Sull’ultimo
numero della Civiltà Cattolica è apparso un articolo, firmato dal
Direttore della rivista Padre Antonio Spadaro e dal Direttore dell’edizione
argentina dell’Osservatore Romano Marcelo Figueroa, dal titolo
“Fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico. Un sorprendente
ecumenismo”. Il fatto che il saggio sia accessibile a tutti sul sito della Civiltà Cattolica e che ne sia stata predisposta anche la
traduzione in inglese fa capire che si vuole dare al testo la
massima diffusione e che si vuole rivestire l’intervento di un’autorevolezza
diversa rispetto a quella degli altri articoli di una rivista che, già di suo,
non è una rivista qualsiasi, ma è sempre stata considerata un po’ come l’organo
ufficioso della Santa Sede.
L’articolo desta
una qualche meraviglia, perché interviene, oltretutto con un’insolita violenza
verbale, in campi che non sono sotto l’immediata giurisdizione della Chiesa
cattolica: la politica americana e un movimento religioso non-cattolico (il
“fondamentalismo evangelicale”). L’unico settore sul quale La Civiltà
Cattolica potrebbe rivendicare il diritto a pronunciarsi è quello del
cosiddetto “integralismo cattolico” (un’espressione che ci eravamo illusi
appartenesse ormai al passato; ma, a quanto pare, è tornata in auge col nuovo
corso che ha intrapreso la Chiesa ai nostri giorni). Va detto però che le
frange integraliste della Chiesa cattolica americana non sembrerebbero
l’obiettivo principale dell’articolo: si parla di esse solo di striscio, nel
contesto de “L’ecumenismo fondamentalista”. Il bersaglio dell’intervento sembra
essere piuttosto il “fondamentalismo evangelicale” e i suoi influssi sulla
politica americana. La meraviglia aumenta quando si considera che non sono
stati fatti finora interventi analoghi nei confronti di altre realtà politiche
e religiose.
Ovviamente ci si
può trovare d’accordo su diversi punti toccati dall’articolo. Le critiche
rivolte al fondamentalismo americano non sono certo campate in aria; cosí come
è assolutamente condivisibile la preoccupazione che la Chiesa non diventi «la
garanzia dei ceti dominanti» e non dia legittimazione teologico-politica «a
coloro che postulano e che vogliono una “guerra santa”». Nonostante ciò, mi
sembra opportuno fare alcune annotazioni, anche considerando la rilevanza che
si è voluta dare all’articolo. Si tratta di pensieri sparsi, senza alcuna
pretesa di sistematicità ed esaustività.
1. L’articolo non
è esente da alcuni difetti che esso rimprovera ai propri interlocutori. Si
accusa la politica americana, non senza fondamento, di manicheismo; ma anche
nell’atteggiamento di chi scrive l’articolo si potrebbero rinvenire venature
della medesima tendenza: sembrerebbe di capire che solo noi — la “Chiesa di
Francesco” — siamo autenticamente cristiani; tutti gli altri avrebbero
travisato il Vangelo. Si attribuisce al fondamentalismo una «visione xenofoba e
islamofoba, che invoca muri e deportazioni purificatrici»; e poi, facendo
propria una certa mentalità del Nord-Est americano, si indica questa
collettività, non senza una punta di disprezzo, come composta da «bianchi di
estrazione popolare del profondo Sud americano». Si denuncia, giustamente, la
tendenza del potere a «trovare un nemico interno o esterno da combattere»,
quando poi si dà l’impressione di fare lo stesso, additando il fondamentalismo
e la politica americana (almeno una certa politica: è interessante notare che non
vengono mai menzionate le presidenze democratiche) come il nemico numero uno da
combattere.
