Forse qualcuno dei miei lettori
stava già pensando che fossi tornato in letargo. In effetti, “una rondine
non fa primavera”, ma in questo caso il mio silenzio è stato causato semplicemente da
mancanza di tempo materiale. D’altronde, dopo una inattività di quasi due anni,
non è facile tornare a scrivere con regolarità.
Qualcuno mi ha chiesto di dire qualcosa
a proposito dell’elezione del nuovo Papa. Beh, sarei ipocrita se dicessi di
aver sprizzato gioia nel momento in cui il Card. Tauran ha dato l’annuncio.
Personalmente avrei preferito il Card. Scola, che stimo, o il Card. Tagle, che
conosco. Sentire che era stato eletto il Card. Bergoglio è stata sicuramente
una sorpresa. Talvolta le sorprese possono essere
accolte gioiosamente (ed è ciò che è avvenuto per la maggior parte dei fedeli).
Nel mio caso questo non è avvenuto, non perché avessi qualcosa contro il Card.
Bergoglio, che non conoscevo, ma semplicemente perché condizionato da ciò che
si era detto sul suo conto, a proposito del precedente conclave: sarebbe stato lui il candidato del partito anti-Ratzinger, quello per intenderci guidato dal
Card. Martini. Ebbene, il fatto di sapere che era stato eletto appunto
l’«anti-Ratzinger» mi ha dato lí per lí l’impressione di una deliberata scelta
polemica dei Cardinali contro il precedente Pontefice. È vero che questa
impressione è stata immediatamente smentita dallo stesso neo-eletto; però è
altrettanto vero che tutta una serie di piccoli dettagli, astutamente
amplificati dai media, sembravano confermare quella prima impressione: il
rifiuto di un certo abbigliamento, il ritorno a una liturgia pre-benedettiana,
ecc.
In questi casi, però, è bene non
lasciarsi condizionare troppo dalle prime impressioni, dalle reazioni
istintive, e cercare di riflettere e considerare le cose con una certa
razionalità. Innanzi tutto, è bene non farsi condizionare dai media, che ci presentano
solo certi aspetti, e lo fanno unicamente per provocare in noi determinate
reazioni. Che senso ha, per esempio, insistere nel mostrarci le scarpe nere del
Papa, se non per convogliare il messaggio: Benedetto XVI usava scarpe Prada e
quindi era antievangelico; Francesco, al contrario, è un Papa realmente povero.
Non so se avete notato come si siano volutamente messe in giro frasi,
attribuite al neo-eletto Pontefice (se vere o false sinceramente non saprei),
che hanno rallegrato molti, ma hanno ferito altri: Papa Bergoglio
avrebbe detto a Mons. Marini, che lo stata aiutando a vestirsi, a proposito
della mozzetta: «Questa se la metta lei! È finito il tempo delle carnevalate!»;
l’indomani, a Santa Maria Maggiore, visto il Card. Law, Arciprete emerito della
basilica, avrebbe intimato: «Allontanatelo dalla basilica!». Non credo che,
cosí facendo, si renda un buon servizio al nuovo Papa.
In secondo luogo, dobbiamo
liberarci dai nostri pregiudizi. Non possiamo
giudicare le persone dopo pochi minuti che le abbiamo incontrate: diamo loro
almeno il tempo di presentarsi e farsi conoscere. Di per sé non dovremmo mai giudicare nessuno,
ma se proprio smaniamo dal farlo, aspettiamo almeno che uno incominci
ad agire, e poi giudichiamo il suo operato (mai le sue intenzioni!). Questo in
qualsiasi senso: sia in bene che in male. Certe esaltazioni acritiche sarebbe
meglio lasciarle da parte: a Papa Francesco piace uno stile informale?
Benissimo, ha tutto il diritto di usarlo (anche perché è caratteristico di
certi paesi); ma non si parli di una svolta nella storia della
Chiesa, quasi che basti saldare il conto in albergo per salvare la Chiesa. Ben
venga la semplicità, se questa aiuterà qualcuno a riaccostarsi alla Chiesa. Ma,
per favore, non identifichiamo automaticamente lo stile informale con l’umiltà.
