Nell’intervista rilasciata a
La Civiltà Cattolica (n. 3918 del 19 settembre 2013) alla domanda di Padre Spadaro: «Quale punto della spiritualità ignaziana la aiuta meglio a vivere il ministero?», Papa Francesco risponde:
«Il discernimento. Il discernimento è una delle cose che piú ha lavorato interiormente sant’Ignazio. Per lui è uno strumento di lotta per conoscere meglio il Signore e seguirlo piú da vicino. Mi ha sempre colpito una massima con la quale viene descritta la visione di Ignazio: Non coerceri a maximo, sed contineri a minimo divinum est. Ho molto riflettuto su questa frase in ordine al governo, ad essere superiore: non essere ristretti dallo spazio piú grande, ma essere in grado di stare nello spazio piú ristretto. Questa virtú del grande e del piccolo è la magnanimità, che dalla posizione in cui siamo ci fa guardare sempre l’orizzonte. È fare le cose piccole di ogni giorno con un cuore grande e aperto a Dio e agli altri. È valorizzare le cose piccole all’interno di grandi orizzonti, quelli del Regno di Dio».
«Questa massima offre i parametri per assumere una posizione corretta per il discernimento, per sentire le cose di Dio a partire dal suo “punto di vista”. Per sant’Ignazio i grandi princípi devono essere incarnati nelle circostanze di luogo, di tempo e di persone. A suo modo Giovanni XXIII si mise in questa posizione di governo quando ripeté la massima Omnia videre, multa dissimulare, pauca corrigere, perché, pur vedendo omnia, la dimensione massima, riteneva di agire su pauca, su una dimensione minima. Si possono avere grandi progetti e realizzarli agendo su poche minime cose. O si possono usare mezzi deboli che risultano piú efficaci di quelli forti, come dice anche san Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi».
«Questo discernimento richiede tempo. Molti, ad esempio, pensano che i cambiamenti e le riforme possano avvenire in breve tempo. Io credo che ci sia sempre bisogno di tempo per porre le basi di un cambiamento vero, efficace. E questo è il tempo del discernimento. E a volte il discernimento invece sprona a fare subito quel che invece inizialmente si pensa di fare dopo. È ciò che è accaduto anche a me in questi mesi. Il discernimento si realizza sempre alla presenza del Signore, guardando i segni, ascoltando le cose che accadono, il sentire della gente, specialmente i poveri. Le mie scelte, anche quelle legate alla normalità della vita, come l’usare una macchina modesta, sono legate a un discernimento spirituale che risponde a una esigenza che nasce dalle cose, dalla gente, dalla lettura dei segni dei tempi. Il discernimento nel Signore mi guida nel mio modo di governare».
«Ecco, invece diffido delle decisioni prese in maniera improvvisa. Diffido sempre della prima decisione, cioè della prima cosa che mi viene in mente di fare se devo prendere una decisione. In genere è la cosa sbagliata. Devo attendere, valutare interiormente, prendendo il tempo necessario. La sapienza del discernimento riscatta la necessaria ambiguità della vita e fa trovare i mezzi piú opportuni, che non sempre si identificano con ciò che sembra grande o forte» (pp. 453-454).
