I miei lettori sanno che solitamente non mi occupo di politica, non perché non mi interessi, ma perché il ruolo che svolgo nella Chiesa (che è la casa di tutti) non mi permette di essere di parte: il sacerdote è padre di tutti e non solo di alcuni. Ma, oltre alla politica spicciola di tutti i giorni (quella che qualche anno fa veniva chiamata il “teatrino della politica italiana”), che mi interessa relativamente, esiste una politica con la “p” maiuscola, che non può lasciarmi indifferente, non solo come cittadino, ma anche come sacerdote.
Rientra in questo campo la questione della guerra in Libia o alla Libia (a seconda dei punti di vista). Non voglio esprimere un giudizio generale sulla guerra in sé stessa, cosa che risulterebbe piuttosto complessa. Chi vuole, può farsi un’opinione personale, a patto che non si accontenti di quanto legge sui giornali o sente alla televisione, ma andandosi a cercare informazioni e commenti su internet. Vorrei invece soffermarmi sulla posizione dell’Italia in questo conflitto.
In un primo momento sembrava che il Governo italiano non fosse molto entusiasta di lasciarsi coinvolgere in questo conflitto (e la cosa non mi dispiaceva). Si era capito che era stato costretto a mettere a disposizione le sue basi militari, ma che non era intenzionato a intervenire direttamente. In un secondo tempo, erano stati messi a disposizione anche degli aerei, ma solo per operazioni di pattugliamento. Recentemente poi era stato comunicato che sarebbero stati inviati dei consiglieri militari in aiuto ai cosiddetti “ribelli”. L’altro ieri — lunedí di Pasqua e festa della liberazione — viene annunciato che anche l’Italia parteciperà ai bombardamenti, che saranno — c’era bisogno di precisarlo? — non “bombardamenti indiscriminati, ma missioni con missili di precisione su obiettivi specifici”. Chissà se avranno ancora il coraggio di dire che l’Italia non è in guerra!
Ma, a parte il merito della questione (sul quale pure ci sarebbe molto da dire), quello che mi ha colpito in tutta la vicenda sono state le modalità con cui si è arrivati a quest’ultima decisione. C’è stata una discussione in Parlamento? No, non ce n’è bisogno: il Ministro Frattini ci assicura che «per partecipare ai bombardamenti non occorre un nuovo passaggio parlamentare, basta il voto di marzo con cui è stato dato il via libera alla missione». C’è stato un Consiglio dei ministri? No, tanto è vero che alcuni ministri si sono già dissociati dalla decisione. E allora, come si è giunti a questa decisione, che pure non mi sembra di secondaria importanza? Il giorno di Pasquetta (notate, il lunedí di Pasqua e festa della liberazione) c’è stata una telefonata: il Presidente Obama ha telefonato al Presidente Berlusconi; e questo è bastato per decidere di partecipare ai bombardamenti. Capite? Basta una telefonata! Sí, certo, poi c’è stato l’intervento di Napolitano che, non si capisce bene in base a quale prerogativa costituzionale, ha “legittimato” la decisione. Ma dove sono il Governo e il Parlamento?
La Costituzione afferma a chiare lettere che «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» (art. 11). Ma lasciamo perdere, lo sappiamo tutti che i bei principi servono solo quando fa comodo. Soffermiamoci piuttosto sulle procedure, che dovrebbero rendere legittime le decisioni (si parla tanto di legalità…). Ebbene, che cosa dice la Costituzione in proposito? «Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari» (art. 78). Già, ma forse i Padri Costituenti avevano dimenticato che, in caso di emergenza, poteva bastare una telefonata. Forse i Padri Costituenti avevano dimenticato di dire, nell’articolo 1, che l’Italia — la “Repubblica democratica, fondata sul lavoro” — non è uno Stato sovrano.
E che dire di Berlusconi? Beh, penso che, con tale atto, abbia firmato la propria condanna. Come sapete, non sono un moralista: non mi è mai interessato dei suoi comportamenti privati. Ma dei suoi comportamenti pubblici, sí. Se finora si poteva anche condividere una certa politica improntata al pragmatismo e alla difesa degli interessi nazionali, con i sui ultimi atteggiamenti ha dimostrato di essere solo un opportunista: stare sempre e solo dalla parte di chi sembra il potente di turno. Una politica di questo genere mi fa schifo. Capisco che il politico debba barcamenarsi e debba scendere anche a patti col diavolo. Ma a tutto c’è un limite: c’è una dignità — di sé stessi e, soprattutto, del Paese che si rappresenta — a cui non si può rinunciare. Andare a prostitute è un conto; prostituirsi, un altro.