2. Ci si accorge
ora che quelle che erano le bandiere del rinnovamento conciliare possono
prendere una piega imprevista, contraria alle aspettative (“eterogenesi dei
fini”): si vedano le critiche all’interpretazione della Bibbia, all’ecumenismo
e alla libertà religiosa. A proposito di Bibbia: «letture
decontestualizzate»; «comprensione letteralistica dei racconti della
creazione»; «concezione non allegorica delle figure finali del libro
dell’Apocalisse»; «lettura unidirezionale dei testi biblici». A proposito di ecumenismo:
«ecumenismo fondamentalista»; «ecumenismo del conflitto»; «ecumenismo
dell’odio». A proposito di libertà religiosa: «retorica della libertà
religiosa»; «religione in libertà»; «diretta sfida virtuale alla laicità dello
Stato».
3. Ci si sarebbe
aspettati un’analisi meno superficiale di certi fenomeni e situazioni. Una
maggiore attenzione alle radici storiche puritano-calviniste degli Stati Uniti,
per esempio, avrebbe permesso di comprendere meglio lo sviluppo in quel paese
di una “teologia della prosperità”. Cosí come essa aiuterebbe a capire la non
facile situazione in cui vengono a trovarsi i cattolici americani, che sono senz’altro
cattolici (forse piú di noi), ma sono anche, e forse innanzi tutto, americani.
D’altra parte, meraviglia la lettura acritica di fenomeni quali il
fondamentalismo islamico, quasi si trattasse di fenomeni naturali, senza lasciarsi
sfiorare dal benché minimo sospetto che possa trattarsi di fenomeni indotti.
4. Una parola a
parte merita il «sorprendente ecumenismo tra fondamentalisti evangelicali e
cattolici integralisti». Ci si stupisce del fatto che cattolici e protestanti
in America condividano obiettivi comuni «sul terreno di temi come l’aborto, il
matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’educazione religiosa nelle scuole
e altre questioni considerate genericamente morali e legate ai valori» (qualche
anno fa si sarebbe parlato in proposito di “principi non-negoziabili”; ora questi
sono diventati, molto sbrigativamente, «valori del fondamentalismo»). Ma non si
era affermato piú volte che, laddove non fosse possibile un accordo sulle questioni
teologiche, era sempre possibile — e auspicabile — una collaborazione delle
diverse confessioni religiose a servizio dell’uomo?
5. È evidente che
gli autori dell’articolo, di fronte a questo ecumenismo fondamentalista, optino
per l’ecumenismo tradizionale, «che si muove nella linea dell’inclusione, della
pace, dell’incontro e dei ponti». A parte la discutibile riduzione
dell’ecumenismo tradizionale ad alcune categorie sociologiche, chiedo: “Ma non
ci si rende conto che l’ecumenismo tradizionale viene praticato con comunità
che sono ormai praticamente in via di estinzione?”. Se il protestantesimo è
ancora vivo nel mondo, lo è, appunto, nella sua forma “evangelicale” (che
brutto anglicismo!) e in quella “pentecostale”. Non sarà piú utile confrontarsi
con loro?
6. È curioso che
noi cattolici, che in passato sostenevamo l’alleanza Trono-Altare, adesso siamo
diventati i primi difensori, non dico di una sana laicità dello Stato, ma
addirittura della totale separazione fra Stato e Chiesa, fino al punto di
escludere qualsiasi «possibilità di influire nella sfera politica,
parlamentare, giuridica ed educativa, per sottoporre le norme pubbliche alla
morale religiosa». Viene da chiedersi: “Ma allora, che ci stiamo a fare, se non
possiamo neppure dare il nostro contributo all’elaborazione delle leggi? Tanto
vale ritirarsi nel deserto. E a chi dovremmo lasciare il compito di fare le
leggi? Ai massoni?”.