Chiosa Padre Spadaro: «Il discernimento è dunque un pilastro della spiritualità del Papa. In questo si esprime in maniera peculiare la sua identità gesuitica» (p. 454). In effetti, si tratta di un tema che ritorna nel successivo magistero di Papa Bergoglio: nell’esortazione apostolica “programmatica”
Evangelii gaudium il tema ricorre una decina di volte (nn. 16; 30; 33; 43; 45; 50; 154; 166; 179; 181); nell’esortazione apostolica post-sinodale
Amoris laetitia il discernimento risulta essere uno degli argomenti centrali: si contano una quarantina di ricorrenze del termine; ad esso è dedicato in particolare il capitolo 8 (“Accompagnare, discernere e integrare le fragilità”). E proprio al ruolo-chiave svolto dal discernimento in
Amoris laetitia Padre Spadaro, insieme al teologo americano Louis J. Cameli, ha dedicato recentemente un articolo su
La Civiltà Cattolica (n. 3985 del 9 luglio 2016, pp. 3-16) dal titolo “La sfida del discernimento in
Amoris laetitia”. Purtroppo, in questo caso non posso darvi il
link, dal momento che la consultazione
online è permessa solo agli abbonati; mi limiterò perciò a fornirvi l’
abstract dell’articolo:
«La parola “discernimento” occupa un posto determinante nell’impianto dell’Esortazione apostolica postsinodale di Papa Francesco sulla famiglia Amoris laetitia. Francesco usa parole molto forti al riguardo: “È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano”. Alcune tra le incomprensioni riguardo a questo importante testo del Magistero nascono proprio dall’incapacità di comprendere che cosa sia il discernimento e di viverlo. L’articolo — scritto a quattro mani dal nostro direttore e da un sacerdote teologo dell’arcidiocesi di Chicago — intende aiutare il lettore a comprendere meglio che cosa sia il discernimento e la sfida seria e impegnativa che esso pone alla pastorale».
Posso inoltre rinviarvi a un paio di commenti: la breve recensione della
Nuova Bussola Quotidiana e le recenti riflessioni, in due puntate (
qui e
qui) di Andrea Mondinelli su
CulturaCattolica.it.
Non si può inoltre ignorare che “discernimento” è una delle “sei parole talismaniche” di cui tratta Guido Vignelli nel suo
Una rivoluzione pastorale, recentemente pubblicato da “Tradizione Famiglia Proprietà” (Roma, 2016, pp. 96), con la prefazione di S. E. Mons. Athanasius Schneider e, in appendice, una sintesi del saggio di Plinio Corrêa de Oliveira
Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo (in questo caso, chiunque può liberamente consultare
online e scaricare il libro
qui). Non posso che raccomandare a tutti la lettura di questo volumetto. Tuttavia non mi sembra soddisfacente la trattazione riguardante il discernimento. Pertanto, vediamo un po’ di raccapezzarci su una questione che sembra diventata particolarmente intricata e confusa.
1. Il discernimento degli spiriti
“Discernimento” deriva dal latino dis-cernere, che significa “distinguere, separare”. Come ricorda Padre Spadaro nel suo articolo, il discernimento è all’origine uno dei carismi elencati nella prima lettera ai Corinzi (12:10; 14:29): piú precisamente, Paolo parla di “discernimento degli spiriti” (διακρίσεις πνευμάτων, discretio spirituum). Un’idea che aveva già espresso nella prima lettera ai Tessalonicesi: «Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate (δοκιμάζετε, probate) ogni cosa e tenete ciò che è buono» (5:19-21), e che ritroviamo nella prima lettera di Giovanni: «Non prestate fede a ogni spirito, ma mettete alla prova gli spiriti (δοκιμάζετε τὰ πνεύματα, probate spiritus), per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono venuti nel mondo» (4:1). Da questi testi appare chiaro che ci troviamo in un contesto tutto “spirituale”. Come giustamente fa notare Padre Spadaro:
«Esistono diversi “spiriti” al lavoro nel mondo e nella nostra vita. Certo, lo Spirito Santo di Dio ci attira verso Dio, ma ci sono anche altri spiriti che possono ostacolare il nostro cammino. Il discernimento ci aiuta a determinare ciò che ci porta a Dio e ciò che ci conduce lontano da lui» (p. 5).
Come abbiamo visto in Paolo e Giovanni, questi “spiriti” — buoni e cattivi — si esprimono solitamente attraverso dei “profeti”. Non si tratta, ovviamente, dei profeti dell’Antico Testamento, ma dei “profeti” presenti nelle prime comunità cristiane. Paolo ci invita a non disprezzare tali profeti e quindi a essere aperti nei loro confronti; ma, allo stesso tempo, Giovanni ci mette in guardia dalle contraffazioni, essendoci in circolazione molti “falsi profeti”. Che fare allora? Entrambi ci raccomandano di vagliare, mettere alla prova, discernere gli spiriti, per saggiare se sono da Dio o no. Il discernimento sta esattamente in questo: verificare se un determinato spirito viene da Dio, e quindi è buono e da accogliere, o se proviene dal demonio, e quindi è cattivo e da respingere.
