Sull’ultimo numero della Civiltà Cattolica (quaderno 3999) il
Vicedirettore Padre Giancarlo Pani ha pubblicato un articolo su “La donna e il
diaconato” (abstract;
parzialmente citato dal blog Settimo cielo),
nel quale si avventura su un terreno insidioso, in cui, a mio parere, avrebbe
fatto meglio a non inoltrarsi: la questione del sacerdozio femminile, definitivamente
risolta con la lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis di Giovanni
Paolo II del 22 maggio 1994.
L’Autore riferisce fedelmente l’insegnamento della lettera apostolica
(«la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne
l’ordinazione sacerdotale»), insegnamento da tenersi in modo definitivo; come
pure riporta correttamente la successiva risposta, data il 28 ottobre 1995
dalla Congregazione per la dottrina della fede (CDF), a un dubium circa la dottrina
di Ordinatio sacerdotalis (si veda pure la nota della CDF emanata contestualmente alla pubblicazione del responsum),
secondo la quale tale dottrina è da considerarsi appartenente al deposito della
fede e perciò infallibile. Padre Pani, bontà sua, riconosce la chiarezza di
tali pronunciamenti; ma, a quanto pare, non ritiene tale chiarezza sufficiente
a chiudere ogni discussione. Con affettata nonchalance, butta là
affermazioni, apparentemente innocue, che però finiscono per riaprire il
dibattito su un insegnamento dichiarato e riconosciuto come definitivo:
— il dubbio posto alla CDF era dovuto «non tanto [alla] dottrina
quanto [alla] forza con cui essa era presentata»;
— in un paragrafo non proprio lineare e piuttosto involuto, si
addebita alla dichiarazione pontificia di non tener «conto degli sviluppi che
nel XXI secolo hanno avuto la presenza e il ruolo della donna nella famiglia e
nella società»;
— si esprime meraviglia, non si capisce bene perché, per il fatto che
la risposta della CDF (per “la prima volta nella storia”!) faccia appello al n.
25 di Lumen gentium (che tratta del munus docendi dei Vescovi e
dell’infallibilità del magistero ordinario e universale, oltre che dell’infallibilità
personale del Pontefice Romano);
— non si mette in discussione (vorrei ben vedere) «il fatto storico
dell’esclusione della donna dal sacerdozio»; ma a tale constatazione si
contrappone quanto, nel 1948 («quindi molto prima delle contestazioni degli
anni Sessanta»!), affermava Padre Yves Congar: «L’assenza di un fatto non è
criterio decisivo per concludere sempre prudentemente che la Chiesa non può
farlo e non lo farà mai», dimenticando (o fingendo di dimenticare) che certi
“fatti” non hanno un carattere puramente fenomenico, ma possiedono per noi valore normativo.
Dio, per rivelarsi, si è servito non soltanto di parole, ma anche di fatti:
«Questa economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente
connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza,
manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le
parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto» (Dei
Verbum, n. 2). È proprio per questo che il responsum della CDF può
considerare l’esclusione della donna dal sacerdozio — un fatto — come
appartenente al deposito della fede;
— infine si riporta un passaggio del volume di Alberto Piola, Donna
e sacerdozio (Effatà Editrice, Cantalupa, 2005), nel quale si lamenta una
carenza di rationes a sostegno dell’esclusione della donna
dal sacerdozio; salvo poi, vista l’impossibilità di negare l’abbondanza di
motivazioni portate dai recenti interventi del magistero in materia, con non
poca incoerenza, liquidare sbrigativamente tali rationes, senza portare
alcuna giustificazione: «piú che espressione di autorità, paiono significare
autoritarismo».
Anche Piola è costretto a riconoscere la chiarezza dell’insegnamento
della Chiesa: «Oggi nella questione del sacerdozio femminile sono chiare le “auctoritates”,
cioè le posizioni ufficiali del Magistero». Ma, ancora una volta, da tale
chiarezza non si traggono le conseguenze che ci si aspetterebbe.
Personalmente,
aggiungerei che le auctoritates sono non solo chiare, ma anche di
notevole prestigio:
— la testimonianza inequivocabile della Scrittura;
— l’ininterrotta tradizione della Chiesa;
— la dichiarazione formale di un Sommo Pontefice che, nell’esercizio
del suo ministero di confermare i fratelli, afferma che tale dottrina «deve
essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa»;
— l’intervento della CDF, con cui si dichiara che la dottrina di Ordinatio
sacerdotalis è espressione del magistero infallibile della Chiesa e
pertanto «si deve tenere sempre, ovunque e da tutti i fedeli, in quanto
appartenente al deposito della fede».
Padre Pani, mentre fa sua la richiesta di rationes contro le
succitate auctoritates, non so se si avveda che, nel farlo, si
appella, anche lui, a due auctoritates: i teologi Yves Congar e Alberto
Piola. Evidentemente, ciascuno ha le sue auctoritates di riferimento:
La Civiltà Cattolica si tenga pure le sue; noi continueremo a tenerci le
nostre.
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