Ieri mi sono imbattuto in
questo articolo, che ho trovato estremamente interessante. È stato scritto dal
Padre Peter M. J. Stravinskas,
fondatore e superiore della Società sacerdotale del Beato John Henry Newman,
fondatore e presidente della “St. Gregory Foundation for Latin Liturgy”,
fondatore e direttore della rivista The Catholic
Response. Mi sembra un articolo pieno di buon senso e immune da ogni
sorta di prevenzioni ideologiche. Ritengo che le considerazioni in esso
contenute dimostrino, se ce ne fosse bisogno, che:
a) se è vero che il Novus
Ordo (la “forma ordinaria” del rito romano) può avere dei limiti, certamente
anche il Vetus Ordo (la “forma straordinaria”) non ne è esente;
b) che il Vaticano II vide
giusto quando individuò tali limiti e ne indicò la soluzione;
c) che i Padri conciliari non
avevano intenzione di creare un nuovo rito della Messa, né da sostituire all’antico
né da giustapporre ad esso, ma solo di restaurare l’antico rito (e forse
bisogna ammettere che la successiva riforma andò, in qualche misura, oltre le
indicazioni dei Padri);
d) che la Sacrosanctum
Concilium dovrebbe essere il punto di riferimento per la ricostituzione di
un unico rito romano (obiettivo a cui dovrebbe tendere la cosiddetta “riforma
della riforma”).
Alcuni dei punti qui trattati (specialmente le questioni del lezionario e del calendario),
li avevo già presi in considerazione in un post del 6 marzo 2009.
Ovviamente qui ci troviamo di fronte a uno studio molto piú ampio e completo,
fatto da uno che conosce bene, per esperienza diretta, la forma straordinaria. Su altri
punti ritengo che si possa tranquillamente discutere (p. es., alcuni aspetti
della forma ordinaria, come la preghiera dei fedeli, prima di essere fatti
propri dalla forma straordinaria, andrebbero radicalmente ripensati nella
stessa forma ordinaria). In ogni caso, si tratta di un testo utile dal mio
punto di vista per avviare una approfondita riflessione in materia.
Per tutti questi motivi, ho
pensato che l’articolo meritasse una grande diffusione e perciò ne metto a
disposizione dei lettori la traduzione italiana.
Q
COME LA FORMA ORDINARIA DELLA MESSA PUÒ “ARRICCHIRE” LA FORMA STRAORDINARIA
Padre Peter M. J. Stravinskas, The Catholic
World Report, 31 gennaio 2017
Nel 2007, Papa Benedetto XVI
emanò il motu proprio Summorum Pontificum (SP), col quale egli
ampliò il precedente indulto di Papa Giovanni Paolo II riguardante la
celebrazione della Santa Messa secondo il Missale Romanum del 1962. Nella
lettera accompagnatoria del Papa ai vescovi della Chiesa cattolica, egli
espresse la convinzione che la disponibilità dell’antico rito (da chiamare ora la “forma straordinaria”) avrebbe permesso che la forma straordinaria e la
forma “ordinaria” della Messa si “arricchissero a vicenda”. Sembrerebbe che il
Pontefice avesse in mente un processo organico, dal quale sarebbe scaturita una
“nuova e migliorata” forma della Messa romana. Molti sacerdoti e liturgisti
hanno individuato vari elementi della forma straordinaria (FS) che sarebbero
utili per sostenere la “sacralità” della forma ordinaria (FO). Quando però si passa
a parlare di come la FO potrebbe influire positivamente sulla FS, non è raro constatare
che si sollevino seri dubbi sul fatto che ciò possa avvenire. Questa reazione mi fa
ricordare la famosa domanda retorica (e probabilmente sarcastica) di
Tertulliano, quando fu sollecitato a considerare l’utilità della filosofia per
la teologia: «Che cosa ha a che fare Atene con Gerusalemme?».
Dalla promulgazione di SP, quando
celebro secondo la FS, mi vengono alcune idee a proposito di eventuali adattamenti. Immagino che molte di queste mie idee fossero presenti anche
nella mente dei Padri del Vaticano II, il cui primo documento fu la Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium (SC). Quel
documento forní il quadro teologico per il rinnovamento liturgico, scaturito
dal movimento liturgico che per quasi un secolo portò al Vaticano II. Oltre alla base teologica, i vescovi individuarono anche gli ambiti dove
c’era bisogno di modifiche e sviluppi. Bisogna notare che SC ottenne
un’approvazione pressoché unanime (inclusa quella dell’Arcivescovo Marcel
Lefebvre). Certo, molto di ciò che venne fuori nel 1970 (e oltre) non era stato
affatto previsto dai Padri conciliari.
