Una
settimana fa, il 13 aprile, la Segreteria di Stato ha diffuso un comunicato con cui si informava che «il Santo Padre Francesco, riprendendo un
suggerimento emerso nel corso delle Congregazioni Generali precedenti il
Conclave, ha costituito un gruppo di Cardinali per consigliarLo nel governo
della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della
Costituzione Apostolica Pastor bonus sulla Curia Romana».
Il comunicato rendeva quindi noti i nomi degli otto Cardinali membri di tale
gruppo, il nome del Vescovo che svolgerà le funzioni di Segretario e la data
della prima riunione collettiva.
I
mezzi di comunicazione hanno dato notevole rilievo alla notizia: alcuni l’hanno
voluta accostare alla recente nomina di una commissione di “saggi” da parte del
Presidente Napolitano; altri hanno parlato di prima realizzazione della tanto
auspicata “collegialità” all’interno della Chiesa cattolica. Effettivamente il
comunicato della Segreteria di Stato dà adito sia all’una che all’altra
interpretazione, dal momento che in esso si indicano due diverse finalità del
gruppo: da una parte si dice che esso dovrà consigliare il Papa nel governo
della Chiesa universale, dall’altra si afferma che esso dovrà studiare
un progetto di revisione della Curia Romana.
Personalmente, ritengo che si tratti di due questioni piuttosto diverse tra loro e che,
probabilmente, sarebbe stato meglio mantenere distinte. Un conto è
riformare la Curia Romana, per la qual cosa può essere utile la costituzione di
una commissione temporanea, che svolga il suo lavoro, sottoponga i risultati
al Santo Padre e poi si sciolga, come è avvenuto in tante altre occasioni. A
tale scopo, mi sembra che potrebbero andare benissimo gli otto Cardinali che
sono stati nominati. L’unica perplessità potrebbe venire dal fatto che, fra loro,
uno solo provenga della Curia: gli altri che ne sanno? Però si potrebbe obiettare
che, in questo momento, proprio di questo c’è bisogno: di un intervento esterno
che modifichi radicalmente i meccanismi che hanno regolato finora il
funzionamento della Curia. Ma su questo punto non vorrei dilungarmi ulteriormente, sia perché io
stesso non conosco certi meccanismi, sia perché, onestamente, la cosa non mi
interessa piú di tanto.
Mentre
sono piú interessato all’altro aspetto, quello del governo della Chiesa
universale. Il comunicato della Segreteria di Stato afferma che il gruppo degli
otto Cardinali dovrà consigliare il Papa
nel governo della Chiesa universale. Che significa esattamente? Se si
trattasse, anche in questo caso, di studiare il modo di rendere piú collegiale
il governo della Chiesa, non ci sarebbe problema. Ma non sembra che sia questo
il caso: nel comunicato non si parla di studio,
come nel caso della riforma della Curia Romana; si parla espressamente di consulenza nel governo. Quindi è stato
costituito un nuovo organismo istituzionale, una specie di “Consiglio della
Corona”? Se devo essere sincero, tale decisione suscita in me qualche perplessità. Non
perché io sia contrario a priori a una simile eventualità (mi rendo
conto che diventa sempre piú urgente adottare uno stile collegiale di governo,
che a mio parere non metterebbe in alcun modo in discussione l’autorità pontificia), ma per
le modalità con cui la decisione è stata annunciata e, a quanto pare, già realizzata.
Personalmente, ritengo che si tratti di una questione estremamente seria e
delicata, che meriterebbe un supplemento di riflessione e la cui soluzione non può essere in alcun modo frutto di
improvvisazione. Ci sono molti aspetti che vanno considerati prima di procedere
alla costituzione di un nuovo organismo. Io stesso faccio fatica in questo
momento a metterli tutti a fuoco, ma cercherò di elencarne almeno alcuni.