Si può essere umili anche sottomettendosi a un cerimoniere che ti mette indosso
una mozzetta di velluto con l’ermellino. Lasciatemi, per un attimo, mettermi sullo stesso piano di certi acuti “osservatori”: l’attuale Pontefice,
sotto la semplice talare bianca, ha sempre fatto uso finora della camicia con i
polsini e i gemelli; Papa Ratzinger, sotto la talare bianca,
il rocchetto e la mozzetta, spesso indossava una semplice maglia con le maniche
lunghe.
Un aspetto che ha mandato in visibilio
le folle è stata la scelta del nome. Certo, il Santo Padre può scegliere il
nome che vuole. Non si può accusarlo di aver rotto con la tradizione: gli
ultimi Papi hanno tutti scelto un nome piú o meno originale: Roncalli ha scelto
un nome che non si usava piú dal Trecento; Montini, dal Seicento; Luciani ha
addirittura adottato un doppio nome (cosa mai avvenuta prima nella storia della
Chiesa); quindi, liberissimo Bergoglio di scegliere il nome di Francesco. È
chiaro però che ogni nome è un programma; lo stesso Bergoglio lo ha spiegato
ieri ai giornalisti: “Francesco”, significa povertà, pace, amore alla natura.
Un programma condivisibilissimo, a patto che non si trasformi in ideologia:
pauperismo, pacifismo, ecologismo. Spero di cuore che il nuovo Papa incarni il
vero San Francesco, non il surrogato che ci viene solitamente proposto dai
media (e spesso dagli stessi Francescani). Personalmente, di San Francesco io
sottolineerei soprattutto la vocazione: «Va’ e ripara la mia Chiesa!».
Naturalmente, come non mi
piacciono i facili entusiasmi, ancor meno mi piacciono le stroncature senza
appello, da una parte e dall’altra. Mi hanno dato estremamente noia (ma non mi
hanno meravigliato piú di tanto) i tentativi di coinvolgere Bergoglio con la
dittatura militare del Generale Videla, come pure la ridicola accusa di
misoginia («Le donne non sono fatte per governare!»). D’altra parte, mi
lasciano di stucco le reazioni scomposte di alcuni tradizionalisti: dopo aver
per anni accusato i fratelli di fede di disobbedienza al Papa, perché non si
adeguavano al suo stile celebrativo, tutto d’un tratto, non appena il Papa è
cambiato, hanno incominciato a offendere il nuovo Pontefice, basandosi
esclusivamente su quegli elementi esteriori intenzionalmente sottolineati dai
media, proprio per mettere in evidenza la discontinuità dell’attuale
pontificato con quello precedente.
Certo, una qualche discontinuità nelle
forme e nello stile esteriore non può essere negata; ma ciò significa reale
rottura di Francesco I con Benedetto XVI e con la tradizione della
Chiesa? Diciamo la verità, almeno per il momento, tutto si riduce a questioni
piuttosto marginali, come il modo di abbigliarsi o di celebrare. Quanto
al primo aspetto, abbiamo già detto; quanto al secondo, non credo proprio che
Papa Francesco voglia distruggere la liturgia. Bisogna tener conto che è un
gesuita; e chi conosce anche solo un po’ i gesuiti sa che non sono dei grandi
liturgisti, non per partito preso, ma per formazione, direi per costituzione.
Si direbbe che per loro il movimento liturgico e il Vaticano II non siano mai
esistiti; fondamentalmente, essi sono rimasti sempre un po’ tridentini. Del
resto, basta prendere gli Esercizi
spirituali per rendersene conto: sembrerebbe che per Sant’Ignazio l’esame
di coscienza fosse piú importante della partecipazione alla Messa. Se si voleva
un Papa liturgista, allora bisognava eleggere un benedettino, non certo un
gesuita. I gesuiti sono molto piú attenti alla spiritualità che non alla
liturgia: essi sono dei veri “contemplativi nell’azione”, per cui possiamo
aspettarci da Papa Bergoglio un grande aiuto per la nostra vita spirituale.
