venerdì 14 settembre 2018

Clericalismo?



Nel suo memoriale, l’Arcivescovo Viganò, parlando del Card. Cupich, ha scritto:
Ostentando la sua particolare competenza in materia, essendo stato Presidente del Committee on Protection of Children and Young People della USCCB, ha asserito che il problema principale nella crisi degli abusi sessuali da parte del clero non è l’omosessualità e che affermarlo è solo un modo per distogliere l’attenzione dal vero problema che è il clericalismo.
Viganò si stava riferendo a un’intervista rilasciata da Cupich alla rivista America il 7 agosto 2018:
I really believe that the issue here is more about a culture of clericalism in which some who are ordained feel they are privileged and therefore protected so that they can do what they want … [I] would not want to reduce this simply to the fact that there are some priests who are homosexual. I think that is a diversion that gets away from the clericalism that’s much deeper as a part of this problem.
Sono convinto che in questo caso il problema consista piuttosto in una cultura clericale, nella quale alcuni che sono ordinati si sentono privilegiati e perciò protetti in modo da poter fare ciò che vogliono … Io non vorrei ridurre questo problema semplicemente al fatto che ci sono alcuni preti omosessuali. Io penso che si tratti di un diversivo per distogliere dal clericalismo, che è una parte molto piú profonda di questo problema.
Il 20 agosto 2018 Papa Francesco ha scritto una lettera al popolo di Dio, nella quale ha scritto:
Ogni volta che abbiamo cercato di soppiantare, mettere a tacere, ignorare, ridurre a piccole élites il Popolo di Dio abbiamo costruito comunità, programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva senza vita. Ciò si manifesta con chiarezza in un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa — molto comune in numerose comunità nelle quali si sono verificati comportamenti di abuso sessuale, di potere e di coscienza — quale è il clericalismo, quell’atteggiamento che «non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente» [Lettera al Cardinale Marc Ouellet, 19 marzo 2016]. Il clericalismo, favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo. Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo.
Durante il suo viaggio in Irlanda (25-26 agosto 2018), Papa Francesco ha di nuovo fatto riferimento al clericalismo nel discorso rivolto ai Vescovi e, soprattutto, nell’incontro avuto con i suoi confratelli gesuiti: 
Io ho capito una cosa con grande chiarezza: questo dramma degli abusi, specialmente quando è di proporzioni ampie e dà grande scandalo — pensiamo al caso del Cile e qui in Irlanda o negli Stati Uniti —, ha alle spalle situazioni di Chiesa segnate da elitismo e clericalismo, una incapacità di vicinanza al popolo di Dio. L’elitismo, il clericalismo favoriscono ogni forma di abuso. E l’abuso sessuale non è il primo. Il primo è l’abuso di potere e di coscienza … L’abuso sessuale è conseguenza dell’abuso di potere e di coscienza … L’abuso di potere esiste: chi tra di noi non conosce un vescovo autoritario? Sempre nella Chiesa sono esistiti superiori religiosi o vescovi autoritari. E l’autoritarismo è clericalismo (La Civiltà Cattolica, quaderno 4038, 15 settembre 2018, pp. 447-451).
Che cos’è il clericalismo? Se consultiamo un dizionario italiano, siamo destinati a rimanere delusi. Lo Zingarelli dà la seguente definizione, di carattere storico-politico:
Atteggiamento, tendenza di coloro che, nella pratica politica, si propongono soprattutto la tutela dei diritti della Chiesa e l’applicazione dei suoi principi nell’ordine civile.
Come si vede, si tratta di un significato che non ha nulla a che fare con l’argomento che stiamo trattando. Troviamo una definizione simile nel vocabolario Treccani:
L’atteggiamento di chi sostiene la partecipazione attiva e determinante del clero e del laicato cattolico al governo dello stato, e di chi, prendendo parte alla vita pubblica, subordina le sue scelte politiche agli interessi della Chiesa; piú genericamente, tendenza ad appoggiare il partito clericale, orientamento clericale. Meno comunemente, con valore concreto e collettivo, l’insieme dei seguaci delle dottrine politiche di un partito clericale.
Dunque, per capire in che senso il Card. Cupich e Papa Bergoglio intendono il clericalismo, dobbiamo rifarci alle loro stesse parole. L’Arcivescovo di Chicago parla di «una cultura clericale, nella quale alcuni che sono ordinati si sentono privilegiati e perciò protetti in modo da poter fare ciò che vogliono». Il Pontefice, da parte sua, identifica il clericalismo con «un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa» (= autoritarismo) e lo affianca all’elitismo e all’incapacità di vicinanza al popolo di Dio. Nell’uno e nell’altro caso, evidentemente, si tratta di significati nuovi, non ancora recepiti dai dizionari. 