Innanzi
tutto, a mio modesto parere, va chiarito che cosa si intende con “governo della
Chiesa universale”. Nessuno vuole mettere in discussione il primato universale
del Papa; ma, come giustamente si sta insistendo sul fatto che il Papa è, in
primo luogo, Vescovo di Roma, cosí penso sarebbe opportuno ricordare che nella
Chiesa cattolica, accanto alla Chiesa latina, esistono numerose Chiese sui
juris. Se è vero che il Romano Pontefice possiede la «potestà ordinaria
su tutte le Chiese particolari e i loro raggruppamenti» (can. 333, § 1), è
altrettanto vero che le modalità con cui governa la Chiesa latina (di cui è il Patriarca)
sono diverse da quelle con cui esercita la potestà sulle Chiese orientali, che
godono di ampia autonomia di governo. Si tratta di una realtà che non può in
alcun modo essere ignorata, soprattutto in una prospettiva ecumenica. Qualcuno,
giustamente, nei giorni scorsi ha parlato di ritorno alla “Pentarchia”. Perché
allora non pensare alla costituzione di un “Consiglio dei Patriarchi”, che
coadiuvi il Papa nel disbrigo delle questioni che riguardano tutta la
Chiesa, e non soltanto la Chiesa latina?
Mi
sembra assai importante la riscoperta della Chiesa latina come “Chiesa
patriarcale” accanto alle Chiese patriarcali orientali, perché ciò spiegherebbe
anche la pretesa della Sede Romana di intervenire in questioni che potrebbero a
prima vista apparire come di competenza delle Chiese particolari (p. es., la
nomina dei Vescovi). È per questo motivo che qualche anno fa accolsi con un
certo scetticismo la rinuncia, da parte di Benedetto XVI, al titolo di
“Patriarca dell’Occidente”).
Anzi, proprio la rivalutazione dell’indole patriarcale della Chiesa latina
giustificherebbe l’attribuzione di un carattere permanente al Sinodo dei
Vescovi, trasformandolo in un vero e proprio “Sinodo patriarcale”. Ovviamente
si dovrebbe modificare radicalmente la sua attuale fisionomia: avevo già avanzato
la proposta della costituzione di un “Sinodo dei Metropoliti”,
che sarebbe certamente molto rappresentativo, ma avrebbe l’inconveniente di
essere troppo numeroso (oltre cinquecento Arcivescovi); se si volesse un Sinodo
piú snello e, contemporaneamente, si volesse valorizzare il ruolo delle Chiese
nazionali, si potrebbe pensare a un “Sinodo dei Primati”, il che ridarebbe vitalità
a un’istituzione, quella primaziale, che purtroppo è praticamente scomparsa con la
costituzione delle Conferenze episcopali, mentre continua a svolgere un ruolo di primaria importanza in alcune comunità non-cattoliche, come
la Comunione Anglicana. Naturalmente tale “Sinodo patriarcale” — dei
Metropoliti o dei Primati che sia — dovrebbe avere delle competenze
specificamente indicate dal diritto e dovrebbe riunirsi periodicamente (secondo
me, almeno una volta all’anno e senza tutte le lungaggini dell’attuale Sinodo
dei Vescovi).
Nel
mio post del 24 novembre 2010 parlavo anche di una rivalutazione del Concistoro, che già ora costituisce un
organismo di aiuto “collegiale” dei Cardinali al Romano Pontefice (can. 353).
Una volta stabilito un “Sinodo patriarcale”, il Concistoro non finirebbe per
costituire una sorta di inutile doppione? Non credo: il Concistoro dovrebbe
essere un organo di consultazione piú frequente e immediata rispetto al Sinodo; esso
potrebbe essere convocato tutte le volte che se ne presentasse il bisogno. Se poi si volesse fare un paragone con la società civile, si potrebbe dire
approssimativamente che il Sinodo sta alla “Camera” come il Concistoro al “Senato”.
