martedì 27 novembre 2018

Una parola di spiegazione



Ho ricevuto diversi messaggi di lettori che chiedono conto del mio prolungato silenzio. Credo che sia doveroso, da parte mia, dare loro una parola di spiegazione.

Innanzi tutto, vorrei tranquillizzarli: non ci sono, grazie a Dio, né motivi di salute né interventi superiori che mi abbiano impedito di aggiornare il blog. La decisione dipende esclusivamente da me, per una serie di motivi che cercherò di focalizzare brevemente.

Innanzi tutto, ho l’impressione che gli spazi per un blog personale non professionale si stiano sempre piú restringendo. Il mio blog è nato dieci anni fa, quando si era agli inizi di questa nuova esperienza di comunicazione e le voci cattoliche in rete erano ancora relativamente poche. Oggi, anche grazie alla diffusione dei social networks, le possibilità di far sentire la propria voce si sono moltiplicate: alcuni interventi risultano caratterizzati da notevole professionalità; altri tradiscono una certa improvvisazione. È ovvio che i blog professionali, soprattutto quelli di giornalisti che, per un motivo o per l’altro, si sono messi in proprio, la fanno un po’ da padroni. E comprensibilmente: essi possono contare su abbondanza e attendibilità di informazioni, regolarità di pubblicazione, competenza professionale, ecc. Tu, che sei ancora un pivellino (nonostante la non piú giovane età), potrai pure avere idee strabilianti, ma non potrai mai pretendere di competere con certi mostri del giornalismo.

In secondo luogo, ho notato che, a parte i predetti guru (i quali, anche quando sono di parte, si sforzano di mantenere una certa moderazione), fra i “dilettanti” si sono radicalizzate le posizioni: se vuoi che qualcuno ti ascolti, devi “gridare”: piú la spari grossa (magari fondandoti solo su qualche voce) e piú audience avrai. Non è rimasto molto spazio per la riflessione pacata e obiettiva. L’equilibrio non paga.

In questo contesto di radicale polarizzazione, assistiamo, da una parte, all’arrogante autoreferenzialità del partito oggi al potere nella Chiesa. Una volta arrivati ai vertici e occupati tutti gli spazi di potere, quelli che un tempo ritenevano espressione di profezia contestare l’autorità, oggi si mostrano indifferenti a qualsiasi critica, se ne infischiano di quel che pensano gli altri e vanno avanti nell’attuazione della loro agenda, come se niente fosse. 

Sul versante opposto (quello tradizionalista, tanto per intenderci) assistiamo a una non meno allarmante involuzione. Quanto sta accadendo oggigiorno nella Chiesa non li scandalizza piú di tanto; anzi, vi vedono la dimostrazione della bontà delle loro posizioni: la “nuova Chiesa”, secondo loro, non è che il risultato delle premesse poste dal Concilio Vaticano II. Non capiscono che si tratta della rivincita del partito che era stato sconfitto al Concilio e che aveva continuato a lavorare sottotraccia durante i successivi pontificati. No, per loro c’è piena continuità fra il Concilio, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco; era ovvio che dovesse andare a finire cosí. Sembrano quasi contenti che si sia arrivati a questo punto. La situazione di certo tradizionalismo attuale non è meno preoccupante di quella del partito al potere: le derive ereticali non mancano da una parte e dall’altra (sono significative le reazioni di alcuni tradizionalisti alla canonizzazione di Paolo VI).

Certamente non ereticale, ma non per questo meno inquietante, è l’opposizione all’attuale pontificato diffusa in ambienti conservatori, non necessariamente tradizionalisti (penso in particolare al laicato nordamericano), che, vista l’inefficacia della critica dottrinale fin qui praticata (si pensi ai dubia o alla correctio filialis), si sono buttati sul tema della corruzione ecclesiastica, sperando in tal modo di costringere il Papa alle dimissioni. Non che quello degli abusi non sia un problema reale e grave che la Chiesa deve decidersi ad affrontare con serietà ed efficacia, ma il fatto di strumentalizzarlo per motivi “politici” non appare molto corretto. Strumentalizzazione analoga era stata fatta ai tempi di Benedetto XVI, appunto con l’obiettivo di ottenere la rinuncia del Papa: il risultato, in quel caso, fu raggiunto; ma non è detto che l’utilizzo della stessa arma questa volta produca il medesimo effetto, vista la diversa personalità dei due Pontefici. Ciò che, a mio parere, non si considera sufficientemente, nel tifare per interventi del potere civile in ambito ecclesiastico, sono le conseguenze devastanti e irreversibili che questi potrebbero avere sulla libertà della Chiesa.

Se questa è la situazione, un povero blogger senza affiliazioni si chiede: a che serve continuare a gridare nel deserto, quando nessuno ti ascolta? Quello che dovevi dire, l’hai detto; aggiungere altre parole può diventare, oltre che inutile, dannoso. Forse è giunto il momento di smettere di parlare e di incominciare a pregare. L’ultimo post, precedente a questo, terminava con le parole del vangelo: «Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente» (Lc 18:7). La situazione della Chiesa è talmente grave che non rimane che sperare in un intervento divino. Noi non siamo nulla per pretendere di salvare la Chiesa: essa appartiene al suo Signore, ed è lui che deve salvarla. A noi spetta, oltre che pregare e soffrire per essa, provvedere alla nostra personale santificazione. Si è parlato molto, recentemente, di “opzione Benedetto”. Forse è arrivata l’ora di cominciare a darvi attuazione: ritirarsi in buon ordine e iniziare a lavorare su noi stessi, lasciando che al resto pensi il Signore. 

Il mio saluto ai lettori non vuole essere un addio definitivo. So bene che le situazioni possono cambiare e voglio lasciare aperta la porta a futuri, possibili, ripensamenti. Per cui preferisco terminare con un semplice “a risentirci, se e quando Dio vorrà”.
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