Confesso che ero un tantino preoccupato per la pubblicazione delle nuove Norme sui delitti piú gravi. Perché preoccupato? Certo non perché si profilava un inasprimento delle pene (inasprimento doveroso nel caso di certi crimini), ma perché avevo avuto l’impressione che la Chiesa negli ultimi mesi si lasciasse condizionare un po’ troppo dalla campagna mediatica antipedofilia e che, volendo ottenere seppur inconsciamente il consenso del mondo, abbandonasse la sua tradizionale gravità e prudenza. Chi può negare che buona parte dei recenti interventi di ecclesiastici, ai vari livelli, fossero improntati alla piú rigorosa political correctness (salvo poi accorgersi che, essendo quella campagna puramente strumentale, le dichiarazioni degli ecclesiastici erano sempre insufficienti agli occhi della “santa inquisizione” mediatica)? La preoccupazione consisteva nel fatto che ci si lasciasse influenzare piú del necessario dalle esigenze del momento, senza tener conto delle conseguenze devastanti che potrebbe aver avuto nella Chiesa l’introduzione di norme non sufficientemente ponderate.
Devo dire invece che le mie preoccupazioni sono state completamente spazzate via da queste nuove norme, che non hanno alcunché di rivoluzionario, ma si inseriscono perfettamente nella tradizione disciplinare della Chiesa. Anzi, mi sembra che le nuove norme confermino la tendenza, che già si intravedeva, di un ritorno della Congregazione per la dottrina della fede a essere il dicastero principale della Curia romana e il recupero della sua originaria natura di “tribunale supremo” (Sacra Congregazione della Romana e Universale Inquisizione).
Entrando nel merito delle nuove norme, devo premettere che non sono un canonista e quindi il mio giudizio è quello di un semplice fedele, che si lascia condurre dal buon senso piú che dalla competenza e dall’esperienza in materia. In ogni caso, la prima cosa che mi rallegra è che le norme antipedofilia sono inserite nel contesto delle Normae de gravioribus delictis riservati alla CDF. Tali delitti sono quelli contro la fede, contro i costumi e nella celebrazione dei sacramenti. Già questo è significativo, perché mette chiaramente in luce l’approccio che dobbiamo avere verso certe questioni. Il problema degli abusi, per quanto grave, non può essere isolato e assolutizzato; ci sono altre questioni, agli occhi del mondo insignificanti, che per un cattolico sono invece della massima gravità, come la profanazione dell’Eucaristia o la violazione del sigillo sacramentale.
A questo proposito, mi paiono del tutto fuori luogo le considerazioni di Damian Thompson, che definisce un “autogol” aver incluso nello stesso documento gli abusi contro i minori e l’ordinazione di una donna. Thomson è preoccupato che tale equiparazione possa scatenare le penne anticattoliche. Ah sí? Ecchissene… Dicano pure. Semmai, mi preoccupa il fatto che qualcuno, da parte vaticana, abbia sentito il bisogno di precisare che «le due cose non sono ugualmente gravi»…
Per quanto riguarda le singole novità, mi stanno tutte bene. Anche che la prescrizione sia stata aumentata a venti anni. Un solo particolare mi lascia perplesso: perché, all’art. 7 § 1, si è sentito il bisogno di precisare che la CDF può derogare alla prescrizione per i singoli casi? Non mi sembra che tale precisazione vada nella linea di quella “certezza del diritto” conclamata dal Padre Lombardi nella sua nota di presentazione alle nuove norme.
Cosí pure mi permetto di avanzare qualche dubbio sull’opportunità di procedere per via extragiudiziale. Non mi sembra molto corretto che, in questioni cosí delicate, si possa procedere tanto sbrigativamente con un decreto. D’accordo che c’è bisogno di celerità, ma a me pare che un regolare processo sia un diritto dell’accusato.
Vedo invece con piacere che è stato confermato, per queste cause, il segreto pontificio, in barba a tutti gli slogan sulla “trasparenza”. Anche la riservatezza è un diritto di tutte le parti coinvolte.
Allo stesso modo, mi fa immenso piacere che non si faccia alcun cenno a una eventuale denuncia alle autorità civili, quasi che la giustizia civile costituisca l’unica giustizia degna di questo nome, il “tribunale supremo” anche per le cause ecclesiastiche. Nessuno si è accorto che si stava praticamente invocando un ritorno alla tanto vituperata consegna al “braccio secolare”. Bene ha fatto in questo caso Padre Lombardi a precisare che l’ordinamento penale canonico è in sé completo e pienamente distinto da quello degli Stati.
Oggi, sul Corriere della sera, Marco Ventura paragona tale ordinamento a un “archibugio impolverato”. Secondo lui, «il diritto canonico non è il diritto tedesco o canadese. È un altro pianeta, non conosce separazione dei poteri, principio di legalità, pubblicità degli atti, diritto di difesa. Teme lo scandalo. Considera l’abuso sessuale di un ecclesiastico su un minore “delitto contro i costumi”». Sarà. Ma noi ci teniamo il nostro vecchio archibugio impolverato (o meglio, «spolverato e ingrassato»). Ventura si tenga pure il suo diritto civile tanto efficace a reprimere gli abusi, specialmente quando si tratta di registi, rock star, primi ministri e capi di stato…