7. L’ultima parte
dell’articolo si inoltra nel campo della geopolitica: «Un tratto netto della
geopolitica di papa Francesco consiste nel non dare sponde teologiche al potere
per imporsi o per trovare un nemico interno o esterno da combattere … Francesco
intende spezzare il legame organico tra cultura, politica, istituzioni e Chiesa
… Francesco rifiuta radicalmente l’idea dell’attuazione del Regno di Dio sulla
terra, che era stata alla base del Sacro Romano Impero e di tutte le forme
politiche e istituzionali similari fino alla dimensione del “partito”». Ho paura
che non ci si renda conto dell’ingenuità di una tale visione. Ci si illude che
si possa creare una Chiesa tutta spirituale ed equidistante dai diversi poteri
politici, senza accorgersi che, cosí facendo, si fa il gioco del potere. Un
cristianesimo disincarnato diventa facile preda del potere e delle ideologie;
con esso il Papa diventerebbe il cappellano dell’“imperatore” di turno. È vero
che nel corso dei secoli la Chiesa si è sporcata le mani con il potere
politico: ha fatto alleanze, ha incoronato re, ha voluto per sé un potere
temporale che forse non le spettava, ha ispirato e promosso partiti politici.
Ma è altrettanto vero che si è spesso trovata in conflitto col potere
costituito (un esempio fra tutti: la lotta per le investiture). Ebbene, perché
ha fatto tutto questo? Per sete di potere? Ahimè, si ha l’impressione che ci
sia un difetto di consapevolezza storica. L’unico motivo per cui la Chiesa si è
sporcata le mani nella politica è stato per garantirsi libertà di azione. La libertas
Ecclesiae è la sola ragione che spiega un comportamento altrimenti sanzionabile
come antievangelico. D’altra parte, non è Papa Francesco che ha scritto: «Un
cuore missionario … non
rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della
strada» (EG 45; cf AL 308)?
8. Una conferma
della carente visione geopolitica della Chiesa attuale la troviamo nelle parole
di Papa Francesco al quotidiano La Croix: «L’Europa, sí, ha radici
cristiane. Il cristianesimo ha il dovere di annaffiarle, ma in uno spirito di
servizio come per la lavanda dei piedi. Il dovere del cristianesimo per
l’Europa è il servizio … L’apporto del cristianesimo a una cultura è quello di
Cristo con la lavanda dei piedi, ossia il servizio e il dono della vita. Non
deve essere un apporto colonialista». Che il contributo della Chiesa stia anche
nel servizio, non c’è dubbio; ma forse ci si dimentica che il servizio, per
essere efficace, deve essere organizzato, deve tradursi in opere; se
necessario, deve istituzionalizzarsi; e questo porta di nuovo a sporcarsi le
mani. Il ruolo che invece oggi si vorrebbe riservare alla Chiesa è quello di
una agenzia umanitaria. Considerare la Chiesa semplicemente come un “ospedale
da campo” è esattamente ciò che desidera il potere: “Tu pensa ad alleviare le
pene dell’umanità; al resto ci pensiamo noi”.
9. «Oggi piú che
mai è necessario spogliare il potere dei suoi panni confessionali paludati,
delle sue corazze, delle sue armature arrugginite». Ma di che stiamo parlando?
Qui, se c’è qualcosa di arrugginito, è proprio la descrizione di una realtà che
non esiste piú. Ma dove sta il potere paludato di panni confessionali? Sembrerebbe
che La Civiltà Cattolica non si sia accorta che il Sacro Romano Impero
non c’è piú. E nemmeno la Democrazia Cristiana. Ci troviamo di fronte a un
potere ormai completamente secolarizzato; e noi ci preoccupiamo di spogliarlo
dei suoi panni confessionali paludati!
10. Ma la cosa
piú preoccupante è che La Civiltà Cattolica, rimasta all’epoca dei re
cattolici, non si è accorta che, nel frattempo, il potere ha cambiato panni. Il
potere reale non è costituito da Trump e Putin; da Macron e dalla Merkel; da Gentiloni
e Mattarella. Il vero potere è un potere anonimo, invisibile, impersonale, piú
economico che politico, che continua a servirsi della religione e della
politica come di semplici instrumenta regni. Che La Civiltà Cattolica,
ma soprattutto che la “Chiesa di Francesco”, non si accorga di ciò, è grave. È
grave non rendersi conto che, combattendo un potere che non esiste, ci si pone
di fatto a servizio del vero potere.
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