo modo di fare delle teorie, delle ideologie, anche delle proposte di religiosità che tolgono la carne al Cristo, che tolgono la carne alla Chiesa, vanno oltre e rovinano la comunità, rovinano la Chiesa». Non si deve «mai andare oltre il seno della madre, della santa madre Chiesa gerarchica» [citazione dagli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio, N.d.R.].
Ecco, appunto, affermare che «Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere» significa esattamente trasformare il vangelo in ideologia e perciò “scarnificare la Chiesa”. Decisamente meglio non rilasciare piú interviste a Eugenio Scalfari e, men che meno, pubblicarle su L’Osservatore Romano.
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