La TOB, nella nota a 1Cor 12:10, fa notare che si tratta di «una capacità che ogni fedele deve possedere». Personalmente, penso che — senza escludere il possesso del dono della
discretio spirituum, che è un carisma, da parte di singoli e senza mettere in discussione il dovere per ogni cristiano di discernere la verità dall’errore, il bene dal male — normalmente i fedeli esercitano il discernimento attraverso quello che viene chiamato
sensus fidei o
sensus fidelium (su cui si può utilmente consultare
Lumen gentium, n. 12, il
Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 91-93, e il recente documento della Commissione teologica internazionale
Il “sensus fidei” nella vita della Chiesa). Altrettanto normalmente il discernimento dei carismi viene compiuto da coloro ai quali, nella Chiesa, è stato affidato il compito di guidare, come Pastori, il popolo di Dio, vale a dire il Papa e i Vescovi in comunione con lui. Afferma in proposito il Catechismo:
«È in questo senso che si dimostra sempre necessario il discernimento dei carismi. Nessun carisma dispensa dal riferirsi e sottomettersi ai Pastori della Chiesa, “ai quali spetta specialmente, non di estinguere, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono” [LG 12], affinché tutti i carismi, nella loro diversità e complementarità, cooperino all’“utilità comune” [1Cor 12:7]» (n. 801).
Tale discernimento si verifica, per esempio, in occasione delle fondazione di un nuovo istituto religioso, un procedimento assai delicato, tanto che recentemente è stata resa obbligatoria
ad validitatem la consultazione previa della Santa Sede per l’erezione di un istituto di diritto diocesano prevista dal can. 579 (vedi
qui). Un discernimento simile va operato in altre situazioni, come, per esempio, nel caso delle apparizioni mariane. Sono trentacinque anni che esiste il fenomeno Medjugorje, eppure la Santa Sede non si è ancora pronunciata in maniera chiara e definitiva. Questo solo per dire che non è per nulla facile discernere certi fenomeni spirituali.
2. Il discernimento ecclesiale
Questo il significato originale di “discernimento degli spiriti”. Naturalmente esso si è andato via via estendendo. In senso lato, i Pastori della Chiesa sono chiamati a discernere se una determinata dottrina sia vera o falsa, o se un determinato comportamento sia buono o cattivo, o, su un piano disciplinare o pastorale, se determinate consuetudini siano ancora valide, e vadano quindi ritenute, o se siano superate, e vadano quindi abbandonate. Da questo punto di vista, il campione di questo tipo di discernimento nei nostri tempi, secondo me, è il Beato Paolo VI, il quale, in una situazione in cui tutto veniva messo in discussione, ha dovuto discernere che cosa bisognava conservare e che cosa si poteva lasciar cadere. Come ho avuto modo di rilevare (vedi
qui), ritengo che lo stesso Concilio Vaticano II possa essere considerato come una forma di discernimento della Chiesa sulla modernità e il modernismo, in attuazione del precetto paolino: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono».
3. Il discernimento comunitario
In un senso ancora piú vasto, “discernimento” è diventato sinonimo (ma in effetti lo è sempre stato) di lettura dei “segni dei tempi” e di ricerca della volontà di Dio in una particolare situazione, sia a livello comunitario, sia a livello individuale. Nel primo caso abbiamo il “discernimento comunitario”, praticato oggi soprattutto nell’ambito della vita religiosa. Ne parlano ampiamente il documento
La vita fraterna in comunità (2 febbraio 1994) e l’esortazione apostolica
Vita consecrata (25 marzo 1996). Il primo di questi documenti descrive cosí il discernimento comunitario:
«Il discernimento comunitario è un procedimento assai utile, anche se non facile né automatico, perché coinvolge competenza umana, sapienza spirituale e distacco personale. Là dove è praticato con fede e serietà può offrire all’autorità le migliori condizioni per prendere le necessarie decisioni in vista del bene della vita fraterna e della missione» (n. 50).
