È da un po’ di tempo che non mi occupo di “politica vaticana”. Non è che mettere il naso nei corridoi della Curia Romana mi entusiasmi piú di tanto; anche perché mi vado sempre piú convincendo che la partita non si gioca tanto dentro le mura vaticane: è in periferia (se si può parlare in questo caso di una “periferia”) che si gioca il futuro della Chiesa. La Curia svolge un suo ruolo, certo importante, forse addirittura insostituibile, ma pur sempre relativo. Ogni tanto però ci si può pure lasciare andare un pochino e, come dicono a Milano, “contarsela su”, senza nessuna pretesa e senza prendersi troppo sul serio.
Giorni fa, Sandro Magister paragonava la Curia Romana a una squadra di calcio: «Come commissario tecnico della curia, papa Ratzinger ha poco da esultare. La sua squadra non gli dà mica tanto retta. Ciascun giocatore va per conto suo e ogni tanto ci scappa l’autogol». Personalmente, sono d’accordo con l’idea che Magister vuole comunicare; ma andrei piano a fare certi paragoni, perché di solito, quando la squadra non funziona, il primo a saltare è proprio il mister. Forse sarebbe meglio paragonare il Papa al presidente della società, piú che all’allenatore. Ovviamente anche il presidente ha le sue responsabilità (se la squadra continua a perdere, i tifosi di solito se la prendono proprio col presidente, perché magari cambi, appunto, l’allenatore; ma non possono certo pretendere che cambi il presidente stesso).
È vero che, anche nelle vesti di “presidente della società”, a Benedetto XVI si potrebbe muovere l’appunto di non saper scegliere i propri collaboratori. Il nostro Papa ha delle grandissime doti; ma finora — sia detto senza offesa — non ha dimostrato di sapersi trovare dei buoni aiutanti. Al contrario, al suo predecessore si potevano fare mille critiche, ma non certo questa: era sempre capace di mettere la persona giusta al posto giusto (basti pensare al Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede!).
Ma, come si diceva, è meglio che la figura del presidente rimanga fuori dalle polemiche; anche perché il problema, in questo momento, non è lui, quanto piuttosto la “panchina”: è questa che attualmente sembra non funzionare molto in Vaticano. Se si vuole che ci sia un gioco di squadra, bisogna che l’allenatore cambi schema tattico.
Proprio oggi Messainlatino.it ha pubblicato la traduzione di un post dell’Osservatore Vaticano, dove vengono ampiamente illustrati tre casi di recente malfunzionamento della Curia Romana (la mancata proclamazione del Santo Curato d’Ars a patrono di tutti i sacerdoti; la gestione del caso Thiberville; la rinuncia del Card. Pell a Prefetto della Congregazione per i Vescovi). La conclusione del post merita di essere riportata:
«La necessità per il Santo Padre di risparmiare le sue forze, ad esempio riducendo drasticamente il numero delle udienze private, le attenzioni vigili con cui è circondato, ma che sono altrettanti filtri (da due mesi, ad esempio, il numero delle persone — fino ad allora un centinaio — che salutava alla fine delle udienze pubbliche è stato ridotto ad una semplice fila di sedie), il peso del suo intenso lavoro intellettuale solitario, la necessaria concentrazione sulle decisioni, maturate a lungo, e che dipendono solo da lui, fanno che l’esigenza di un vero “primo ministro” sarebbe vitale.
«Qualunque siano le critiche che potevano essere loro rivolte, uomini come il Sostituto Benelli, il Segretario di Stato Casaroli, o il suo successore Sodano, occupavano fortemente il terreno curiale, imprimevano a quel pesante e complesso organismo una linea, certo altamente discutibile, ma leggibile.
«Invece, è tutto il contrario di un Richelieu chi occupa oggi il posto di Segretario di Stato».
Lungi da me voler infierire sul povero Card. Bertone; vorrei solo che ci si rendesse conto di quanto sia importante il ruolo della Segreteria di Stato per il buon funzionamento della macchina curiale. Non si può pretendere che faccia tutto il Santo Padre. Secondo me, il Papa dovrebbe rimanere il piú possibile fuori dalle beghe di Curia: ovviamente è lui che deve dare le dritte e deve poi vigilare che tutto si svolga secondo le proprie indicazioni; ma ci deve essere qualcun altro che faccia funzionare la macchina; non può farlo il Papa. È bene che questi si dedichi a tempo pieno al suo ministero pastorale; ma la Curia non può essere abbandonata a sé stessa, non può rimanere in preda all’anarchia. Essa non può ridursi a un campo di battaglia dove si scontrano lobby contrapposte, o a un campo da gioco dove si misurano le ambizioni di ecclesiastici malati di protagonismo, o alla piazza di un mercato dove si ritrovano a contrattare affaristi senza scrupoli. Essa dovrebbe piuttosto apparire come l’austero luogo di lavoro di solerti funzionari che prestano in silenzio il loro disinteressato servizio alla Chiesa. Perché questo possa avvenire, occorre che ci sia un “moderator Curiae” efficiente, il cui unico compito sia quello di far funzionare la Curia. Nella Curia Romana ridisegnata da Paolo VI tale compito spetta al Segretario di Stato: è lui che deve prendere in mano la situazione e far sí che la macchina, che già esiste, funzioni. I giocatori ci sono; quel che manca è la squadra.