Qualcuno dirà che voglio fare le pulci al Santo Padre. Il fatto è che
quando un Pontefice — con i suoi buoni motivi che non sarò io a contestare —
decide di abbandonare quell’aura sacrale che aveva finora avvolto la sua
persona, per mettersi al livello degli altri, è inevitabile che, cosí facendo,
si esponga a possibili critiche. Penso che questo Papa Francesco lo abbia previsto e che,
tutto sommato, non solo non gli dia fastidio, ma gli faccia pure piacere. È
ovvio che, se un Papa non limita il suo magistero alle encicliche e ai discorsi
ufficiali, ma ritiene utile tenere quotidianamente una meditazione a braccio
sulla liturgia del giorno, qualcuno possa avanzare degli appunti alle sue
riflessioni, che non sono — come ho avuto modo di dire in altra occasione — “magistero”
propriamente detto, ma semplice esercizio del munus docendi della
Chiesa, come nel caso di qualsiasi altro sacerdote. Ciò che conta è che, se si
fa una legittima critica, essa si mantenga nei limiti della buona educazione ed
entro i parametri previsti dal diritto:
In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui
godono, [i fedeli] hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di
manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della
Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della
fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità
comune e la dignità delle persone (can. 212, § 3).