Ciò detto, come potrebbe la FS
trarre giovamento da alcuni degli aspetti piú felici della FO?
Adozione del nuovo lezionario
Molte persone non si rendono
conto che prima del Vaticano II, non solo c’era un unico ciclo annuale di
letture domenicali, ma non esistevaa proprio un lezionario per i giorni feriali! Di
conseguenza, [nei giorni feriali] o si ripetevano le letture domenicali o si
usavano quelle tratte dai “comuni” dei santi. Per cui SC chiese chiaramente un
ampliamento del lezionario, nella prospettiva di fornire al Popolo di Dio una
maggiore abbondanza della Parola di Dio.
La proclamazione della maggior
parte del Nuovo Testamento e di vaste sezioni dell’Antico Testamento nell’attuale
lezionario è uno dei risultati piú positivi della riforma liturgica
postconciliare, tant’è vero che buona parte delle principali denominazioni
protestanti hanno adottato il nostro lezionario.
Inserimento di nuovi formulari
della Messa
Il Messale del 1970 (e successive
edizioni) contiene un’abbondante raccolta di testi eucologici, scelti dal vasto
repertorio liturgico della Chiesa. Molte orazioni possono vantare un’origine risalente
al quarto secolo. Papa Benedetto in SP suggeriva in effetti la possibilità di
integrare tali preghiere nel Messale del 1962, evidenziando in particolare il
vasto assortimento di prefazi contenuto nel Messale FO (in contrasto con il
numero assai limitato nel Messale FS).
Ampliare le possibilità per una
celebrazione solenne
La FS ha alcune categorie
chiaramente definite per la celebrazione della Messa: Messa bassa, Messa
cantata, Messa solenne. La forma tipica è la Messa solenne, nella quale si
dispiega l’intera gamma dei ministeri, insieme con l’incenso e il canto. La
Messa bassa (che purtroppo negli Stati Uniti era l’esperienza
liturgica piú familiare e comune) non aveva nessuno di questi componenti. La
Messa cantata è un tentativo di avere almeno un po’ di solennità, anche senza
tutti i ministri previsti.
La FO non ha categorie cosí
rigide, permettendo in tal modo di adottare [di volta in volta] la maggior
solennità possibile. E cosí, anche in una Messa quotidiana con il solo
sacerdote celebrante, si può cantare una o tutte le preghiere e usare
l’incenso. Purtroppo, tale possibilità non viene sfruttata molto frequentemente,
neppure la domenica. Tuttavia, sarebbe un buon elemento da aggiungere al menú
liturgico della FS.
Eliminazione dei testi
recitati simultaneamente al canto
Nelle Messe cantate della FS, il
celebrante è tenuto a recitare sotto voce i testi che sono cantati dal coro e/o
dall’assemblea (p. es., Gloria, Credo, Sanctus). Nella celebrazione
della Santa Messa, il sacerdote assume funzioni diverse: talvolta prega come
uno dei fedeli; altre volte, prega in persona Christi Capitis (“nella
persona di Cristo Capo”). Quando opera nel primo modo, non c’è alcuna ragione
teologica perché non debba pregare il testo insieme con l’intera assemblea.
Coloro che partecipano alla FS conoscono bene la stravaganza dell’attuale prassi
liturgica, specialmente quando un testo richiede un gesto da parte del
sacerdote (p. es. il segno della croce per terminare il Gloria o la
genuflessione durante il Credo) non in sincronia con ciò che si sta
cantando, dal momento che la schola/assemblea non ci è ancora arrivata.
Ripristino della processione
offertoriale e della preghiera dei fedeli
Entrambi questi riti furono
specificamente individuati da SC come elementi da essere ripristinati. L’enfasi
qui è su “ripristinati”; a differenza di alcuni altri riti introdotti nella
liturgia postconciliare, questi due possono vantare una venerabile tradizione. La “preghiera universale” del Venerdí santo è una testimonianza dell’antichità della
preghiera dei fedeli. Il martire Giustino è un testimone ancora piú antico
della processione offertoriale.
Rivedere il rito di congedo
Il rito di congedo della FS segue
un ordine innaturale, in quanto il sacerdote congeda prima l’assemblea e poi dà
la benedizione, seguita dall’ultimo vangelo. La FO ha una conclusione piú
logica, in essa l’Ite, missa est è veramente l’ultima parola. Forse
l’ultimo vangelo potrebbe essere conservato come un testo opzionale, dato il
suo valore storico.
