Sandro Magister, riprendendo sul sito www.chiesa il mio post su “I postulati di Papa Francesco”, ha fornito alcune preziose informazioni, che permettono di completare la ricostruzione delle origini, storiche e filosofiche, di quei quattro principi; ricostruzione che nel mio post era stata solo abbozzata. Se ricordate, in base alla testimonianza del gesuita argentino Juan Carlos Scannone, avevamo appurato che, nel 1974, l’allora Provinciale Bergoglio già si serviva di quei criteri.
Ora, dalla dichiarazione dello stesso Papa Francesco, rilasciata ai giornalisti di Córdoba Javier Cámara e Sebastián Pfaffen, veniamo a sapere qualcosa di piú:
«A Córdoba ripresi a studiare per vedere se potevo procedere un poco nella stesura della tesi di dottorato su Romano Guardini. Non riuscii ad ultimarla, ma quello studio mi ha aiutato molto per ciò che mi è accaduto dopo, compresa la scrittura della esortazione apostolica Evangelii gaudium, la cui sezione sui criteri sociali è tutta ripresa dalla mia tesi su Guardini» (Aquel Francisco, Raíz de Dos, Córdoba, 2014; tr. it. Gli anni oscuri di Bergoglio. Una storia sorprendente, Ancora, Milano, 2016; cit. in Settimo Cielo, 17 dicembre 2014).
Magister, dal canto suo, afferma:
«L’intero blocco della Evangelii gaudium che illustra i quattro criteri è la trascrizione di un capitolo dell’incompiuta tesi di dottorato scritta da Bergoglio nei pochi mesi da lui trascorsi in Germania, a Francoforte, nel 1986. La tesi verteva sul teologo italo-tedesco Romano Guardini, che infatti è citato nell’esortazione».
L’affermazione di Magister non è accurata: essa non si accorda con quanto dichiarato da Papa Francesco. Bergoglio a Córdoba visse dal 1990 al 1992 (quindi dopo il soggiorno tedesco). Prima di andare in Germania (1986) era Rettore del Colegio Máximo de San Miguel (1979-1986). Dopo il soggiorno tedesco fu destinato al Colegio del Salvador (1986-1990). Molto probabilmente, nei pochi mesi trascorsi in Germania, Bergoglio non scrisse nulla, ma semplicemente prese contatto con i docenti per definire un progetto di tesi. Su questo abbiamo la testimonianza della Facoltà di Sankt Georgen a Francoforte:
«A metà degli anni Ottanta [Bergoglio] ha passato alcuni mesi presso la nostra facoltà, per consigliarsi con alcuni professori su un progetto di dottorato (Dissertationprojekt) che non è arrivato a conclusione» (14 marzo 2013; trad. it. in Settimo Cielo, 2 aprile 2013).
Quindi Bergoglio se ne tornò in Argentina solo con un “progetto di dissertazione” su Romano Guardini. Si dedicò alla stesura della tesi negli anni trascorsi a Córdoba (1990-1992), che furono liberi da altri impegni, ma non furono in ogni caso sufficienti per completarla, dal momento che il 20 maggio 1992 fu nominato Vescovo ausiliare di Buenos Aires. A che punto fosse, nel 1992, la stesura della tesi, non sappiamo; come non sappiamo quale ne fosse il titolo esatto e la struttura. Sappiamo però che un capitolo (o, per lo meno, una parte) di essa trattava dei quattro “criteri sociali”, che ora ritroviamo in Evangelii gaudium.