Tale discernimento si realizza specialmente a livello capitolare. Anche se i capitoli, a cominciare da quelli generali, purtroppo sono spesso controllati dalle lobby, quando si dimenticano gli interessi umani e ci si abbandona senza riserve all’azione dello Spirito, il discernimento è molto efficace. Posso testimoniarlo per esperienza personale.
4. Il discernimento spirituale
Sempre in ambito monastico/religioso, si afferma progressivamente la pratica del discernimento spirituale individuale. Padre Spadaro, nel suo articolo, fa riferimento a «i padri e le madri del deserto» (beh, le madri poteva pure risparmiarsele…) per accennare poi all’esperienza di Sant’Ignazio di Loyola che troviamo descritta nei suoi Esercizi spirituali. L’esperienza del fondatore dei Gesuiti infatti è fondamentalmente una esperienza personale di discernimento, riversata poi negli Esercizi spirituali, perché altri potessero ripeterla. Si veda in proposito la lettura della liturgia delle ore del 31 luglio, in particolare la finale:
«Fu la prima meditazione intorno alle cose spirituali. In seguito poi, addentratosi ormai negli esercizi spirituali, costatò che proprio da qui aveva cominciato a comprendere quello che insegnò ai suoi sulla diversità degli spiriti».
Ritroviamo l’espressione “spiriti”, che avevamo incontrato nel Nuovo Testamento. In questo caso però non si tratta né di carismi né di profezie, ma della presenza e dell’azione dello spirito del bene e dello spirito del male dentro ciascuno di noi. Gli Esercizi spirituali vengono scritti «per vincere sé stesso e per mettere ordine nella propria vita senza prendere decisioni in base ad alcuna affezione che sia disordinata» (n. 21). Fine degli esercizi è l’“elezione”, vale a dire la scelta, o la “riforma” dello stato di vita. Per poter arrivare a questo, occorre appunto fare discernimento. A tale proposito troviamo, alla fine degli Esercizi spirituali, due serie di “regole per riconoscere gli spiriti”, la prima piú adatta alla prima settimana (nn. 313-327) e la seconda indicata soprattutto per la seconda settimana (nn. 328-336). Si tratta di regole destinate a chi dirige gli esercizi, per aiutare l’esercitante a fare discernimento: il discernimento deve essere fatto dall’interessato; il direttore può guidarlo, ma non può sostituirsi a lui. Le regole servono a riconoscere gli spiriti buoni e quelli cattivi, a sapere come comportarsi nel tempo della “consolazione” e della “desolazione” spirituale, a prepararsi ad affrontare le tentazioni e gli inganni del demonio. Ebbene, si tratta di una procedura estremamente complessa e laboriosa che richiede, appunto, tutta una serie di “esercizi spirituali”: quattro settimane di completo ritiro, silenzio rigoroso, cinque ore di orazione ogni giorno, esame di coscienza (particolare e generale), confessione generale dei peccati, ecc. Un metodo severo, ma efficace (anche in questo caso, parlo per esperienza personale).
5. Il discernimento morale
Un’altra forma di discernimento individuale è quello che potremmo definire “morale”. Vi fa riferimento il Catechismo della Chiesa cattolica trattando del giudizio della coscienza (nn. 1777-1782):
«La dignità della persona umana implica ed esige la rettitudine della coscienza morale. La coscienza morale comprende la percezione dei principi della moralità (sinderesi), la loro applicazione nelle circostanze di fatto mediante un discernimento pratico delle ragioni e dei beni e, infine, il giudizio riguardante gli atti concreti che si devono compiere o che sono già stati compiuti. La verità sul bene morale, dichiarata nella legge della ragione, è praticamente e concretamente riconosciuta attraverso il giudizio prudente della coscienza. Si chiama prudente l’uomo le cui scelte sono conformi a tale giudizio» (n. 1780).
Come si può vedere da tale testo, il discernimento, in questo caso, è un momento previo al giudizio della coscienza: esso consiste nell’applicazione dei principi della moralità — in sé astratti, perché universali — alla situazione concreta in cui ci troviamo a vivere.