Sono convinto che Papa Francesco riserverà
a tutti delle belle sorprese (certo non quelle anticipate dai media). Quando
furono eletti Giovanni Paolo II e Benedetto XVI provai una grande gioia e nutrivo
grandi attese, che però in qualche caso furono successivamente deluse. Questa
volta, come detto, all’Habemus Papam non
ho sperimentato lo stesso entusiasmo; spero quindi che le soddisfazioni vengano
in seguito. Ma, in fondo, anche se non venissero, non cambierebbe nulla: un
Papa non viene eletto per soddisfare le nostre attese, ma per confermarci nella
fede e servire la Chiesa. In questo momento non ci viene chiesto né di osannare
il Papa né di criticarlo; ci viene chiesto semplicemente di sottometterci a lui
(«Subesse Romano Pontifici … omnino esse
de necessitate salutis», Bonifacio VIII, bolla Unam sanctam), di pregare per lui e di «rimanere in perfetta tranquillità … [tenendo] presente che solo Gesú Cristo governa la sua Chiesa»
(Rosmini, Massime di perfezione cristiana,
III massima).
Anche un eventuale scarso feeling con il nuovo Pontefice potrebbe
avere effetti tutto sommato benefici, perché ci costringerebbe a non fermarci
alla sua persona, ma ad andare oltre, a colui che egli rappresenta; ci
costringerebbe a distinguere fra la persona e l’ufficio che essa ricopre. Può
essere utile ricordare in proposito quanto si racconta di Don Bosco; sembrerebbe che si riferisca ai nostri giorni:
A Torino
giungevano le notizie di Roma ed anche qui continuavano ad ogni occasione le
grida frenetiche, ostinate di “Viva Pio IX!”. Mons. Fransoni [Arcivescovo
di Torino] però aveva compreso tra i
primi che sotto quelle esagerate espressioni di entusiasmo si celava l’artificio
delle sette, e sollecitato dal Papa a muovere i fedeli in aiuto degli Irlandesi
che lottavano contro la fame, il 7 giugno 1847 scriveva in una sua lettera
pastorale: «Quella essere un mezzo assai acconcio di mostrare ossequio al
Pontefice, e perciò averglisi a dar plauso. Non come quei tali che applaudono a
Pio IX, non per quello che è, ma per quello che vorrebbero Egli fosse. Doversi
ancora riflettere, che non il battere fragoroso di palma a palma, né l’incomposto
acclamar tumultuoso, sono gli applausi che possono a Lui tornar graditi, bensí
l’ascoltarne docilmente gli avvisi, e il pronto eseguirne, non che i comandi,
gli inviti». Don Bosco non la pensava diversamente dal suo Arcivescovo.
Naturalmente anche all’Oratorio era un gridare a tutta gola di viva e di osanna
al gran Pontefice; tanto piú che Don Bosco parlava sempre del Papa colla
massima stima; ripeteva frequentemente essere necessario di stare uniti al Papa
perché egli era quell’anello che unisce i fedeli a Dio, e preconizzava fatali
cadute e castighi a quelli che presumevano osteggiare o censurare anche
menomamente la Santa Sede; e tanto era l’amore che sapeva infondere verso di
questa ne’ suoi giovani, che sentivansi disposti ad esserle sempre obbedienti e
fedeli e a difenderla anche a costo della vita. I giovani adunque ripetevano: “Evviva
Pio IX!”; ma con meraviglia intesero Don Bosco che cercava di cambiar loro le
parole in bocca: «Non gridate “Viva Pio IX!”, ma “Viva il Papa!”». «Ma perché, gli
domandarono, Ella vuole che gridiamo “Viva il Papa!”? Pio IX non è appunto il
Papa?». «Avete ragione, replicava Don Bosco: ma voi non vedete piú in là del
senso naturale; vi è certa gente che vuol separare il Sovrano di Roma dal
Pontefice, l’uomo dalla sua divina dignità. Si loda la persona, ma non veggo
che si voglia prestar riverenza alla dignità di cui è rivestita. Dunque, se
vogliamo metterci al sicuro, gridiamo “Viva il Papa!”». E tutti i giovani
ripetevano: “Viva il Papa!” (Memorie
biografiche, vol. III, cap. 21).