Nell’odierno Officium
lectionis (1), la liturgia ci propone un testo di Agostino, tratto dal Sermo
de ovibus (47, 12-14), nel quale il Santo Dottore, pur ribadendo che la
cosa piú importante è avere una coscienza tranquilla («Questo è il nostro
vanto: la testimonianza della nostra coscienza», 2Cor 1:12), ci invita a evitare
qualsiasi atteggiamento che possa turbare la coscienza dei deboli:
Curemus ergo, fratres non tantum bene vivere, sed etiam coram hominibus bene conversari, nec tantum curare habere bonam conscientiam, sed quantum potest nostra infirmitas, quantum vigilantia fragilitatis humanae, curemus nihil etiam facere quod veniat in malam suspicionem infirmo fratri.
Cerchiamo dunque, fratelli, non soltanto di vivere bene, ma anche di comportarci bene davanti agli uomini. Non tendiamo solo ad avere una retta coscienza, ma per quanto lo comporta la nostra debolezza e lo consente la fragilità umana, sia anche nostro fermo impegno non compiere nulla che possa destare un cattivo sospetto nel fratello debole.
Potrebbe sembrare
che le due cose si oppongano fra loro. Agostino riporta quindi due coppie di
citazioni, due tratte dall’epistolario paolino e due dal vangelo, per dimostrare che si tratta
di esigenze complementari, entrambe presenti nella Scrittura.
Ecco che cosa
dice Paolo:
Se cercassi di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo (Gal 1:10);
[Cercate di piacere a tutti in tutto] cosí come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto (1Cor 10:33; si tenga presente che Agostino cita la Bibbia secondo la Vetus Latina, che spesso si discosta anche sensibilmente dalla successiva Vulgata).
Ed ecco che cosa
troviamo scritto nel vangelo:
Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli (Mt 5:16);
State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini (Mt 6:1; si noti che entrambe le citazioni sono tratte dal discorso della montagna).
Chiosa Agostino:
Sicut tibi in Apostolo ista contraria videbantur, sic et in Evangelio. Si autem non perturbas aquam cordis tui, et hic agnosces pacem Scripturarum, et habebis cum eis et tu pacem.
Come questi insegnamenti ti sembravano contraddittori nell’Apostolo, cosí avviene nel vangelo. Se però non intorbidi l’acqua del tuo cuore, anche qui riconoscerai l’armonia delle Scritture e anche tu sarai in piena armonia con loro.
Che nelle
Scritture ci siano affermazioni apparentemente contraddittorie, non è una
novità. Dopotutto, si tratta della rivelazione di un mistero che supera le
nostre limitate capacità di comprensione. L’unica cosa che possiamo fare è di
tenere insieme tali affermazioni, convinti che esse non sono realmente in
contraddizione fra loro. Perché questo possa avvenire, è necessario non “intorbidare
l’acqua del cuore”. Che intende dire Agostino?
Che le Scritture
devono essere per noi il pascolo a cui nutrirci, il torrente a cui dissetarci.
E noi dobbiamo limitarci a nutrirci di esse e a dissetarci ad esse, senza
calpestare l’erba che mangiamo e senza intorbidare l’acqua che beviamo:
Tu tantum pasce et bibe, noli conculcare et turbare.
Tu mangia e bevi solamente, non calpestare [quello che mangi] e non intorbidare [quello che bevi].
… ne forte puras herbas mandendo et puras aquas bibendo, conculcemus pascua Dei, et oves infirmae conculcatum manducent, et turbatum bibant.
Mentre mangiamo buone erbe e beviamo acque limpide, non calpestiamo i pascoli di Dio, perché le pecore inferme non abbiano a mangiare ciò che è calpestato, e a bere ciò che è stato intorbidato.
Leggendo questo
bel passo di Agostino, mi veniva di fare una riflessione. Ciò che l’Ipponate ci
chiede di evitare (conculcare et turbare le Scritture) è esattamente ciò
che è avvenuto nella Chiesa nell’ultimo secolo (in campo protestante tale
processo era iniziato con qualche decennio di anticipo): invece di accostarci
alla Bibbia come al pascolo a cui nutrirci e al torrente a cui dissetarci, ci
siamo divertiti a calpestarne le erbe (puras herbas) e a intorbidarne le
acque (puras aquas). Con quale risultato? Una gran confusione, che non
giova certo alle pecore deboli, ma neppure a quelle che si illudono di essere piú
forti.
Ai nostri
giorni poi l’intorbidamento, dalle Scritture, è stato esteso a tutto il corpus
dottrinale della Chiesa: ciò che era chiaro (per quanto potesse esserlo alle
nostre menti limitate), ora non lo è piú. La confusione regna sovrana. E chi si
preoccupa che le pecore inferme abbiano a mangiare ciò che è calpestato e a
bere ciò che è intorbidato? Dovrebbe essere questa la prima preoccupazione di
una Chiesa in stato di permanente “conversione pastorale e missionaria” (EG 25). Ma, a quanto pare, sembra che oggi all’acqua limpida si preferisca quella torbida...
(1) Questo testo di Agostino viene proposto oggi nel lezionario biblico-patristico a ciclo biennale (L’Ora dell’Ascolto, a cura dell’UMIL, Piemme-Edizioni del Deserto, Casale Monferrato, 1989). Nel ciclo unico, riportato della Liturgia delle ore, esso viene letto il martedí della XIII settimana per annum.
(1) Questo testo di Agostino viene proposto oggi nel lezionario biblico-patristico a ciclo biennale (L’Ora dell’Ascolto, a cura dell’UMIL, Piemme-Edizioni del Deserto, Casale Monferrato, 1989). Nel ciclo unico, riportato della Liturgia delle ore, esso viene letto il martedí della XIII settimana per annum.
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