Il Signor Benedetto Serra mi ha segnalato un articolo apparso sul numero 2/11 de La Nuova Europa, la rivista del Centro Russia Cristiana. L’articolo, intitolato “L’evoluzione liturgica al cambio di millennio”, è stato scritto da Antonij Lakirev, parroco ortodosso a Mosca. In esso si parla della questione, a lungo dibattuta, se fosse opportuno procedere a una riforma liturgica anche all’interno della Chiesa Ortodossa Russa. La tesi dell’autore è:
«La riforma liturgica, della cui necessità hanno parlato tutti tante volte, si è già realizzata da tempo de facto. È stata la grande misericordia di Dio nei nostri confronti, perché se un cambiamento qualsiasi fosse avvenuto in seguito agli sforzi intenzionali dell’autorità, sicuramente ci sarebbero state conseguenze dolorose, sicuramente avremmo avuto scismi, odi reciprochi, accuse, eccetera. Invece la nostra vita liturgica oggi è radicalmente cambiata, rispetto a quella di venti trent’anni fa, senza troppi sconquassi».
Chiosa il Signor Serra: «Sono quasi convinto che se Paolo VI non avesse fatto la riforma, questa si sarebbe fatta da sola, e ci saremmo risparmiati i Lefebvriani».
Personalmente penso che l’articolo del P. Lakirev vada letto, innanzi tutto perché riflette il diverso atteggiamento che caratterizza le Chiese orientali e la Chiesa latina. Non so se avete notato che fra gli ortodossi è presente un atteggiamento che potremmo definire “passivo”: si lascia che trascorra il tempo, e nel frattempo i problemi si risolvono da soli. Un atteggiamento che ha sempre contraddistinto l’Oriente cristiano. Noi occidentali istintivamente rifiutiamo un atteggiamento del genere. Certamente, all’origine di tale diversità c’è una differenza di carattere; ma va anche riconosciuto il fondamento teologico di tale “passività”, vale a dire la consapevolezza della dipendenza dall’azione di Dio: «È stata la grande misericordia di Dio nei nostri confronti…». Noi, al contrario, siamo tentati di pensare che tutto dipenda dalla nostra iniziativa.
Come si può vedere, la testimonianza di P. Lakirev ci stimola a recuperare un aspetto importante del cristianesimo. Ovviamente, ciascuno conserverà il proprio carattere; non possiamo pretendere che anche gli occidentali abbraccino la “passività” orientale (anche perché non sarebbe giusto); però è quanto mai opportuno ridimensionare il nostro “attivismo”, rendendoci conto che chi conduce la Chiesa non siamo noi, ma Dio.
Per venire alla questione della riforma liturgica, io stesso una volta avevo espresso l’opinione che, al momento del Concilio, era già in corso una riforma liturgica. Forse — e sottolineo il “forse” — si sarebbe potuto proseguire su quella strada (fondamentalmente condivisa da tutti), senza mettere in moto la grande macchina della “Riforma liturgica” postconciliare. E forse — come riassume in maniera un po’ brutale il Signor Serra — «ci saremmo risparmiati i Lefebvriani».
Non so però se tale ipotesi sia del tutto valida. Non solo perché la storia non si fa con i “se”, ma per vari altri motivi. Innanzi tutto perché quella riforma, iniziata prima del Concilio, aveva le sue pecche. Come in altri casi, il Concilio ha rappresentato un “riequilibrio” di tendenze piuttosto discutibili apparse durante il pontificato di Pio XII. Tanto per fare un esempio (ma non è l’unico), mi sono già occupato della nuova traduzione del Salterio, che rompeva completamente con la tradizione latina (qui).
In secondo luogo, su un piano teologico, per quanto sia giusto sottolineare che è Dio a guidare la Chiesa, ciò non significa che l’autorità in essa legittimamente costituita debba astenersi da qualsiasi intervento. Altrimenti, che ci stanno a fare il Papa e i Vescovi? Sono o non sono i Vicari di Cristo, i pastori a cui il Signore ha dato l’incarico di pascere il suo gregge?
Infine, su un piano piú pratico, la Chiesa cattolica non può essere paragonata a una qualsiasi, seppur consistente, Chiesa ortodossa. Certe riforme non possono essere lasciate al caso: è impensabile abbandonare una riforma liturgica alla spontaneità della “base”. Proprio perché la liturgia è azione di Cristo e della Chiesa, è inevitabile che ci sia una “norma” che tutti sono tenuti a seguire.
Ma allora quale errore abbiamo commesso? Secondo me, l’errore non sta nel fatto che il Concilio abbia dato delle indicazioni su come la liturgia avrebbe dovuto essere rivista. L’errore è stato nell’atteggiamento con cui quelle direttive sono state applicate; un atteggiamento che è proprio l’opposto di quello dei nostri fratelli ortodossi; un atteggiamento che potremmo in qualche modo definire “titanico”: l’atteggiamento di chi pretende di ricominciare tutto da capo, di fare qualcosa di radicalmente nuovo, convinto di avere in tasca la soluzione a tutti i problemi, una soluzione frutto di elaborazioni puramente umane e pertanto “ideologica”. È ovvio che tale atteggiamento non ha caratterizzato solo la riforma liturgica, ma tutto il rinnovamento postconciliare.
L’atteggiamento giusto mi pare che sia quello contenuto nel bellissimo discorso rivolto da Benedetto XVI, venerdí scorso, ai partecipanti al convegno promosso dal Pontificio Istituto Liturgico “Sant’Anselmo”, in occasione del 50° della sua fondazione:
«La Liturgia della Chiesa va al di là della stessa “riforma conciliare” (cf Sacrosanctum Concilium, n. 1), il cui scopo, infatti, non era principalmente quello di cambiare i riti e i testi, quanto invece quello di rinnovare la mentalità e porre al centro della vita cristiana e della pastorale la celebrazione del Mistero Pasquale di Cristo. Purtroppo, forse, anche da noi Pastori ed esperti, la Liturgia è stata colta piú come un oggetto da riformare che non come soggetto capace di rinnovare la vita cristiana, dal momento in cui “esiste un legame strettissimo e organico tra il rinnovamento della Liturgia e il rinnovamento di tutta la vita della Chiesa. La Chiesa dalla Liturgia attinge la forza per la vita” … La Liturgia, teste privilegiato della Tradizione vivente della Chiesa, fedele al suo nativo compito di rivelare e rendere presente nell’hodie delle vicende umane l’opus Redemptionis, vive di un corretto e costante rapporto tra sana traditio e legitima progressio, lucidamente esplicitato dalla Costituzione conciliare al n. 23. Con questi due termini, i Padri conciliari hanno voluto consegnare il loro programma di riforma, in equilibrio con la grande tradizione liturgica del passato e il futuro. Non poche volte si contrappone in modo maldestro tradizione e progresso. In realtà, i due concetti si integrano: la tradizione è una realtà viva, include perciò in se stessa il principio dello sviluppo, del progresso. Come a dire che il fiume della tradizione porta in sé anche la sua sorgente e tende verso la foce».
Penso che, se ci libereremo delle opposte ideologie (progressista e tradizionalista), che hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare la Chiesa postconciliare, e recupereremo un po’ dello spirito dei nostri fratelli ortodossi, la riforma liturgica, forse con qualche piccolo ritocco, possa andar bene cosí com’è.