Potremmo riassumere l'odierna liturgia in due parole: FEDE e TATTO. Tanto Giairo quanto l'emorroissa ripongono tutte le loro speranze in un contatto fisico con Gesú:
«La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva»;
«Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata».
Secondo la loro fede semplice, basta toccare Gesú (addirittura, basta toccare il suo mantello) per essere salvati.
Noi, cristiani "adulti", guardiamo con sufficienza a questa fede; anzi, non la chiamiamo neppure fede: per noi essa è semplice "superstizione". Toccare? Che bisogno c'è di toccare? La fede è qualcosa di puramente spirituale. Se vogliamo essere veri credenti, dobbiamo purificare la nostra fede da tutti i residuati paganeggianti e renderla un atto totalmente spirituale.
Ma, a quanto pare, Gesú non disdegna la fede arcaica di Giairo e dell'emorroissa; anzi, l'approva e la incoraggia:
«Figlia, la tua fede ti ha salvata»;
«Non temere, soltanto abbi fede!».
E lui stesso sta al gioco:
«E subito Gesú, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: "Chi ha toccato le mie vesti?"».
Naturalmente gli esegeti si affretteranno a precisare che qui il vangelo riflette una mentalità primitiva, una concezione piuttosto fisicistica della salvezza, che non va presa alla lettera, ma interpretata in senso spirituale. Non so però come spiegheranno il gesto che Gesú compie sulla figlia di Giairo:
«Prese la mano della bambina e le disse: "Talità kum"».
Sí, la prese per mano. Che bisogno c'era? Non bastava dirle: "Alzati"? No, a quanto pare non bastava, perché Gesú la prese per mano. Se lo ha fatto ci sarà pur stato un motivo. E il motivo va ricercato nel mistero dell'incarnazione:
«Il Verbo si fece carne» (Gv 1:14).
Perché si fece carne? Solo per essere visto? Se cosí fosse, avrebbe potuto ritardare di qualche secolo l'incarnazione e rendersi visibile ai nostri giorni (nella "civiltà dell'immagine") in maniera virtuale. Come diavolo li chiamano quella specie di cartoni animati che sembrano veri? avatar? Ebbene, se Gesú si fosse fatto avatar, lo avremmo visto ugualmente e ci avrebbe potuto comunicare lo stesso la sua parola. E invece "il Verbo si fece carne". Giovanni testimonia che loro — gli apostoli — non solo videro e udirono Gesú, ma lo toccarono:
«Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita ... quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi» (1 Gv 1:1.3).
Dunque non entrano in gioco soltanto due sensi (vista e udito), ma tre: alla vista e all'udito si aggiunge il tatto. Non basta vedere, non basta udire, bisogna anche toccare. Per questo il Verbo si è fatto carne: perché potessimo toccarlo e, toccandolo, essere salvati. Toccare Gesú significa toccare il Verbo della vita, significa toccare Dio stesso. Solo attraverso un contatto fisico con lui la nostra umanità può essere risanata.
«La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva»;
«Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata».
Secondo la loro fede semplice, basta toccare Gesú (addirittura, basta toccare il suo mantello) per essere salvati.
Noi, cristiani "adulti", guardiamo con sufficienza a questa fede; anzi, non la chiamiamo neppure fede: per noi essa è semplice "superstizione". Toccare? Che bisogno c'è di toccare? La fede è qualcosa di puramente spirituale. Se vogliamo essere veri credenti, dobbiamo purificare la nostra fede da tutti i residuati paganeggianti e renderla un atto totalmente spirituale.
Ma, a quanto pare, Gesú non disdegna la fede arcaica di Giairo e dell'emorroissa; anzi, l'approva e la incoraggia:
«Figlia, la tua fede ti ha salvata»;
«Non temere, soltanto abbi fede!».
E lui stesso sta al gioco:
«E subito Gesú, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: "Chi ha toccato le mie vesti?"».
Naturalmente gli esegeti si affretteranno a precisare che qui il vangelo riflette una mentalità primitiva, una concezione piuttosto fisicistica della salvezza, che non va presa alla lettera, ma interpretata in senso spirituale. Non so però come spiegheranno il gesto che Gesú compie sulla figlia di Giairo:
«Prese la mano della bambina e le disse: "Talità kum"».
Sí, la prese per mano. Che bisogno c'era? Non bastava dirle: "Alzati"? No, a quanto pare non bastava, perché Gesú la prese per mano. Se lo ha fatto ci sarà pur stato un motivo. E il motivo va ricercato nel mistero dell'incarnazione:
«Il Verbo si fece carne» (Gv 1:14).
Perché si fece carne? Solo per essere visto? Se cosí fosse, avrebbe potuto ritardare di qualche secolo l'incarnazione e rendersi visibile ai nostri giorni (nella "civiltà dell'immagine") in maniera virtuale. Come diavolo li chiamano quella specie di cartoni animati che sembrano veri? avatar? Ebbene, se Gesú si fosse fatto avatar, lo avremmo visto ugualmente e ci avrebbe potuto comunicare lo stesso la sua parola. E invece "il Verbo si fece carne". Giovanni testimonia che loro — gli apostoli — non solo videro e udirono Gesú, ma lo toccarono:
«Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita ... quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi» (1 Gv 1:1.3).
Dunque non entrano in gioco soltanto due sensi (vista e udito), ma tre: alla vista e all'udito si aggiunge il tatto. Non basta vedere, non basta udire, bisogna anche toccare. Per questo il Verbo si è fatto carne: perché potessimo toccarlo e, toccandolo, essere salvati. Toccare Gesú significa toccare il Verbo della vita, significa toccare Dio stesso. Solo attraverso un contatto fisico con lui la nostra umanità può essere risanata.