L’Arcivescovo Viganò, nel suo memoriale, rifiuta l’interpretazione degli abusi data dal Card. Cupich, perché, secondo lui, essa non tiene conto dei
Rapporti indipendenti del John Jay College of Criminal Justice del 2004 e del 2011, in cui si concludeva che nei casi di abusi sessuali l’81% delle vittime erano maschi. Infatti, P. Hans Zollner, S.J., Vice-Rettore della Pontificia Università Gregoriana, presidente del Centre for Child Protection, Membro della Pontificia Commissione per la Protezione dei minori, ha recentemente dichiarato al giornale La Stampa, che «nella maggior parte dei casi si tratta di abusi omosessuali».
La teoria del Card. Cupich, secondo cui l’omosessualità non sarebbe altro che “un diversivo per distogliere dal clericalismo”, potrebbe dunque essere ribaltata nella teoria opposta, secondo la quale sarebbe il clericalismo a essere un diversivo per distogliere l’attenzione dall’omosessualità. Il fatto che anche il Papa porti come esclusiva spiegazione degli abusi il clericalismo, senza mai parlare, almeno ufficialmente, di omosessualità, dà l’impressione che sia stata data una specie di parola d’ordine per cui si debba parlare solo di clericalismo e non di omosessualità.

Per natura, sono portato a sospettare delle eccessive semplificazioni: spiegare fenomeni estremamente complessi facendo ricorso a una sola causa mi sa tanto di ideologia. Certi fenomeni non possono, a mio parere, essere ricondotti sbrigativamente a un’unica motivazione; occorre procedere ad analisi piú approfondite, spassionate, obiettive, che si sforzino di mettere in luce, con franchezza e senza complessi, tutti i risvolti che essi comportano. Che tutti gli abusi sessuali siano anche abusi di potere, non ci piove (anche se non mi convince del tutto l’identificazione tout court di abusi di potere e clericalismo). Che all’origine di una buona percentuale di essi ci sia la tendenza omosessuale, sono le statistiche a dichiararlo. Ma perché non provare a scovare anche altri aspetti del fenomeno? Benedetto XVI, nella sua lettera ai cattolici irlandesi del 19 marzo 2010, un tentativo lo aveva fatto:
Certamente, tra i fattori che vi contribuirono possiamo enumerare: procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa; insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari e nei noviziati; una tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità e una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali, che hanno portato come risultato alla mancata applicazione delle pene canoniche in vigore e alla mancata tutela della dignità di ogni persona. 
Personalmente, ritengo che non poca responsabilità vada attribuita alla rivoluzione sessuale che ha scolvolto l’Occidente (e non solo) negli ultimi cinquant’anni e che ha costituito una vera e propria “rivoluzione culturale”, che ha cambiato radicalmente il modo di vivere e di pensare della gente. Non che prima non ci fossero abusi, ma si trattava di un fenomeno piú circoscritto. Tale rivoluzione ha divelto tutti i paletti che fino ad allora avevano segnato i limiti oltre i quali non era permesso andare, pena il generale biasimo della comunità; i freni inibitori che fino ad allora avevano trattenuto le persone dal lasciarsi andare ai propri istinti sono stati allentanti; la sessualità è stata definitivamente scissa dalla sua finalità riproduttiva e considerata come un bene in sé; la pornografia, che un tempo era arduo procurarsi, è divenuta accessibile a tutti; in ambito cattolico, i tradizionali mezzi di autocontrollo (ascesi, mortificazione, custodia dei sensi, ecc.) sono stati svalutati, disprezzati, abbandonati; la pratica delle virtú, in particolare della castità, non è stata piú proposta come un valore da perseguire; l’atteggiamento, anche teologico, nei confronti della sessualità è cambiato (da una visione totalmente negativa a una visione esclusivamente positiva); nella predicazione, all’insistenza, forse eccessiva, sul timor di Dio è stata sostituita l’insistenza, altrettanto eccessiva, sull’amore e la fiducia sconfinata nella misericordia di Dio; dalla catechesi sono scomparsi i “peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio”. Che cosa si pretendeva? Si è cambiato il mondo (e la Chiesa), e si voleva che i preti rimanessero immuni da questo sconvolgimento? Prima si gioca a fare la rivoluzione, e poi ci si scandalizza delle conseguenze che essa comporta! Prima si crea una società ipersessuata, e poi si vorrebbe che i preti fossero degli esseri asessuati esenti da qualsiasi contaminazione. I preti sono forse dei marziani o degli angeli caduti dal cielo? Non sono forse anch’essi figli di questo mondo e di questa epoca, cresciuti in questo ambiente e respirando questo clima?

Non vorrei essere frainteso: la mia non è una difesa d’ufficio; non sto cercando attenuanti per la categoria a cui appartengo. Sto solo cercando di capire per quali motivi avvengano certi fenomeni. Come ho detto, non mi soddisfano le spiegazioni frettolose e semplicistiche. Quando ci troviamo di fronte a una malattia, per poter trovare la terapia giusta, occorre prima fare un’attenta diagnosi. Nel nostro caso, non si può fare un’analisi dell’attuale crisi della Chiesa con gli slogan: “È colpa del clericalismo!”; “No, è colpa dell’omosessualità!”. Bisogna andare piú a fondo e riconoscere con franchezza le varie cause che possono aver contribuito alla manifestazione di certi eccessi, pronti a rimettere in discussione, se necessario, anche certe scelte teologiche, pastorali e disciplinari che sono state fatte nel recente passato e che potrebbero avere, almeno in parte, contribuito all’emergere dei mali che ora lamentiamo. Non vorrei che l’annunciata riunione dei Presidenti delle Conferenze episcopali si riducesse alla conferma sic et simpliciter che il Papa e il Card. Cupich hanno ragione: “È tutta colpa del clericalismo!”. Se cosí fosse, sarebbe questo, davvero, un segno di clericalismo.
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