martedì 18 luglio 2017

I mulini a vento della “Civiltà Cattolica”



Sull’ultimo numero della Civiltà Cattolica è apparso un articolo, firmato dal Direttore della rivista Padre Antonio Spadaro e dal Direttore dell’edizione argentina dell’Osservatore Romano Marcelo Figueroa, dal titolo “Fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico. Un sorprendente ecumenismo”. Il fatto che il saggio sia accessibile a tutti sul sito della Civiltà Cattolica e che ne sia stata predisposta anche la traduzione in inglese fa capire che si vuole dare al testo la massima diffusione e che si vuole rivestire l’intervento di un’autorevolezza diversa rispetto a quella degli altri articoli di una rivista che, già di suo, non è una rivista qualsiasi, ma è sempre stata considerata un po’ come l’organo ufficioso della Santa Sede.

L’articolo desta una qualche meraviglia, perché interviene, oltretutto con un’insolita violenza verbale, in campi che non sono sotto l’immediata giurisdizione della Chiesa cattolica: la politica americana e un movimento religioso non-cattolico (il “fondamentalismo evangelicale”). L’unico settore sul quale La Civiltà Cattolica potrebbe rivendicare il diritto a pronunciarsi è quello del cosiddetto “integralismo cattolico” (un’espressione che ci eravamo illusi appartenesse ormai al passato; ma, a quanto pare, è tornata in auge col nuovo corso che ha intrapreso la Chiesa ai nostri giorni). Va detto però che le frange integraliste della Chiesa cattolica americana non sembrerebbero l’obiettivo principale dell’articolo: si parla di esse solo di striscio, nel contesto de “L’ecumenismo fondamentalista”. Il bersaglio dell’intervento sembra essere piuttosto il “fondamentalismo evangelicale” e i suoi influssi sulla politica americana. La meraviglia aumenta quando si considera che non sono stati fatti finora interventi analoghi nei confronti di altre realtà politiche e religiose.

Ovviamente ci si può trovare d’accordo su diversi punti toccati dall’articolo. Le critiche rivolte al fondamentalismo americano non sono certo campate in aria; cosí come è assolutamente condivisibile la preoccupazione che la Chiesa non diventi «la garanzia dei ceti dominanti» e non dia legittimazione teologico-politica «a coloro che postulano e che vogliono una “guerra santa”». Nonostante ciò, mi sembra opportuno fare alcune annotazioni, anche considerando la rilevanza che si è voluta dare all’articolo. Si tratta di pensieri sparsi, senza alcuna pretesa di sistematicità ed esaustività.

1. L’articolo non è esente da alcuni difetti che esso rimprovera ai propri interlocutori. Si accusa la politica americana, non senza fondamento, di manicheismo; ma anche nell’atteggiamento di chi scrive l’articolo si potrebbero rinvenire venature della medesima tendenza: sembrerebbe di capire che solo noi — la “Chiesa di Francesco” — siamo autenticamente cristiani; tutti gli altri avrebbero travisato il Vangelo. Si attribuisce al fondamentalismo una «visione xenofoba e islamofoba, che invoca muri e deportazioni purificatrici»; e poi, facendo propria una certa mentalità del Nord-Est americano, si indica questa collettività, non senza una punta di disprezzo, come composta da «bianchi di estrazione popolare del profondo Sud americano». Si denuncia, giustamente, la tendenza del potere a «trovare un nemico interno o esterno da combattere», quando poi si dà l’impressione di fare lo stesso, additando il fondamentalismo e la politica americana (almeno una certa politica: è interessante notare che non vengono mai menzionate le presidenze democratiche) come il nemico numero uno da combattere.

