Beh, bisogna riconoscere che l’attuale situazione della Chiesa, tanto critica da apparire terminale, qualche risvolto positivo pure ce l’ha, come per esempio quello di far ritrovare su un terreno comune, che potremmo definire “mediano”, persone intellettualmente oneste, provenienti da sponde opposte, fino a qualche tempo fa su posizioni che sembravano fra loro inconciliabili. Sto parlando di Aldo Maria Valli, di estrazione “progressista” (un tempo convinto sostenitore del Card. Martini), e Alessandro Gnocchi, da sempre su posizioni “tradizionaliste”. Ebbene questi due giornalisti si sono ritrovati ieri per un colloquio estremamente interessante, che vale la pena di leggere (qui). Avverto i lettori che, per comprendere i contenuti del colloquio, è assolutamente necessario leggere prima l’articolo di Gnocchi su Riscossa Cristiana (qui).
Premetto che io, di quel che racconta Gnocchi, non sapevo finora assolutamente nulla; non avevo neppure mai sentito parlare di Emanuele Brunatto. Eppure, quella che lo stesso Gnocchi chiama una “bomba” non mi meraviglia affatto; per me si tratta solo della conferma di ciò che ho sempre pensato: che la corruzione nella Chiesa non sia una novità del nostro tempo, ma sia sempre esistita. Ora, a quanto pare, anche Gnocchi sta giungendo, o è già giunto, alla medesima conclusione. Ci sono, nel colloquio con Valli, alcune affermazioni di Gnocchi, che mi fa piacere sentire:
Non sopporto piú tutta quella pletora di “tradizionalisti” secondo cui il mondo è stato perfetto fino alla mezzanotte del 10 ottobre 1962 e poi sarebbe arrivato il Vaticano II a distruggere tutto.
Penso anche che tutto quanto ho raccontato dovrebbe far riflettere chi è convinto che, per ritrovare la purezza, basti solo fare un passo indietro sul calendario … Secondo molti, la Tradizione, naturalmente con la “T” maiuscola, si trova andando indietro con la macchina del tempo. Io penso che, invece, si debba risalire alla sorgente e seguirla là dove si manifesta sempre uguale a se stessa e sempre vivificante.
Molto interessante anche la sua retractatio a proposito dell’equazione “buona dottrina = buona Chiesa”:
Questo, per me, è il punto piú doloroso, perché anch’io ero caduto nella trappola dell’equazione “buona dottrina uguale buona Chiesa”. I fatti ci dimostrano che non è cosí. Tra i vizi della Chiesa cattolica c’è quello del formalismo legato a un eccesso di mentalità giuridica. Basta enunciare correttamente la lettera per salvare qualsiasi pratica. In questo modo siamo arrivati, e non da un secolo, a una Chiesa fondata sul diritto canonico invece che sul Vangelo.
Quando non si ha la santità come primo obiettivo, si finisce per corrompere tutto ciò che viene dopo, proprio tutto. La buona dottrina viene proclamata solo per fare la guerra ai propri avversari. Ma quando la dottrina viene usata come arma, finisce sempre per essere adattata alla guerra e, quindi, è alterata. Si comincia con il considerarla sotto un aspetto nuovo, strumentale, e si finisce per trovarsene tra le mani una nuova, magari piú efficace, ma nuova. Senza contare che, se la si usa per fare la guerra e la guerra viene persa, la dottrina soccomberà insieme con gli sconfitti.
Anche se potrebbero apparire, come lo stesso Gnocchi riconosce, affermazioni “eversive e antistituzionali”, si tratta di considerazioni su cui è giusto riflettere: è profondamente vero che, se la retta dottrina viene brandita come un’arma per combattere i nemici, essa viene sostanzialmente adulterata. Anche se, a mio parere, questo fatto, pur vero, non giustifica la manipolazione della dottrina attualmente in corso. Personalmente ritengo che la difesa della dottrina vada fatta in ogni caso, anche quando si è consapevoli della corruzione presente nella Chiesa (e forse anche della propria personale corruzione); se, per iniziare a difendere la dottrina, si dovesse attendere una Chiesa totalmente pura e senza macchia, mi sa tanto che alla parusia staremmo ancora qui ad aspettare. Dobbiamo sempre distinguere tra la Sposa di Cristo, immacolata, e l’istituzione ecclesiastica, spesso corrotta; dobbiamo distinguere tra la condotta, spesso non irreprensibile, delle persone e l’ufficio che esse svolgono. Per questo non mi convince del tutto la frase di Gnocchi: «La buona dottrina maneggiata da una persona corrotta vale quanto la cattiva dottrina maneggiata da una persona integra». Diciamo piuttosto che la buona dottrina è una condizione necessaria, ma non sufficiente, mancando la santità.
