Se devo essere sincero, questa interminabile telenovela del “caso Boffo” incomincia a venirmi a noia. Ora siamo tutti in spasmodica attesa di scoprire chi sia la “personalità della Chiesa della quale ci si deve fidare istituzionalmente”, che avrebbe recapitato a Feltri i documenti riguardanti il Direttore di Avvenire. I sospetti si sono appuntati sul Direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, il quale avrebbe agito per mandato del Segretario di Stato Card. Tarcisio Bertone. Non essendoci alcuna presa di posizione ufficiale da parte della Santa Sede, i giornalisti hanno avuto buon gioco a tirar fuori tutti i “veleni”, le lotte di potere, le manovre politiche interne alla Curia Romana e gli scontri tra Vaticano e Conferenza episcopale italiana. Uno scenario — diciamo la verità — piuttosto squallido.
A nessuno è venuto in mente che il Direttore del Giornale potrebbe stare sghignazzando alle spalle della Chiesa. Prima ha preso un granchio madornale: già, ma ci si doveva fidare “istituzionalmente” della fonte! Eh no, un giornalista serio dovrebbe sempre verificare le proprie fonti prima di pubblicare una notizia. Poi riconosce l’errore, e pensa di cavarsela con un trafiletto, concedendo magnanimamente l’onore delle armi alla sua vittima. Eh no, dopo il cancan scatenato, il minimo che ci si sarebbe aspettati erano le dimissioni. Adesso cerca di scrollarsi di dosso qualsiasi responsabilità, facendo credere che si tratta solo di una faida intraecclesiale: «Io che c’entro con le vostre lotte intestine? Sono fatti vostri».
E noi che gli andiamo dietro pensando che il Segretario di Stato abbia bisogno di passare sottobanco al Dott. Feltri certe carte per rimuovere Boffo dalla direzione di Avvenire! Ma la “personalità della Chiesa della quale ci si deve fidare istituzionalmente” non potrebbe essere, molto più semplicemente, un modestissimo impiegatuccio di una qualsiasi delle curie delle oltre duecento diocesi italiane, visto che quei documenti giacevano da tempo sui tavoli di tutte le cancellerie vescovili?
Penso che, come Chiesa, dovremmo mostrare un po’ piú di carattere e reagire a questo assedio. Non perché nella Chiesa non ci siano miserie; ma semplicemente perché non possiamo ridurre la Chiesa a una “parrocchietta”. Da che mondo è mondo, in tutte le parrocchie e in tutte le curie ci sono state (e sempre ci saranno) piccinerie, invidie, competizioni, sgambetti, e chi piú ne ha piú ne metta. E con ciò? Forse che nelle burocrazie laiche certe cose non accadono? Eppure non sembrano degne della prima pagina dei giornali, dove invece si parla delle grandi dispute politiche. Non si capisce perché, quando si parla di Chiesa, si debba sempre e solo parlare dei suoi aspetti piú deteriori. Non che questi non esistano, ma a casa mia il parlare di certi argomenti ha un nome ben preciso: “pettegolezzo”. Non che mi scandalizzi del pettegolezzo: anche qui, da che mondo è mondo, esso è sempre esistito e sempre esisterà. Ciò che mi dà noia è che esso assurga a livello di “giornalismo” e venga con ciò legittimato e nobilitato.
Non sarà che anche in questo caso ci sia dietro una manovra pianificata per mettere in difficoltà la Chiesa? Visto che non si riesce a confutarla sul piano dei principi, beh, screditiamola mettendo in piazza le sue miserie. Non si rischia nulla, perché, tanto, di meschinità se ne troveranno sempre, e loro stessi — i “preti” — avendo la coda di paglia, non sapranno come reagire. E invece sarebbe proprio il caso di reagire. Solo due osservazioni.
1. La sapienza popolare insegna che i panni sporchi si lavano in casa. Trasparenza non significa che tutto debba essere messo in piazza. Non solo le persone, ma anche le istituzioni hanno diritto a una loro privacy (lo Stato non ha forse i suoi “segreti”?).
2. La consapevolezza della nostra indegnità e delle nostre miserie non può paralizzarci e impedirci di svolgere la missione che ci è stata affidata. Se aspettiamo di diventare santi, per iniziare a evangelizzare, il Vangelo rischia di rimanere sigillato per qualche millennio. Il tesoro che ci è stato affidato non ci appartiene e non abbiamo alcun diritto di sotterrarlo. Il suo valore e la sua efficacia non dipendono da noi. Anzi, la nostra inadeguatezza non fa che mettere in risalto la grandezza del dono di cui siamo portatori: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12:9).