Nell’organizzazione della beatificazione di Giovanni Paolo II c’è qualcosa che non torna. Quando, nel gennaio scorso, Benedetto XVI promulgò il decreto che attribuisce un miracolo all’intercessione del Servo di Dio e fu annunciata la beatificazione per il 1° maggio, pochi giorni dopo l’annuncio fu comunicato che ormai a Roma c’era già il “tutto esaurito”. Ora, a meno di un mese dalla beatificazione, siamo invitati ad andare a Roma, perché — ci viene assicurato — ci sono ancora posti disponibili. Oibò, che cosa è successo? Evidentemente qualcuno ci ha marciato: si trattava solo di uno stratagemma promozionale per indurre i pellegrini ad affrettare la prenotazione. Non si potranno certo accusare di questo gli organizzatori della beatificazione, ma sta di fatto che qualcuno ne ha approfittato.
Si dirà: nessuna meraviglia; è inevitabile che, in simili circostanze, scattino certi meccanismi. Certo; ma preferirei che, almeno nella Chiesa, non si incoraggiassero gli eccessi e si mantenesse un atteggiamento piú sobrio. E invece che succede? Il Cardinale Vicario, in una conferenza stampa ha rivelato di aver presentato alla Santa Sede l’istanza che la memoria liturgica del nuovo Beato, in deroga alla prassi vigente (si veda in proposito la Notificazione su alcuni aspetti dei calendari e dei testi liturgici propri, in particolare i nn. 9 e 29-32), sia estesa come “memoria obbligatoria” a tutta la Chiesa. Sinceramente, non capisco il senso di tale richiesta. Pensavo che con la beatificazione sarebbe terminata la fase di “eccezionalità” del caso Wojtyla. C’era già stata la deroga alla norma dei cinque anni per l’introduzione della causa; il processo si è svolto a tempo di record (destando inevitabilmente qualche legittima perplessità sul rispetto rigoroso delle procedure). Ora che si era finalmente giunti alla meta, pensavo che tutto sarebbe rientrato nella normalità. E invece no: anche la celebrazione liturgica del nuovo Beato dovrà godere del carattere della straordinarietà, quasi che Karol Wojtyla sia un santo unico nella storia della Chiesa; nessuno come lui prima di lui, nessuno come lui dopo di lui. Possibile che non ci si renda conto che si sta perdendo il senso della misura? Di questo passo, subito dopo la beatificazione si pretenderà, con altrettanta rapidità, la canonizzazione e, già che ci siamo, anche la sua proclamazione a “dottore della Chiesa”, stabilendone la celebrazione liturgica col grado di “solennità” con ottava.
L’ironia, che qualcuno troverà fuori luogo (e certamente lo è), nasconde l’amarezza per un modo di procedere che non rispetta alcuna regola, quasi che le regole non abbiano alcun valore (ma allora perché si fanno?) o valgano solo per alcuni. Quel che faccio difficoltà a comprendere è il motivo di tale “trattamento di favore”. Giovanni Paolo II è santo? OK, nessuno lo nega; ma che ci sarebbe di male se venisse trattato come tutti gli altri santi? Che cosa c’è che lo distingue dagli altri? Non ci si rende conto che, cosí facendo, si rischia di ottenere, almeno in qualcuno, un risultato contrario?