A parte questo aspetto storico, pure importante, ciò che piú ci interessa è stabilire le origini filosofiche dei quattro principi. Essendo essi trattati all’interno di una tesi su Guardini — ancorché preesistenti alla tesi stessa (non dimentichiamo la testimonianza del Padre Scannone, che sostiene di averli già sentiti nel 1974!) — è ragionevole presumere che essi possano essere in qualche modo ricondotti al pensatore italo-tedesco. Ed effettivamente troviamo fra le sue opere L’opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente, Morcelliana, 1997, ora ripubblicata (anche in formato elettronico) ne “La biblioteca di Papa Francesco”, a cura di Antonio Spadaro, La Civiltà Cattolica – Corriere della Sera, Milano, 2014 (tit. orig. Der Gegensatz. Versuche zu einer Philosophie des Lebendigkonkreten, 1ª ed. 1925, 2ª ed. 1955; 3ª ed. 1985; trad. spagnola: El Contraste. Ensayo de una filosofia de lo viviente-concreto, BAC [n. 566], Madrid, 1996). Si noti, fra parentesi, che entrambe le traduzioni, tanto quella spagnola quanto quella italiana, risalgono alla seconda metà degli anni Novanta; sono quindi successive alla stesura della tesi di Bergoglio.
Si tratta di un’opera forse non molto nota, ma fondamentale per comprendere il pensiero di Guardini. Essa verte su quello che il filosofo magontino considera il “mistero” della vita: l’opposizione polare. A questa idea Guardini aveva cominciato a pensare molto presto, nel 1905, quando aveva venti anni; nel 1912 tentò di dare una prima forma concettuale alle proprie intuizioni; nel 1914 pubblicò il saggio Opposizione e opposti. Schizzo di un sistema di dottrina dei tipi; nell’anno accademico 1923-24 tenne, all’Università di Berlino, alcune lezioni su questo tema, che poi confluirono nella pubblicazione del 1925. Nella Premessa parlava di “scheletrica impalcatura”, di “saggio”, di “prima struttura”, di “abbozzo”, rinviando a ulteriori elaborazioni e approfondimenti, che però non ci sarebbero mai stati. Nel presentare, dopo trent’anni (1955), la seconda edizione, confessò di non aver avuto il tempo per procedere a una completa rielaborazione dell’opera e quindi di essersi risolto a pubblicare una “ristampa del tutto immutata”, con qualche minima correzione nei passi che potevano essere fraintesi. Verso la fine della sua vita, Guardini rivelerà quanto fosse importante per lui L’opposizione polare:
«Io so che cosa significa questo mio libro — la presentazione di un orientamento nuovo di pensiero, che sorpassa quelli finora esistenti. Io mi proponevo di fondarvi sopra una nuova teologia, ma è troppo tardi — non ne sono piú in grado» (cit. da Hanna-Barbara Gerl nella Postfazione dell’opera).
L’idea dell’opposizione non è una novità nella storia del pensiero: la troviamo già all’origine della filosofia con gli Eleati; costituirà uno degli elementi caratteristici delle correnti platoniche e neoplatoniche; ma sarà soprattutto nell’idealismo che essa troverà uno sviluppo di tipo “scientifico”. A quali di questi filoni di pensiero può essere ricondotto Guardini? Personalmente ritengo che egli si inserisca a pieno titolo nel solco della tradizione platonica (a cui fa esplicito riferimento nel libro, c. 1, § 2). Anzi, se devo proprio essere sincero, io rilevo una notevole affinità col pensiero di Nicola Cusano, sebbene egli dichiari espressamente di non condividere la concezione di Dio come coincidentia oppositorum e di optare, piú correttamente, per la tomistica “analogia” (c. 2, nota 31). Certamente Guardini non può essere in alcun modo assimilato all’idealismo; anzi, si ha l’impressione che il suo sforzo sia finalizzato a cercare un’alternativa all’interpretazione della realtà fornita da quella corrente di pensiero, che a quell’epoca dominava incontrastata nel mondo accademico (al punto che Schopenhauer l’aveva definita la “filosofia delle università”). Certo, Guardini ed Hegel hanno un elemento importante che li accomuna: l’idea dell’opposizione. Ma qui finiscono le loro somiglianze, perché, mentre per Hegel i due poli dell’opposizione (“tesi” e “antitesi”) devono necessariamente risolversi in una “sintesi” superiore, per Guardini (che non usa mai il termine “dialettica”) i due poli rimangono e devono rimanere opposti fra loro, escludendosi vicendevolmente, ma allo stesso tempo rimanendo indissolubilmente legati fra loro. Il nostro Autore, nel corso della sua opera, insiste ripetutamente sull’impossibilità di una sintesi degli opposti. Altra differenza radicale tra Guardini ed Hegel: mentre quest’ultimo risolve tutto in ambito logico, Guardini trasferisce l’idea dell’opposizione nel campo della “vita” (il “concreto vivente”). Beh, mi sembra di poter concludere che Hegel sta a Guardini come l’ideologia sta alla verità: mentre il filosofo di Stoccarda è tutto preoccupato di costruire un sistema logico di pensiero con cui poi interpretare la realtà, il pensatore di Magonza si preoccupa esclusivamente di comprendere la realtà cosí come essa effettivamente si presenta.
