Il vangelo di
ieri terminava con una frase, piuttosto enigmatica, di Gesú (Mt 13:52):
Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.
Διὰ τοῦτο πᾶς γραμματεὺς μαθητευθεὶς τῇ βασιλείᾳ τῶν οὐρανῶν ὅμοιός ἐστιν ἀνθρώπῳ οἰκοδεσπότῃ ὅστις ἐκβάλλει ἐκ τοῦ θησαυροῦ αὐτοῦ καινὰ καὶ παλαιά.
Ideo omnis scriba doctus in regno cælorum similis est homini patri familias, qui profert de thesauro suo nova et vetera.
La Bible de Jérusalem ritiene che si tratti di una specie di “firma”
dell’evangelista:
Le docteur juif devenue disciple du Christ possède et administre toute la richesse de l’ancienne Alliance augmentée par les perfectionnements de la nouvelle, v. 12. Cet éloge du “scribe chrétien” résume tout l’idéal de l’évangéliste Matthieu et parait bien être sa signature discrète.
La New
American Bible, dal canto suo, riferisce il testo ai Dodici:
Since Matthew tends to identify the disciples and the Twelve, this saying about the Christian scribe cannot be taken as applicable to all who accept the message of Jesus. While the Twelve are in many ways representative of all who believe in him, they are also distinguished from them in certain respects. The church of Matthew has leaders among whom are a group designated as “scribes” (23:34). Like the scribes of Israel, they are teachers. It is the Twelve and these their later counterparts to whom this verse applies. The scribe … instructed in the kingdom of heaven knows both the teaching of Jesus (the new) and the law and prophets (the old) and provides in his own teaching both the new and the old as interpreted and fulfilled by the new.
La TOB invece
non condivide tale interpretazione restrittiva:
Questo scriba divenuto discepolo del regno dei cieli può essere ogni uditore che ha compreso l’insegnamento di Gesú (il che presupporrebbe che Mt si rivolgesse soprattutto ad uditori eruditi, versati nelle Scritture), oppure lo stesso evangelista (il che lascerebbe capire che l’autore del primo vangelo sarebbe uno scriba diventato cristiano). Il tesoro indica qui l’insegnamento tradizionale degli scribi ebrei, rinnovato attraverso la fede in Cristo, oppure il pensiero dell’AT presentato come “compiuto” da parte dello scriba cristiano, o infine l’insegnamento già antico di Gesú presentato qui dall’evangelista come la fonte di cose antiche e nuove che egli desidera far comprendere alla sua comunità.
Che Matteo abbia
scritto il suo vangelo per cristiani provenienti dal giudaismo è risaputo.
Perciò è comprensibile che venga qui proposto l’ideale dello “scriba cristiano”
che, senza rinnegare nulla di quanto creduto finora (le cose antiche),
lo reinterpreta e completa con l’insegnamento di Cristo (le cose nuove).
Nessuna delle
Bibbie citate però mette in luce un testo parallelo, che
permetterebbe di comprendere il significato proprio di quel “tesoro”, che la
TOB interpreta come a) l’insegnamento tradizionale degli scribi ebrei,
oppure come b) il pensiero dell’AT compiuto nel Nuovo, oppure infine come
c) l’insegnamento di Gesú. Il testo parallelo, a cui ci riferiamo, si
trova nello stesso vangelo di Matteo, nel capitolo precedente (12:33-35):
33 Prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono. Prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l’albero. 34 Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? La bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. 35 L’uomo buono dal suo buon tesoro trae fuori cose buone, mentre l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori cose cattive.
33 Ἢ ποιήσατε τὸ δένδρον καλὸν καὶ τὸν καρπὸν αὐτοῦ καλόν, ἢ ποιήσατε τὸ δένδρον σαπρὸν καὶ τὸν καρπὸν αὐτοῦ σαπρόν· 34 ἐκ γὰρ τοῦ καρποῦ τὸ δένδρον γινώσκεται. γεννήματα ἐχιδνῶν, πῶς δύνασθε ἀγαθὰ λαλεῖν πονηροὶ ὄντες; ἐκ γὰρ τοῦ περισσεύματος τῆς καρδίας τὸ στόμα λαλεῖ. 35 ὁ ἀγαθὸς ἄνθρωπος ἐκ τοῦ ἀγαθοῦ θησαυροῦ ἐκβάλλει ἀγαθά, καὶ ὁ πονηρὸς ἄνθρωπος ἐκ τοῦ πονηροῦ θησαυροῦ ἐκβάλλει πονηρά.
33 Aut facite arborem bonam et fructum ejus bonum, aut facite arborem malam et fructum ejus malum: si quidem ex fructu arbor agnoscitur. 34 Progenies viperarum, quomodo potestis bona loqui, cum sitis mali? Ex abundantia enim cordis os loquitur. 35 Bonus homo de bono thesauro profert bona, et malus homo de malo thesauro profert mala.
Come si può
vedere, nel v. 35 si usano, per due volte, esattamente le stesse espressioni che
verranno utilizzate in 13:52 (ἐκ τοῦ … θησαυροῦ ἐκβάλλει). Dal
contesto appare chiaro che, in questo caso, il “tesoro” è il cuore dell’uomo,
che può essere buono o cattivo: se è buono, ne verranno fuori cose buone; se
cattivo, cose cattive. Si tenga presente che, in alcune versioni latine e
siriache, tale interpretazione veniva esplicitata, aggiungendo a “tesoro” l’espressione
“del suo cuore”.
Alla fine del
discorso in parabole, Gesú riprende le medesime espressioni (ἐκβάλλει ἐκ
τοῦ θησαυροῦ αὐτοῦ, “tira fuori dal
suo tesoro”) cambiandone l’oggetto: anziché “cose buone” (ἀγαθά) e “cose cattive” (πονηρά), “cose nuove e cose antiche” (καινὰ
καὶ παλαιά). Se è comprensibile che
possa cambiare l’oggetto, appare difficile che possa cambiare la fonte a cui l’oggetto
viene attinto (in entrambi i casi definita “tesoro”): se allora il “tesoro” da
cui procedevano “cose buone” e “cose cattive” era il cuore dell’uomo, non si
vede perché il “tesoro” da cui vengono estratte ora “cose nuove e cose antiche”
non debba continuare a essere il cuore dell’uomo.
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