Recentemente
George Weigel ha evidenziato alcuni limiti dell’attuale composizione del Collegio cardinalizio e
ha avanzato alcune proposte di riforma in proposito. Anch’io ritengo che il
Collegio dei Cardinali necessiti di una profonda revisione, ma personalmente
seguirei una strada diversa da quella indicata da Weigel. Secondo me, l’istituto
cardinalizio si è evoluto attraverso i secoli, perdendo quasi completamente la
sua fisionomia originaria: agli inizi esso si identificava praticamente con il clero
dell’Urbe; oggi è diventato una specie di élite dell’episcopato
mondiale. Probabilmente bisognerebbe recuperare, per quanto possibile, la sua
fisionomia originaria, adattandola ovviamente alle mutate condizioni dei tempi.
Innanzi tutto, andrebbero, a mio parere, abolite tutte le sedi cardinalizie: l’unica
distinzione tra i Vescovi dovrebbe essere quella tra Vescovi e Arcivescovi-Metropoliti
(attualmente sembra che, fra gli Arcivescovi, ce ne siano alcuni piú
Arcivescovi degli altri, perché insigniti della porpora). I Cardinali non
dovrebbero piú essere sparpagliati nel mondo, ma tornare a risiedere tutti a
Roma o nelle vicinanze (i Vescovi suburbicari). A Roma essi dovrebbero essere
realmente i collaboratori del Papa nel governo della Chiesa, con una
rappresentatività ovviamente internazionale. Se si volesse ulteriormente insistere
sull’internazionalità del Collegio cardinalizio, oltre ai responsabili dei dicasteri
della Curia Romana, si potrebbero nominare Cardinali (Cardinali-preti, senza
alcun bisogno dell’ordinazione episcopale, come era alle origini) i Rettori
delle “chiese nazionali” presenti a Roma, che diventerebbero in qualche modo i
rappresentanti ufficiali della loro Chiesa locale presso la Sede apostolica. In
tal modo tutti i Cardinali risiederebbero a Roma, potrebbero facilmente
riunirsi in Concistoro e cosí consigliare il Papa tutte le volte che ce ne
fosse bisogno.
Per
quanto riguarda il governo vero e proprio della Chiesa (a questo punto, della
Chiesa latina, se si vuole lasciare la giusta autonomia alle altre Chiese sui
juris), si dovrebbe, a mio avviso, istituzionalizzare e rendere piú
regolare quanto già avviene in alcune circostanze: la riunione dei capi-dicastero
della Curia Romana (i Prefetti delle Congregazioni), che diventerebbe cosí una
sorta di “Consiglio dei ministri” del Papa, da riunire almeno una volta alla
settimana per affrontare collegialmente tutte le questioni di maggior rilievo.
All’interno di tale Consiglio un ruolo speciale, da ridefinire con precisione,
dovrebbe essere svolto dal “Primo Ministro”, vale a dire dal Segretario di
Stato, che, a mio parere, dovrebbe abbandonare tale titolo (attualmente privo
di senso) e riassumere quello tradizionale di “Cancelliere Apostolico”.
A
questo punto, con una riorganizzazione radicale del governo centrale della
Chiesa (Consiglio dei Patriarchi, Consiglio dei capi-dicastero, Concistoro,
Sinodo dei Metropoliti o Primati), che bisogno c’è di un ulteriore “Consiglio
della Corona”, composto di alcuni Cardinali, che — con tutto il rispetto per gli
interessati — pur provenendo dai diversi continenti, godono di poca o punta
rappresentatività?
Le
riforme vanno fatte, ma dobbiamo stare attenti a non creare enti inutili (entia non sunt multiplicanda præter
necessitatem). Spesso, nell’intento encomiabile di semplificare la
burocrazia, rischiamo di complicarla ulteriormente, aggiungendo burocrazia a
burocrazia (si pensi a tutti gli “organismi di partecipazione” a livello
diocesano e parrocchiale, istituiti dopo il Concilio). Onde evitare tale
rischio, ritengo che, tra i criteri generali da seguire in queste riforme, ne
vadano considerati innanzi tutto due: la valorizzazione e l’eventuale revisione
degli organismi già esistenti e il recupero di istituzioni tradizionali che col
tempo sono cadute in disuso. Non dimentichiamo mai che, in una prospettiva
ecumenica, il riferimento alla tradizione può rivelarsi piú utile di quanto non sembri.