2. Ci si accorge ora che quelle che erano le bandiere del rinnovamento conciliare possono prendere una piega imprevista, contraria alle aspettative (“eterogenesi dei fini”): si vedano le critiche all’interpretazione della Bibbia, all’ecumenismo e alla libertà religiosa. A proposito di Bibbia: «letture decontestualizzate»; «comprensione letteralistica dei racconti della creazione»; «concezione non allegorica delle figure finali del libro dell’Apocalisse»; «lettura unidirezionale dei testi biblici». A proposito di ecumenismo: «ecumenismo fondamentalista»; «ecumenismo del conflitto»; «ecumenismo dell’odio». A proposito di libertà religiosa: «retorica della libertà religiosa»; «religione in libertà»; «diretta sfida virtuale alla laicità dello Stato».

3. Ci si sarebbe aspettati un’analisi meno superficiale di certi fenomeni e situazioni. Una maggiore attenzione alle radici storiche puritano-calviniste degli Stati Uniti, per esempio, avrebbe permesso di comprendere meglio lo sviluppo in quel paese di una “teologia della prosperità”. Cosí come essa aiuterebbe a capire la non facile situazione in cui vengono a trovarsi i cattolici americani, che sono senz’altro cattolici (forse piú di noi), ma sono anche, e forse innanzi tutto, americani. D’altra parte, meraviglia la lettura acritica di fenomeni quali il fondamentalismo islamico, quasi si trattasse di fenomeni naturali, senza lasciarsi sfiorare dal benché minimo sospetto che possa trattarsi di fenomeni indotti.

4. Una parola a parte merita il «sorprendente ecumenismo tra fondamentalisti evangelicali e cattolici integralisti». Ci si stupisce del fatto che cattolici e protestanti in America condividano obiettivi comuni «sul terreno di temi come l’aborto, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’educazione religiosa nelle scuole e altre questioni considerate genericamente morali e legate ai valori» (qualche anno fa si sarebbe parlato in proposito di “principi non-negoziabili”; ora questi sono diventati, molto sbrigativamente, «valori del fondamentalismo»). Ma non si era affermato piú volte che, laddove non fosse possibile un accordo sulle questioni teologiche, era sempre possibile — e auspicabile — una collaborazione delle diverse confessioni religiose a servizio dell’uomo?

5. È evidente che gli autori dell’articolo, di fronte a questo ecumenismo fondamentalista, optino per l’ecumenismo tradizionale, «che si muove nella linea dell’inclusione, della pace, dell’incontro e dei ponti». A parte la discutibile riduzione dell’ecumenismo tradizionale ad alcune categorie sociologiche, chiedo: “Ma non ci si rende conto che l’ecumenismo tradizionale viene praticato con comunità che sono ormai praticamente in via di estinzione?”. Se il protestantesimo è ancora vivo nel mondo, lo è, appunto, nella sua forma “evangelicale” (che brutto anglicismo!) e in quella “pentecostale”. Non sarà piú utile confrontarsi con loro?

6. È curioso che noi cattolici, che in passato sostenevamo l’alleanza Trono-Altare, adesso siamo diventati i primi difensori, non dico di una sana laicità dello Stato, ma addirittura della totale separazione fra Stato e Chiesa, fino al punto di escludere qualsiasi «possibilità di influire nella sfera politica, parlamentare, giuridica ed educativa, per sottoporre le norme pubbliche alla morale religiosa». Viene da chiedersi: “Ma allora, che ci stiamo a fare, se non possiamo neppure dare il nostro contributo all’elaborazione delle leggi? Tanto vale ritirarsi nel deserto. E a chi dovremmo lasciare il compito di fare le leggi? Ai massoni?”.