Cosí come non mi convince molto il rifiuto radicale, oggi abbastanza diffuso, per il “rispetto formale dell’istituzione”, da Gnocchi considerato «un vizio tipicamente romano, che molti scambiano per virtú». La Chiesa, oltre che come realtà spirituale, va, secondo me, rispettata anche come istituzione umana, pur con tutti i suoi limiti e difetti. Il fatto che in essa operino persone corrotte, non giustifica l’attacco all’istituzione in quanto tale. Non dimentichiamo che quell’istituzione è il “sacramento universale della salvezza”, vale a dire lo strumento ordinario attraverso il quale gli uomini ricevono la grazia che li salva. Andiamoci piano, quindi, prima di attaccarla. Oltre tutto, in essa sono sempre stati presenti fior di galantuomini (nella fattispecie, i Cardinali Gasparri e Merry del Val) e di santi (Don Orione). È vero che questi rischiano di diventare «per quanto sani, ingranaggi di un meccanismo vizioso in grado di macinare tutto», ma ciò non toglie nulla al valore della loro testimonianza (mi sembra significativo che, dell’epoca rievocata da Gnocchi, questi siano fra i pochi nomi che oggi si ricordano; chi ricorda Ricardo de Samper o Camillo Caccia Dominioni?).
Pienamente d’accordo con Gnocchi sulla tesi di fondo del suo intervento:
La rovina, in realtà, nasce ogni volta che la santità non viene messa al primo posto. E questo vale per ogni tempo.
Io ritengo che, per quanto riguarda la Chiesa cattolica, il problema non sia nella rinuncia all’esercizio dell’autorità, ma nella rinuncia alla santità da parte dell’autorità.
Solo la santità è eversiva rispetto a questo ordine infernale nel quale siamo immersi.
Non si tratta di una novità. In tutti i tempi, la santità è stata l’unico rimedio alla corruzione presente nella Chiesa. Pensiamo al Cinquecento: il problema della Chiesa non fu solo la Riforma protestante, ma anche la corruzione diffusa nel clero. Certamente il Concilio di Trento fece molto per risanare la Chiesa del tempo; ma molto di piú fecero gli innumerevoli Santi fioriti in quell’epoca. Ai nostri giorni succederà lo stesso. Noi oggi facciamo fatica a vedere i Santi attorno a noi; la nostra attenzione è attirata esclusivamente dagli scandali; ma i Santi ci sono, magari nascosti o perseguitati. Padre Pio non è certamente l’unico Santo dei tempi moderni.
Lo stesso Concilio Vaticano II, tanto criticato dai tradizionalisti, perché avrebbe spianato la strada alla corruzione nella Chiesa, andrebbe probabilmente ripensato come un tentativo — riuscito o no, è un’altra questione — per porre rimedio alla corruzione già esistente nella Chiesa. Spesso si dimentica che proprio dal Vaticano II è venuto un forte richiamo alla santità (il capitolo 5 della Costituzione dogmatica Lumen gentium: “Universale vocazione alla santità nella Chiesa”).
D’accordo con Gnocchi che «in questa Chiesa, ormai, non c’è piú niente da spaccare, c’è solo da ricostruire», e d’accordo con lui che «la mia santità personale è l’unico lenimento che posso portare al suo corpo piagato». Ma a questo io aggiungerei una convinzione che dovrebbe sempre animarci: che certe crisi, alla Chiesa, non possono fare altro che bene. Se crediamo nella provvidenza, non possiamo che concludere che Dio permette che tanta immoralità venga a galla proprio perché vuole che la Chiesa ne esca risanata. La vergogna che sta sconvolgendo la Chiesa e potrebbe sembrare che la porterà, prima o poi, alla sua fine, in realtà sarà ciò che la purificherà dai suoi mali. Non dimentichiamo mai l’affermazione di Sant’Ambrogio: «Abluitur undis, non quatitur» (Lettera 2); le onde della tempesta, nonché scuotere la barca, finiscono per lavarla dalla sua sporcizia.
Q