Il Signor Paolo Gobbini, dopo aver letto i miei post del 27 e del 28 dicembre, mi ha inviato alcune riflessioni, che mi sembrano meritevoli di attenzione:
«Ho letto il post del 28 dicembre dedicato alla manomissione del Salterio. A mio avviso la censura del Salterio è molto grave, è un vulnus che al piú presto deve essere sanato. Viceversa bisogna riabilitare Marcione. A tal proposito le invio l’appello che ho rivolto a Sua Santità Benedetto XVI e al mio Vescovo Luciano (Monari) in occasione della sua recente visita a Brescia.
Alle brevi riflessioni che ho svolto nell’appello, e dopo aver letto di René Girard Vedo Satana cadere come la folgore (pp. 157s), aggiungerei il seguente motivo per reintrodurre quanto prima i tre Salmi e i sessanta versetti deprecatori censurati: essi sono la voce delle vittime innocenti che protestano contro la violenza ingiusta cui sono sottoposte. Voce che spesso è zittita perché non la si vuole ascoltare. Essa scuote le fragili coscienze dei loro assassini, è la voce del sangue di Abele che grida a Dio dalla terra e invoca giustizia! Non possiamo farlo tacere, ma dobbiamo urlarlo, implorando a Dio la giustizia come la vedova importuna lodata da Gesú e presa a modello della preghiera perseverante. Quante vittime innocenti nel secolo XX sono state uccise e tragicamente la Chiesa ha anche rinunciato a dar loro voce nella sua preghiera! Milioni di uomini eliminati nei genocidi armeno, ebraico, kulaco, cambogiano, hutu-tutsi, jugoslavo, nel Darfur e soprattutto i bambini non nati uccisi ancora nel grembo materno.
Riguardo al tema del rapporto tra Parola di Dio e Liturgia da cui è scaturito il post, mi permetto di aggiungere un’altra osservazione allegandole l’appello rivolto al Papa e al mio Vescovo per rivedere i criteri di scelta della seconda lettura che spesso è slegata da ogni connessione con il Vangelo e quindi con la prima lettura».
I problemi dunque sono due: uno, la reintroduzione dei salmi imprecatori; l’altro, la revisione del Lezionario. Affrontiamoli separatamente. Per ciascuno dei due il Signor Gobbini ha allegato un “appello”.
1. Salmi imprecatori
«Nel Salterio pregato durante l’Ufficio Divino “sono stati omessi alcuni salmi e versetti dall’espressione alquanto dura, tenendo presenti specialmente le difficoltà che potrebbero nascere dalla loro celebrazione in una lingua moderna” (Costituzione apostolica Laudis canticum, n. 4). I Salmi sono tre: 58(57); 83(82); 109(108); ed i versetti sono sessantuno: 5,11; 21(20),9-13; 28(27),4-5; 31(30),18-19; 35(34),3ab.4-8.20-21.24-26; 40(39),15-16; 54(53),7; 55(54),16; 56(55),8; 59(58),6-9.12-16; 63(62),10-12; 69(68),23-29; 79(78),6-7.12; 110(109),6; 137(136),7-9; 139(138),19-22; 140(139),10-12; 141(140),10; 143(142),12.
La Costituzione Apostolica Laudis Canticum afferma che il salmista adopera “espressioni alquanto dure”, espressioni che, se da un lato sembrano contraddire il comando evangelico: “Benedite e non maledite” (Lc 6,28), d’altro canto sono perfettamente coerenti con le durissime parole pronunciate da Gesú stesso per scuotere i cuori piú duri, ad esempio: Mt 11,21-24; 15,24-26; 18,6.32-35; 21,18-19.44; 23,13-36; 25,41-46.
I Principi e Norme per la Liturgia delle Ore giustificano cosí la scelta di omettere i salmi imprecatori: “L’omissione di questi testi è dovuta unicamente ad una certa qual difficoltà psicologica. Infatti questi stessi salmi imprecatori si trovano nella pietà del NT […] ed in nessun modo intendono indurre a maledire” (n. 131). Difficoltà psicologica che è facilmente superabile con la spiegazione dei testi, spiegazione che gli stessi Principi e Norme già presuppongono, dato che offrono due suggerimenti. Il primo suggerimento: “Questi stessi salmi imprecatori si trovano nella pietà del NT”, per esempio in Ap 6,10, vuole evitare l’errore marcionita dell’anti-ebraicità, errore che, giudicando superati i duri testi imprecatori, contrappone l’AT al NT. Il secondo suggerimento: “In nessun modo intendono indurre a maledire”, afferma che cosa non vuole il bimillenario uso cristiano dei Salmi imprecatori; il problema è caso mai di spiegare che cosa vuole l’uso cristiano, per esempio: scuotere la coscienza addormentata a convertirsi dagli idoli al Dio vivente, che è fuoco divorante.