Spostamento della fractio
Nella FO, la “frazione del pane”
avviene durante l’Agnus Dei, che è, per eccellenza, l’inno all’“Agnello
immolato”. L’azione e il testo per questo rito nella FS invece non
corrispondono l’uno all’altro.
Chiarire che l’omelia fa
veramente parte della sacra liturgia
Togliere il manipolo e mettersi
la berretta durante l’omelia (insieme con il segno di croce iniziale e finale) significa
che l’omelia non fa parte della Messa; anzi, che ne è una “interruzione”. Al
contrario, l’omelia è una parte essenziale della sacra liturgia. Inoltre, se cosí
non fosse, allora ogni cristiano battezzato dovrebbe aver la possibilità di
pronunciarla.
Mantenere l’integrità del Sanctus
Quando si cantano le Messe
polifoniche, non è raro che il Benedictus sia separato dal resto del Sanctus,
e sia cantato dopo la consacrazione. Si tratta, ovviamente, di una soluzione al
problema creato da una esecuzione musicale che finisce per mettere in ombra la liturgia,
al punto che non può essere eseguita senza creare un indebito ritardo nella
celebrazione. Se una composizione musicale ha questo effetto, certamente essa ricade
sotto la condanna del [motu proprio] Tra le sollecitudini di Papa Pio X.
Oltre a ciò, se essa viene usata come un riempitivo del silenzio dopo la
consacrazione, va contro tutta la logica di un canone recitato in silenzio, teso
a evocare un piú profondo senso del mistero.
Adottare le rubriche della FO
per il rito di comunione
Se il Pater noster è la
preghiera della famiglia ecclesiale al suo Padre celeste, perché l’intera
assemblea non dovrebbe pregarlo insieme? Naturalmente le norme di Papa Benedetto
in SP già lo permettono; tuttavia, mi è capitato raramente di veder sfruttare questa
possibilità. Avrebbe senso che anche le altre preghiere del rito della
comunione venissero recitate ad alta voce o cantate (come nella FO), con le
preghiere private di preparazione del sacerdote recitate sottovoce (di nuovo,
come nella FO).
Volgersi ai fedeli quando ci
si rivolge ai fedeli;
volgersi a Dio quando ci si rivolge a Dio
Abbiamo usato questa formula per
giustificare la celebrazione della Messa ad orientem nella FO, cioè
volgersi all’oriente liturgico dalla liturgia eucaristica in poi. È vero anche
il contrario: quando si proclamano le letture bibliche, [bisognerebbe] volgersi
a coloro ai quali quei testi sono rivolti. Qualunque sia l’origine storica del
volgersi a oriente per l’epistola e a nord per il vangelo nella Messa solenne, si
tratta di gesti non proprio comunicativi del significato del rito che si sta
celebrando.
Unire i calendari della FO e
della FS
Per la FS, il non poter
commemorare i santi canonizzati dal 1962 costituisce un impoverimento (si
tratta di uno dei punti sollevati anche da Papa Benedetto in SP). Alcuni
cambiamenti nel calendario sono pienamente condivisibili (p. es., la solennità
di Cristo Re all’ultima domenica dell’anno liturgico), mentre altri hanno
rappresentato la distruzione di antiche tradizioni (p. es., l’Epifania o l’Ascensione).
A prescindere da ciò che si pensa dell’uno o l’altro calendario (e nessun
calendario sarà mai perfetto), operare con un sistema a doppio regime denota divisione, una vera e propria antitesi a ciò che la buona liturgia
dovrebbe essere.
Modificare le rubriche
SC chiede la modifica di segni e
simboli che sono doppioni o arcani. Si pensi ai molteplici segni di croce
durante il canone. Se è vero che la FO difetta per un certo lassismo, la FS può
pendere verso un’inopportuna rigidità o rubricismo. In medio stat virtus! (“La
virtú sta nel mezzo”).
Rinominare le due principali
parti della Messa
Continuare a chiamare la prima
parte della Messa “Messa dei catecumeni” è una forma di quell’archeologismo
liturgico stigmatizzato da Papa Pio XII nell’enciclica Mediator Dei. Non
congediamo catecumeni (o penitenti) da secoli (eccetto in ridicole parrocchie
dove i cristiani battezzati che si preparano a essere ricevuti nella piena
comunione sono “congedati”). La nomenclatura postconcilare è piú accurata:
“liturgia della parola”/“liturgia eucaristica”.
Queste sono le mie
raccomandazioni per il “mutuo arricchimento” come doni della forma ordinaria
alla forma straordinaria. Spero che questo aiuti a rispondere alla versione
liturgica contemporanea della domanda di Tertulliano.
Fonte: The Catholic World Report,
31 gennaio 2017