Sono stati già
versati fiumi d’inchiostro sulla foto che ritrae il Preposito generale della
Compagnia di Gesú, Padre Arturo Sosa, in preghiera in un tempio buddista. Che
altro aggiungere a quanto è stato scritto? A parte una grande tristezza per il
declino di un Ordine glorioso, al quale per diversi motivi sono
indissolubilmente legato, mi pongo una domanda: Ma come è stato possibile? Come
è possibile che un Ordine religioso, che Sant’Ignazio ha voluto edificare sul
solido fondamento degli esercizi spirituali, del silenzio, dell’orazione e del
discernimento, potesse arrivare a questo punto?
Sembrava che
Ignazio di Loyola avesse trovato un metodo infallibile non solo per scoprire la
propria vocazione, ma anche per restarvi fedeli. E invece, nonostante tutti gli
esercizi spirituali e il discernimento praticati dai gesuiti, siamo arrivati sull’orlo
dell’apostasia. Ma allora, quello ignaziano, non era un metodo valido?
Il metodo
ignaziano degli esercizi spirituali era e continua a essere validissimo; ma non
può essere considerato autosufficiente. Esso dimostra tutta la sua efficacia
solo se praticato all’interno della comunione ecclesiale. Il metodo ignaziano,
isolato da questo contesto, dimostra tutti i suoi limiti. L’orazione,
abbandonata a sé stessa, può trasformarsi in “libero esame”: una personale e
discutibilissima interpretazione della parola di Dio. Solo la fedeltà alla
tradizione del Padri, di cui la Chiesa si fa garante, impedisce alla
meditazione personale di sfociare nel soggettivismo.
Del resto, si
tratta di un aspetto messo in luce dagli stessi Esercizi spirituali. Se
Ignazio ha sentito il bisogno di aggiungere al suo vademecum una serie
di diciotto “Regole per sentire con la Chiesa”, ci sarà pure un motivo. La
prima di esse afferma:
Messo da parte ogni giudizio proprio, dobbiamo avere l’animo disposto e pronto a obbedire in tutto alla vera sposa di Cristo nostro Signore, che è la nostra santa madre Chiesa gerarchica (n. 353).
L’obbedienza alla
Chiesa è il contesto in cui gli esercizi spirituali possono essere svolti con
frutto e senza correre il rischio di cadere nel soggettivismo. Per i gesuiti
tale fedeltà alla “santa madre Chiesa gerarchica” trovava espressione nel voto di
speciale obbedienza al Sommo Pontefice. La totale sottomissione al Papa è ciò
che ha permesso ai gesuiti, nel corso dei secoli, di restare sempre fedeli alla
loro vocazione e ha garantito l’efficacia del loro apostolato. Il Papa era il
tramite che li metteva in contatto con la tradizione della Chiesa. Una volta
venuto meno questo legame, la Compagnia si è persa. Pensando di avere un
rapporto immediato con Dio (reso possibile, secondo loro, dall’orazione), i
gesuiti hanno ritenuto inutile — e dannosa alla libertà dello Spirito — la dipendenza dal Papa, e hanno incominciato a errare per i sentieri piú disparati, ciascuno
secondo quello che gli suggeriva lo “Spirito” attraverso il discernimento. Il
risultato di questa emancipazione è… il Preposito generale della Compagnia che
prega in un tempio buddista.
Con l’attuale
pontificato sembrerebbe che ci sia stato un recupero dell’obbedienza al Sommo
Pontefice. Si legga in proposito quanto ha dichiarato il Padre Sosa in una
recente intervista: «Io mi identifico con quello che dice papa
Francesco: non si mette in dubbio, si mette a discernimento…» (intervista rilasciata a Giuseppe Rusconi: Rossoporpora,
18 febbraio 2017). Ma si tratta di un recupero tardivo e inefficace.
Sí, perché nel frattempo, con l’elevazione di un gesuita al supremo pontificato,
questo ha mutato sembianze. Se prima il Papa ci metteva in contatto con la
tradizione dei Padri, ora il Papa, da buon gesuita, ci invita a fare
discernimento. Ma non è questa la funzione del Papa nella Chiesa. Non perché
non si debba fare discernimento, ma perché non è il Papa che deve ricordarcelo.
Il Papa, mentre noi facciamo discernimento, dovrebbe metterci di fronte a
quanto la Chiesa ha sempre creduto, e dirci: Ascolta pure la voce dello
Spirito, ma ricorda che il vero Spirito non ti chiederà mai di uscire dall’alveo
della tradizione dei Padri. Il primo criterio di un autentico discernimento è l’obbedienza
alla “nostra santa madre Chiesa gerarchica”.
Nella Chiesa
ciascuno ha il suo carisma. La confusione dei ruoli non giova a nessuno. Se i
gesuiti smettono di obbedire al Papa, non sono piú gesuiti; se il Papa continua
a fare il gesuita, non fa piú il Papa. E questo con grave nocumento per tutta
la Chiesa.
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