6. Il discernimento pastorale
Ora, infine, ci viene proposto, come “chiave di un cristianesimo adulto” (Padre Spadaro), il “discernimento pastorale”. Di che cosa si tratta? Mah, nonostante i numerosi interventi in proposito, non mi sembra che sia poi cosí chiaro. Vediamo di capirci qualcosa. Innanzi tutto, sembrerebbe che non c’entri nulla col discernimento spirituale, né quello di carattere ecclesiale, né quello individuale di ignaziana memoria. Sembrerebbe piuttosto rientrare nell’ambito del discernimento morale. Con la differenza che non è l’individuo a farlo, nel contesto del giudizio morale, ma un’altra persona — un sacerdote, un confessore, un direttore spirituale — nell’ambito del cosiddetto “accompagnamento pastorale” (un’altra delle parole talismaniche, di cui al volume di Guido Vignelli). Almeno cosí mi par di capire. Amoris laetitia applica questo metodo pastorale alle situazioni matrimoniali “cosiddette” irregolari. Che cosa si tratta di fare? Non bisogna limitarsi a esprimere un giudizio, in base ai principi — astratti — della legge morale; occorre considerare (“discernere”) le situazioni concrete — diversissime tra loro — in cui ciascuna coppia si trova a vivere; e, in base a tale discernimento, verificare l’esistenza di circostanze che possono attenuare se non addirittura annullare la responsabilità morale di determinati comportamenti. Che dire?
Beh, che la Chiesa abbia sempre fatto tale discernimento, in foro interno (nell’ambito della confessione sacramentale o in sede di direzione spirituale), è un dato di fatto; non è una novità. Ciò che mi crea problema è fare di tale discernimento una “tecnica pastorale”. Ho l’impressione che si stia banalizzando un procedimento estremamente complesso e delicato. Abbiamo visto quale rigida disciplina comporti il discernimento spirituale negli esercizi ignaziani; ora si ha l’impressione (sottolineo: “impressione”) che basti il colloquio con un sacerdote per risolvere situazioni estremamente complesse e ingarbugliate. È vero, si parla di “accompagnamento”. Ma che significa?
Il bello è che, per risolvere certi problemi, ci si affida alla confessione, alla direzione spirituale, al foro interno, proprio ora che la gente non va piú in chiesa e, se ci va, non si confessa e, se si confessa, si guarda bene dal tirar fuori certe questioni. Figuriamoci poi se pratica la direzione spirituale! E questo tipo di soluzioni pastorali vengono proprio dai paesi dove negli ultimi anni si è registrato un crollo della pratica sacramentale (si vedano i dati riportati recentemente da
Marco Tosatti a proposito della Germania). Senza dire poi che la confessione e la direzione spirituale sono pratiche individuali, mentre il matrimonio è una questione di coppia e, per sua natura, ha carattere pubblico: come si possono risolvere in foro interno questioni che dovrebbero essere affrontate in foro esterno (giudiziale o extragiudiziale)? Non sono un moralista né un canonista (e pertanto chiedo venia per eventuali inesattezze), ma ho l’impressione che qualcosa non torni. Lo scopo del discernimento non può essere la ricerca delle circostanze attenuanti del nostro comportamento, ma la ricerca della volontà di Dio su di noi. E, per far questo, la prima condizione è la conversione: riconoscere umilmente i propri peccati e impegnarsi a cambiare vita. Noi invece andiamo a cercare le scusanti.
Non sarà il caso di fare un po’ di discernimento anche sulla nuova pastorale? L’ultima delle regole per il discernimento della prima settimana degli esercizi spirituali di Sant’Ignazio recita:
«Quattordicesima regola. Cosí pure il demonio si comporta come un condottiero che vuole vincere e fare bottino. Infatti un capitano, che è capo di un esercito, pianta il campo ed esamina le difese o la disposizione di un castello, e poi lo attacca dalla parte piú debole. Allo stesso modo il nemico della natura umana ci gira attorno ed esamina tutte le nostre virtú teologali, cardinali e morali, e poi ci attacca e cerca di prenderci dove ci trova piú deboli e piú sprovveduti per la nostra salvezza eterna» (n. 327).
Non sarà, niente niente, che il “nemico della natura umana” ci stia ingannando con una delle sue astuzie?
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