«Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9:13).
Gesú, se avesse voluto, avrebbe potuto sfamare le folle da solo: se fu capace di moltiplicare i pani, avrebbe potuto anche dare da mangiare a cinquemila uomini senza dover ricorrere all’ausilio dei Dodici. E invece volle servirsi di loro per soccorrere quella povera gente.
I discepoli fanno presente la loro inadeguatezza: hanno solo cinque pani e due pesci. Ma non si smarriscono; a tutto c’è rimedio; basta un minimo di buona volontà e di organizzazione: si può andare nel villaggio e comperare viveri sufficienti per dare un boccone a tutti.
Ma Gesú non accoglie la proposta: a lui bastano i cinque pani e i due pesci. È sufficiente che i Dodici mettano a sua disposizione quel poco che hanno; al resto penserà lui. Non c’è bisogno che i suoi discepoli attuino i loro piani per sfamare la folla; basta che loro facciano sedere la gente e poi distribuiscano il pane che lui fornirà loro.
È Gesú che salva gli uomini; ma vuole farlo attraverso i sacerdoti. Non è necessario che questi siano forniti di doti straordinarie né che elaborino sofisticati progetti umani per portare la salvezza all’umanità. È sufficiente che abbiano “cinque pani e due pesci”, e li mettano a disposizione del Signore. Questi li devono avere: è vero che il Figlio di Dio potrebbe trasformare in pane anche le pietre; ma di fatto Gesú si rifiuta di farlo (cf Mt 4:3-4; Lc 4:3-4); preferisce moltiplicare il pane, per quanto scarso, già esistente.
Se i sacerdoti fossero perfetti, essi e i loro fedeli potrebbero attribuire a loro stessi il merito di quanto fanno. La loro inadeguatezza dimostra — a loro e ai loro fedeli — che tutto viene da Colui che li ha inviati: è lui che riesce a “moltiplicare” la loro povertà. È al loro Signore, non alle loro miserie, che dobbiamo fissare lo sguardo.
Molto opportunamente l’Arcivescovo di Bologna, Card. Carlo Caffarra, nell’omelia che avrebbe dovuto pronunciare in occasione della celebrazione del Corpus Domini (ma che non ha pronunciato a causa dell’inclemenza del tempo; comunque riportata sul sito dell’Arcidiocesi), ha voluto menzionare le parole di san Francesco che si riferiscono ai sacerdoti: «… e tutti … voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché io in essi discerno il Figlio di Dio e sono miei signori».
È giusto aspettarsi molto dai sacerdoti, perché hanno accettato una missione sublime ed esigente. Illusorio sarebbe pensare che i sacerdoti debbano essere perfetti per poter assumere quella missione. È sufficiente che abbiano “cinque pani e due pesci” e li mettano a disposizione del Signore, così che egli possa compiere le sue meraviglie.