La Scrittura va letta e pregata nella sua integrità, senza pretendere di giudicarla, ma lasciandosi giudicare da essa. Il veggente dell’Apocalisse deve mangiare un rotolo che in bocca è dolce e poi nelle viscere risulta amaro (Ap 10,10), cosí è la Parola di Dio: non è solo fonte di gioia, ma anche urticante. Dolce per consolare, dura per scuotere. Eliminando dalla preghiera ufficiale della Chiesa una parte del libro dei Salmi, quella meno sopportabile al nostro gusto moderno, a mio avviso, si è compiuto un duplice peccato. Innanzitutto, un atto di superbia contro Dio, pretendendo di dire a Dio cosa vogliamo ascoltare e cosa Egli dovrebbe dirci, cadendo nella tentazione diabolica già subita da Pietro e dai discepoli (Mt 16,22-23; Gv 6,60). Questo fu l’errore di Marcione, quando rifiutò l’unità della Bibbia e selezionò in base alle sue preferenze i libri sacri. Marcione però, fu almeno piú coerente, mentre noi risultiamo un poco vigliacchetti; non potendo eliminare i salmi imprecatori dalla sacra Scrittura, li escludiamo dall’uso liturgico, ottenendo con meno fatica lo stesso risultato. Inoltre tale censura della Scrittura manifesta un peccato di omissione da parte dei pastori della Chiesa che rinunciano a spiegare il significato dei Salmi imprecatori: il loro senso storico ed il senso teologico, poiché: “Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Tm 3,16). La preghiera rivela sempre, nel bene e nel male, cosa c’è nel cuore di chi prega, e con la conoscenza di quel che si è in verità, il Signore dona anche la forza di cambiare, ovvero lo spirito, a chi persevera umilmente nella preghiera, infatti: “Il Padre cerca tali adoratori” (Gv 4,23).
Perciò rivolgo un umile appello a Sua Santità di reintrodurre i testi imprecatori nel Salterio pregato».
Non ho molto da aggiungere a queste considerazioni, che condivido. Non posso che fare mio l’auspicio che i salmi imprecatori siano ripristinati quanto prima nella liturgia della Chiesa.
2. Il Lezionario
«L’Ordo Lectionum Missae utilizza due criteri nella scelta delle letture della s. Messa:
1. la lectio continua di un libro
2. in funzione del brano evangelico (lectio evangelica)
Il criterio della lectio continua guida la scelta del brano Evangelico, della seconda lettura e, durante il tempo pasquale, anche della prima lettura (Atti). Il criterio della lectio evangelica presiede quasi sempre alla scelta della prima lettura che, fatta salva l’eccezione del tempo pasquale, è preso dall’Antico Testamento, brano scelto in funzione del Vangelo. Il legame tra queste due letture è importantissimo. Domenica dopo domenica viene dispiegata l’unità inscindibile di tutta la Scrittura, affermando la necessità di tutta la Scrittura per confessare che Gesú morto in croce è veramente risorto e come tale è il Signore della Chiesa, della storia umana e del cosmo. Ciò avvenne per la prima volta lungo la strada di Emmaus, quando Gesú “cominciando da Mosé e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24,27) e continua ad avvenire nella Liturgia della Parola e nella confessione della fede “secondo le scritture” (1 Cor 15,3s).
Purtroppo la seconda lettura solo talvolta è legata al binomio Vangelo-prima lettura. Ciò avviene nelle undici domeniche di Avvento, Natale e Quaresima, durante la Settimana Santa e nelle Solennità. Ma piú spesso l’epistola è slegata dal binomio Vangelo-prima lettura, come accade nelle sette domeniche del tempo pasquale e nelle trentatré del tempo ordinario, quando secondo il criterio della lectio continua vengono lette le epistole apostoliche. Cosicché l’unità delle Scritture appena affermata dal legame reciproco AT-Vangelo, è contraddetta dal brano della seconda lettura slegato dal binomio prima lettura-Vangelo.
Quest’appello ripropone e rilancia la proposta fatta originariamente dal grande liturgista Adrien Nocent (Les deuxiemes lectures des dimanches ordinaires, in Ecclesia Orans 2 [1991], pp. 125-136), proposta cui aderisce anche la Comunità di Bose (La preghiera dei giorni, a cura della Comunità di Bose, Presentazione p. XV, Gribaudi, Torino 1993), e che consiste nell’utilizzare il solo criterio della lectio evangelica anche nella scelta del brano della seconda lettura, limitando il criterio della lectio continua alla scelta del brano Evangelico».