Nella sua opera Guardini individua otto coppie di opposti. Innanzi tutto, distingue fra “opposti categoriali” e “opposti trascendentali”; a loro volta, gli “opposti categoriali” si suddividono in “opposti intraempirici” e “opposti transempirici”. Sono tre le coppie che costituiscono gli “opposti intraempirici”: 1. “atto” (Akt) e “struttura” (Bau); 2. “pienezza” (Fülle) e “forma” (Form); 3. “singolarità” (Einzelheit) e “totalità” (Ganzheit). Tre sono pure le coppie di “opposti transempirici”: 4. “produzione” (Produktion) e “disposizione” (Disposition); 5. “originalità” (Ursprünglichkeit) e “regola” (Regel); 6. “immanenza” (Immanenz) e “trascendenza” (Transzendenz). Solo due invece sono le coppie che costituiscono gli “opposti trascendentali”: 7. “affinità” (Verwandtschaft) e “particolarizzazione” (Besonderung); 8. “unità” (Einheit) e “pluralità” (Mannigfaltigkeit). Capisco che un elenco arido come questo può non dir nulla, anche perché i termini usati (che però possono essere facilmente sostituiti) non sempre riescono a esprimere efficacemente il loro contenuto (p. es., nella seconda coppia di opposti, il termine “pienezza” può essere per noi fuorviante, ma praticamente corrisponde alla “materia” aristotelica). Guardini va letto direttamente, per poter essere compreso e apprezzato: non è una lettura facile; ma, per chi è allenato alla riflessione filosofica, costituisce un’autentica rivelazione. Uno di quegli autori che, già al primo approccio, ti aprono la mente. La sua biografa Hanna-Barbara Gerl (l’autrice della Postfazione a L’opposizione polare) lo ha definito, penso a ragione, “Padre della Chiesa del XX secolo”.
Dopo questa lunga introduzione (per altro necessaria, per poter avere un’idea, per quanto sommaria, di Guardini), veniamo a noi. La domanda che dobbiamo porci è: i “postulati di Papa Francesco” possono considerarsi in qualche modo derivanti dalle opposizioni di Romano Guardini? La risposta non potrà che essere articolata. Rammentiamo, innanzi tutto, i quattro “postulati”: a) “Il tempo è superiore allo spazio”; b) “L’unità prevale sul conflitto”; c) “La realtà è piú importante dell’idea”; d) “Il tutto è superiore alla parte”.
Il primo di questi principi (“Il tempo è superiore allo spazio”) può essere facilmente ricondotto alla prima coppia di opposti (“atto” e “struttura”). È lo stesso Guardini che, illustrando l’opposizione, la descrive in termini di dinamismo (atto) e staticità (struttura), facendo ricorso alle categorie di tempo (il fluire della vita) e di spazio (ciò che permane attraverso il fluire).
È un po’ piú difficile individuare nel sistema degli opposti il secondo principio (“L’unità prevale sul conflitto”). È vero che nell’ottava coppia di opposti il primo polo coincide appunto con l’“unità”; ma il secondo polo è costituito, abbastanza comprensibilmente, dalla “pluralità”: all’uno si contrappongono i molti. È evidente che, nel caso del secondo postulato bergogliano, “unità” non è intesa in senso filosofico (l’essere uno), ma in senso sociologico (l’essere uniti, non divisi). Forse l’opposto piú naturale del conflitto, anziché l’unità, dovrebbe essere la “pace” (e infatti Papa Francesco ne parla nei nn. 229-230 di Evangelii gaudium). Il conflitto non si rinviene nel sistema di Guardini (il termine “conflitto” non ricorre mai nell’opera).