7. L’ultima parte dell’articolo si inoltra nel campo della geopolitica: «Un tratto netto della geopolitica di papa Francesco consiste nel non dare sponde teologiche al potere per imporsi o per trovare un nemico interno o esterno da combattere … Francesco intende spezzare il legame organico tra cultura, politica, istituzioni e Chiesa … Francesco rifiuta radicalmente l’idea dell’attuazione del Regno di Dio sulla terra, che era stata alla base del Sacro Romano Impero e di tutte le forme politiche e istituzionali similari fino alla dimensione del “partito”». Ho paura che non ci si renda conto dell’ingenuità di una tale visione. Ci si illude che si possa creare una Chiesa tutta spirituale ed equidistante dai diversi poteri politici, senza accorgersi che, cosí facendo, si fa il gioco del potere. Un cristianesimo disincarnato diventa facile preda del potere e delle ideologie; con esso il Papa diventerebbe il cappellano dell’“imperatore” di turno. È vero che nel corso dei secoli la Chiesa si è sporcata le mani con il potere politico: ha fatto alleanze, ha incoronato re, ha voluto per sé un potere temporale che forse non le spettava, ha ispirato e promosso partiti politici. Ma è altrettanto vero che si è spesso trovata in conflitto col potere costituito (un esempio fra tutti: la lotta per le investiture). Ebbene, perché ha fatto tutto questo? Per sete di potere? Ahimè, si ha l’impressione che ci sia un difetto di consapevolezza storica. L’unico motivo per cui la Chiesa si è sporcata le mani nella politica è stato per garantirsi libertà di azione. La libertas Ecclesiae è la sola ragione che spiega un comportamento altrimenti sanzionabile come antievangelico. D’altra parte, non è Papa Francesco che ha scritto: «Un cuore missionario non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada» (EG 45; cf AL 308)?

8. Una conferma della carente visione geopolitica della Chiesa attuale la troviamo nelle parole di Papa Francesco al quotidiano La Croix: «L’Europa, sí, ha radici cristiane. Il cristianesimo ha il dovere di annaffiarle, ma in uno spirito di servizio come per la lavanda dei piedi. Il dovere del cristianesimo per l’Europa è il servizio … L’apporto del cristianesimo a una cultura è quello di Cristo con la lavanda dei piedi, ossia il servizio e il dono della vita. Non deve essere un apporto colonialista». Che il contributo della Chiesa stia anche nel servizio, non c’è dubbio; ma forse ci si dimentica che il servizio, per essere efficace, deve essere organizzato, deve tradursi in opere; se necessario, deve istituzionalizzarsi; e questo porta di nuovo a sporcarsi le mani. Il ruolo che invece oggi si vorrebbe riservare alla Chiesa è quello di una agenzia umanitaria. Considerare la Chiesa semplicemente come un “ospedale da campo” è esattamente ciò che desidera il potere: “Tu pensa ad alleviare le pene dell’umanità; al resto ci pensiamo noi”.

9. «Oggi piú che mai è necessario spogliare il potere dei suoi panni confessionali paludati, delle sue corazze, delle sue armature arrugginite». Ma di che stiamo parlando? Qui, se c’è qualcosa di arrugginito, è proprio la descrizione di una realtà che non esiste piú. Ma dove sta il potere paludato di panni confessionali? Sembrerebbe che La Civiltà Cattolica non si sia accorta che il Sacro Romano Impero non c’è piú. E nemmeno la Democrazia Cristiana. Ci troviamo di fronte a un potere ormai completamente secolarizzato; e noi ci preoccupiamo di spogliarlo dei suoi panni confessionali paludati!

10. Ma la cosa piú preoccupante è che La Civiltà Cattolica, rimasta all’epoca dei re cattolici, non si è accorta che, nel frattempo, il potere ha cambiato panni. Il potere reale non è costituito da Trump e Putin; da Macron e dalla Merkel; da Gentiloni e Mattarella. Il vero potere è un potere anonimo, invisibile, impersonale, piú economico che politico, che continua a servirsi della religione e della politica come di semplici instrumenta regni. Che La Civiltà Cattolica, ma soprattutto che la “Chiesa di Francesco”, non si accorga di ciò, è grave. È grave non rendersi conto che, combattendo un potere che non esiste, ci si pone di fatto a servizio del vero potere.
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