A proposito di questa proposta di revisione del Lezionario, penso che ci sia da aggiungere qualcosa. Va innanzi tutto ricordato che una delle proposizioni finali del Sinodo riguardava proprio questo problema:
«Si raccomanda che si dia avvio ad un esame del Lezionario romano per vedere se l’attuale selezione e ordinamento delle letture è veramente adeguato alla missione della Chiesa in questo momento storico. In particolare, il legame della lettura dell’Antico Testamento con la pericope evangelica dovrebbe essere riconsiderato, in modo che non implichi una lettura troppo restrittiva dell’Antico Testamento o un’esclusione di alcuni brani importanti. […]» (n. 16).
Il n. 57 dell’esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini risponde, negativamente, a tale proposta:
«La riforma voluta dal Concilio Vaticano II (SC 107-108) ha mostrato i suoi frutti arricchendo l’accesso alla sacra Scrittura che viene offerta in abbondanza, soprattutto nelle liturgie domenicali. L’attuale struttura, oltre a presentare frequentemente i testi piú importanti della Scrittura, favorisce la comprensione dell’unità del piano divino, mediante la correlazione tra le letture dell’Antico e del Nuovo Testamento, “incentrata in Cristo e nel suo mistero pasquale” (Ordinamento delle letture della Messa, n. 66). Talune difficoltà che permangono nel cogliere le relazioni tra le letture dei due Testamenti devono essere considerate alla luce della lettura canonica, ossia dell’unità intrinseca di tutta la Bibbia. Là dove se ne riscontra la necessità, gli organi competenti possono provvedere alla pubblicazione di sussidi che facilitino a comprendere il nesso tra le letture proposte dal Lezionario, le quali devono essere tutte proclamate all’assemblea liturgica, come previste dalla liturgia del giorno. Eventuali altri problemi e difficoltà vengano segnalati alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti».
Personalmente, io non vedo l’urgenza di una revisione del Lezionario, che per me va bene cosí com’è. Non voglio dire che sia perfetto; ma penso che un qualsiasi intervento sia opera estremamente rischiosa. Ritengo che, prima di por mano a eventuali riforme, dovremmo sforzarci di sfruttare le ricchezze dell’attuale Lezionario. È vero che non sempre c’è armonia fra le letture; ma… perché dovrebbe esserci? Lasciamo che la parola di Dio ci parli nella sua infinita varietà.
Non è necessario che il sacerdote, nella sua omelia, metta sempre d’accordo tutte e tre le letture che sono state annunciate. Talvolta può essere sufficiente soffermarsi anche solo su un punto di una di esse. Normalmente io commento unicamente il vangelo; se capita, faccio qualche riferimento agli altri testi.
Molti anni fa, ricordo, dovendo celebrare la Messa vespertina sia il sabato sia la domenica, adottai questo criterio: il sabato commentavo la seconda lettura e la domenica il vangelo. Negli anni in cui ero responsabile della formazione dei seminaristi nelle Filippine, invece, per non lasciar cadere nel vuoto la seconda lettura (in genere tratta da san Paolo, nostro patrono), decisi di riprenderla durante la celebrazione dei Vespri, affidando ogni domenica a uno dei seminaristi il compito di preparare una riflessione sul testo (il che doveva naturalmente servire anche come allenamento alla predicazione). Allo stesso modo, penso che si possano trovare altre soluzioni per valorizzare l’abbondanza della parola di Dio che abbiamo a disposizione.
Ciò che conta è non aver la pretesa di capire tutto subito. Molto sapientemente ci ammonisce sant’Efrem:
«Rallegrati perché sei stato saziato, ma non rattristarti per il fatto che la ricchezza della parola ti superi. Colui che ha sete è lieto di bere, ma non si rattrista perché non riesce a prosciugare la fonte. È meglio che la fonte soddisfi la tua sete, piuttosto che la sete esaurisca la fonte. Se la tua sete è spenta senza che la fonte sia inaridita, potrai bervi di nuovo ogni volta che ne avrai bisogno. Se invece saziandoti seccassi la sorgente, la tua vittoria sarebbe la tua sciagura. Ringrazia per quanto hai ricevuto e non contristarti per ciò che resta inutilizzato. Quello che hai preso o portato via è cosa tua, ma quello che resta è tua eredità. Ciò che non hai potuto ricevere subito a causa della tua debolezza, potrai riceverlo in altri momenti con la tua perseveranza. Non avere la pretesa di voler prendere in un sol colpo ciò che non può essere prelevato se non a piú riprese, e non allontanarti da ciò che potresti ricevere solo un po’ alla volta» (Commenti al Diatesseron, 1).