Il terzo principio (“La realtà è piú importante dell’idea”) non lo si ritrova in nessuna delle otto coppie di opposti. Ciò non significa che il suo contenuto sia del tutto assente nella riflessione di Guardini. Anzi, si potrebbe affermare che L’opposizione polare abbia fondamentalmente un carattere “gnoseologico”, nel senso che costituisce una riflessione sulla conoscenza umana, che non può ridursi né alla conoscenza puramente concettuale né a quella puramente intuitiva: si tratta di cogliere la realtà piú profonda del “concreto vivente”, cosa possibile solo attraverso l’opposizione polare. Guardini sembra avere l’ambizione di voler elaborare con la sua opera una vera e propria “critica della ragione concreta”, che vada oltre la critica kantiana. Non sembra però che questa problematica sia presente nel terzo postulato bergogliano.
Il quarto principio (“Il tutto è superiore alla parte”) invece può essere agevolmente rapportato alla terza coppia di opposti (“singolarità” e “totalità”).
Possiamo quindi trarre una prima conclusione: la derivazione dei quatto postulati bergogliani da Guardini non è cosí immediata come ci si sarebbe aspettati. Ma c’è un altro paio di osservazioni da fare. Innanzi tutto, appare del tutto assente in Guardini l’idea di superiorità di uno dei due poli dell’opposizione rispetto all’altro. In secondo luogo, sembrerebbe che Bergoglio nei suoi principi faccia propria la visione dialettica hegeliana. Si vedano, per esempio, i seguenti passaggi di Evangelii gaudium:
«Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto» (n. 228)
«L’annuncio di pace non è quello di una pace negoziata, ma la convinzione che l’unità dello Spirito armonizza tutte le diversità. Supera qualsiasi conflitto in una nuova, promettente sintesi» (n. 230).
Ebbene, come avevamo precedentemente anticipato, Guardini esclude ciò in modo categorico. Basti qui riportare alcuni passi tra i molti che si potrebbero citare:
«Non dunque “sintesi” di due momenti in un terzo. E neppure un intero di cui i due rappresentino le “parti”. Meno ancora mescolanza in vista di qualche compromesso. Si tratta al contrario d’un rapporto originario, in tutto e per tutto particolare; d’un fenomeno originario (Urphänomen)» (c. 2, sez. I, § 1)
«La vita non è la sintesi di queste differenze; non la loro mescolanza; non la loro identità. Ma è quell’unum, che consiste proprio di tale duplicità legata» (ibid.)
«Noi viventi ci esperiamo come “pienezza”, plastica e dinamica; e come forma, sia di struttura sia di atto. L’uno e l’altro. Ma non l’uno insieme all’altro in modo da confondere i propri contenuti; in modo da passare in un terzo superiore in forza d’una qualche “sintesi” ottenuta per commistione. “Pienezza” resta “pienezza” e forma, forma; ma la vita sta in entrambi insieme. Sta precisamente nella loro opposizione, e cioè nel fatto che la forma è appunto forma, non falsata, pura e la “pienezza” “pienezza” in senso schiettamente essenziale. Ma i due elementi insieme, e sempre l’uno nell’altro» (c. 3, § 2)
Non sono un esperto di Romano Guardini, per cui le mie conclusioni potrebbero rivelarsi errate. Ma l’impressione che ho al termine di questa analisi è che i “postulati di Papa Francesco”, pur derivando da una tesi su Guardini, possano vantare solo una vaga affinità col filosofo italo-tedesco. Sembrerebbero piuttosto un travisamento del suo pensiero. Si ha l’impressione che non si sia colta l’originalità di Guardini rispetto a Hegel, e si sia preferito interpretare il primo alla luce del secondo, cosa che finisce per costituire il tradimento di un pensatore che aveva la pretesa di aver elaborato una visione della realtà alternativa a quella del filosofo idealista.