lunedì 24 settembre 2018

Un passo indietro



Non è facile esprimere un giudizio sul recente “Accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei Vescovi” per due motivi. Innanzi tutto, per una questione di principio: si tratta di un problema estremamente complesso e delicato, su cui solo chi è addentro alle cose e ha vissuto direttamente la trattativa può dire qualcosa; chi è estraneo rischia di fare chiacchiere da bar. C’è poi un motivo pratico: dell’accordo non si conoscono i termini. Come si fa a giudicare qualcosa che si ignora? Il fatto di non poter emettere giudizi non impedisce tuttavia di fare delle osservazioni. Da semplice spettatore, che osserva ciò che accade intorno a lui.

1. La prima osservazione riguarda appunto la segretezza dell’accordo. Viviamo nell’epoca della comunicazione; siamo informati su ciò che avviene nel mondo in tempo reale; si fa un gran parlare di trasparenza; e poi si conclude un accordo fra la Santa Sede e la RPC sulla nomina dei Vescovi, se ne dà l’annuncio ufficiale, ma non si dice una parola sui suoi contenuti. Mi sembra che ci sia qualcosa che non va. Nonostante la segretezza dell’intesa, però, tutti gli osservatori sono d’accordo nel dire che, con essa, si riconosce al governo cinese il diritto di nomina dei Vescovi, riservando al Sommo Pontefice un non meglio precisato diritto di veto.

2. Nella Chiesa cattolica si è svolto recentemente (poco piú di cinquant’anni fa) un concilio ecumenico, di cui si va particolarmente fieri: non si perde l’occasione per tesserne le lodi. E a ragione, direi. Ebbene, che cosa afferma il Concilio Vaticano II a proposito della nomina dei Vescovi?
Poiché il ministero apostolico dei Vescovi è stato istituito da Cristo Signore e mira ad un fine spirituale e soprannaturale, questo Santo Sinodo Ecumenico dichiara che il diritto di nominare e di costituire i Vescovi è proprio, peculiare e di per sé esclusivo della competente autorità ecclesiastica. 
Perciò, per difendere debitamente la libertà della Chiesa e per promuovere sempre piú adeguatamente e speditamente il bene dei fedeli, questo Santo Concilio fa voti che, per l’avvenire, alle autorità civili non siano piú concessi diritti o privilegi di elezione, nomina, presentazione o designazione all’ufficio episcopale. A quelle autorità civili poi che ora, in virtú di una convenzione o di una consuetudine, godono dei suddetti diritti o privilegi, questo Sinodo, mentre esprime riconoscenza e sincero apprezzamento per l’ossequio da loro dimostrato verso la Chiesa, rivolge viva preghiera, affinché, previe intese con la Santa Sede, ad essi vogliano spontaneamente rinunziare (Decreto sull’ufficio pastorale dei Vescovi Chrisus Dominus, n. 20).
Il Concilio affermava un principio («Il diritto di nominare e di costituire i Vescovi è proprio, peculiare e di per sé esclusivo della competente autorità ecclesiastica») ed esprimeva un voto («Per l’avvenire, alle autorità civili non siano piú concessi diritti o privilegi di elezione, nomina, presentazione o designazione all’ufficio episcopale»). Ciò che nel Concilio era un semplice auspicio nel Codice di diritto canonico è diventato una precisa direttiva:
Can. 377 – § 1. Il Sommo Pontefice nomina liberamente i Vescovi, oppure conferma quelli che sono stati legittimamente eletti.
(I §§ 2-4 descrivono l’attuale procedura per la nomina dei Vescovi)
§ 5. Per il futuro non verrà concesso alle autorità civili alcun diritto e privilegio di elezione, nomina, presentazione o designazione dei Vescovi.
Che, per raggiungere un accordo, si debba scendere a qualche compromesso, fa parte della natura delle cose. Ma in genere, nelle trattative, ci sono dei principi su cui le parti non sono disposte a transigere. Uno di questi, per la Chiesa, è il diritto nativo ed esclusivo a nominare i Vescovi. Per veder riconosciuto dalle autorità civili tale diritto la Chiesa ha lottato per secoli. E ora, pur di raggiungere un’intesa, si cede su un punto che sembrava dovesse essere considerato inderogabile?

3. E qui veniamo alla terza osservazione, di carattere storico. Mi limiterò a riportare l’excursus contenuto nel commento giuridico-pastorale al Codice di diritto canonico, a cura di Luigi Chiappetta, Edizioni Dehoniane, Napoli, 1988, vol. I, pp. 465-466 (non è chiaro se si tratti di un testo del Curatore o semplicemente di una citazione ripresa dalla rivista Communicationes; ma ciò che è importante è il contenuto):
È noto come, nei primi secoli, i Vescovi venivano eletti dal Clero e dal popolo, con l’approvazione dei Vescovi viciniori o del Metropolita, a cui spettava consacrare l’eletto. Una tale procedura — che, a partire dal sec. IV, venne spesso intralciata dagl’Imperatori bizantini, con la nomina diretta dei Vescovi, specialmente nelle sedi patriarcali — in Occidente durò piú a lungo. L’intromissione dei Sovrani ebbe inizio in Europa con Carlomagno, e si accrebbe in seguito con la creazione della feudalità ecclesiastica, ad opera di Ottone I il Grande della Casa di Sassonia (912-973). La situazione ecclesiastica divenne gravissima nel secolo successivo, e dette luogo alla “lotta per le investiture”, condotta in particolare con eroica fermezza da Gregorio VII (1073-1085). Il Concordato di Worms, concluso il 23 settembre 1122 tra Callisto II ed Enrico V, pose fine ufficialmente alla drammatica lotta, durata circa mezzo secolo. Con esso, l’elezione dei Vescovi venne sottratta all’ingerenza dell’Imperatore. Di fatto però, secondo il diritto delle Decretali, l’elezione canonica passò quasi completamente nelle mani dei Capitoli cattedrali, con esclusione degli altri ecclesiastici e dei laici.
Successivamente, il Romano Pontefice intese far valere i suoi diritti di Capo della Chiesa, e cominciò a riservare a sé la nomina dei Vescovi (sec. XIII). Tale riserva divenne quasi generale nel sec. XIV, ma in seguito, per la pressione dei Sovrani, la Santa Sede fu costretta a cedere, e molti principi (Francesco I di Francia, col Concordato del 1516) ottennero di nominare i Vescovi per il loro territorio. Il Papa conferiva l’istituzione canonica e concedeva la bolla.
Oggi, eccettuate alcune sedi della Germania, dell’Austria e della Svizzera, in cui l’elezione dei Vescovi spetta ai Capitoli cattedrali, i Vescovi, nella Chiesa latina, sono nominati di regola dalla Santa Sede. Il Codice attuale non ha inteso sopprimere tali privilegi per cui il can. 377, § 1, afferma che spetta al Romano Pontefice effettuare liberamente la nomina dei Vescovi o confermare i candidati eletti legittimamente. In forza del can. 1, l’attuale canone vale ovviamente per la Chiesa latina (Communicationes, a. 1986, p. 119, can. 4, § 1; p. 121, n. 1).
A prescindere da qualsiasi valutazione di opportunità politica o pastorale — che, come dicevamo, non è di nostra competenza — l’Accordo firmato nei giorni scorsi con la RPC costituisce, oggettivamente, da un punto di vista storico, un passo indietro. Se di cinquecento o mille anni, vedete voi.
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