Un paio di settimane fa sono stato intervistato da La nuova Bussola Quotidiana sulle dichiarazioni fatte da Mons. Georg Gänswein il 21 maggio 2016 alla presentazione del volume di Roberto Regoli Oltre la crisi della Chiesa. Il pontificato di Benedetto XVI. Il testo del discorso di Mons. Gänswein è stato pubblicato da ACI Stampa. Come c’era da aspettarsi, Antonio Socci si è buttato a capofitto sul discorso con una serie di commenti su Libero e sul suo sito (qui, qui e qui). La mia intervista è stata pubblicata sulla Nuova BQ il 25 maggio. Pensavo che ormai la disputa si fosse placata, ma invece l’altro ieri Maurizio Blondet c’è tornato sopra, fra l’altro facendo un fuggevole riferimento anche alla mia intervista (mi chiedo: ma non ci sono stati nel frattempo interventi piú autorevoli del mio sulla questione?).
Nell’intervista avevo risposto alle domande nell’unico modo in cui si poteva rispondere: «Il Papa è uno solo»; avevo definito certe affermazioni di Mons. Gänswein “eccessive” e avevo liquidato la pretesa che la rinuncia al pontificato da parte di Benedetto XVI fosse «un rinnovamento e un potenziamento del ministero petrino» semplicemente come una “sciocchezza”.
Mi ero già occupato della questione del Papa emerito su questo blog il 10 marzo 2013. Sono passati piú di tre anni, ma oggi riscriverei le stesse cose. Semmai, aggiungerei una precisazione (che a me sembra importante e che avevo fatto alla Nuova BQ, ma che poi non è stata pubblicata): personalmente non considererei il “Papa emerito” una “nuova istituzione” (espressione usata prima da Papa Francesco e poi ripresa da Mons. Gänswein nel suo discorso). Non sono un canonista, ma non mi pare che il concetto di “istituzione” si possa applicare al Papa emerito (cosí come non si può applicare ai Vescovi emeriti): il papato è un’istituzione; “Papa emerito” è solo un titolo onorifico, senza alcuna valenza giuridica. Recita il can. 185: «A colui che perde l’ufficio per raggiunti limiti d’età o per rinuncia accettata, può essere conferito il titolo di emerito» (si noti che si perde l’ufficio e rimane il titolo).
Ho detto che ho risposto alle domande nell’unico modo in cui si poteva rispondere, seguendo i sani principi della logica, della teologia e del diritto. Ma ciò non significa che le parole del Prefetto della Casa pontificia non siano state, e tuttora rimangano, anche per me per nulla rassicuranti. Che cosa intendeva dire Mons. Gänswein? Le sue affermazioni sulla “dimensione collegiale e sinodale” del munus petrinum, sul “ministero in comune” o “allargato” con un membro attivo e uno contemplativo, da un punto di vista teologico e canonico, non stanno né in cielo né in terra. Ma qualcuno ha voluto vedere in esse una specie di linguaggio cifrato, usato per comunicarci che Benedetto XVI è ancora Papa, Papa effettivo.
Personalmente, non sono avvezzo ai messaggi in codice e preferisco che si dica pane al pane e vino al vino («Sia il vostro parlare: “Sí, sí”, “No, no”; il di piú viene dal Maligno», Mt 5:37). Ma capisco che, se ci fosse qualche gravissimo motivo che abbia in qualche modo costretto Benedetto XVI a rassegnare le dimissioni, è ovvio che non lo si può dire apertamente. Ma allora, penso io, sarebbe meglio tacere, e non lasciarsi andare a divagazioni pseudoteologiche, che servono solo a creare confusione (come se non ce ne fosse già abbastanza…).
Se devo essere sincero, c’è un passaggio del discorso di Mons. Gänswein che mi sembra particolarmente inquietante:
«Non è necessario qui che mi soffermi su come egli [= Benedetto XVI], che era stato tanto colpito dall’improvvisa morte di Manuela Camagni, piú tardi soffrí anche per il tradimento di Paolo Gabriele, membro anche lui della stessa “Famiglia pontificia”. E tuttavia è bene che io dica una buona volta con tutta chiarezza che Benedetto alla fine non si è dimesso a causa del povero e mal guidato aiutante di camera, oppure a causa delle “ghiottonerie” provenienti dal suo appartamento che nel cosí detto “affare Vatileaks” circolarono a Roma come moneta falsa ma furono commerciate nel resto del mondo come autentici lingotti d’oro. Nessun traditore o “corvo” o qualsivoglia giornalista avrebbe potuto spingerlo a quella decisione. Quello scandalo era troppo piccolo per una cosa del genere e tanto piú grande il ben ponderato passo di millenaria portata storica che Benedetto XVI ha compiuto».
Siamo tutti convinti che Papa Benedetto non si è dimesso per Vatileaks. Scrivere però che «quello scandalo era troppo piccolo per una cosa del genere», lo dico francamente, non ci rasserena per niente. Papa Benedetto aveva cosí giustificato le sue dimissioni:
«Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono piú adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato» (Dichiarazione dell’11 febbraio 2013).
Sinceramente, in tale giustificazione io non vedo nulla di “grande”; anzi mi sembra anch’essa molto “piccola”, nel senso di molto umana, pratica, concreta. Non vorrei essere frainteso: si tratta di una giustificazione comprensibilissima e rispettabilissima, ma pur sempre umana, priva delle dimensioni metafisiche («ben ponderato passo di millenaria portata storica») che Mons. Gänswein vorrebbe attribuirgli.
Se invece, nel definire lo scandalo Vatileaks “troppo piccolo”, si voleva insinuare che ci furono motivi piú gravi che indussero Papa Benedetto alla rinuncia, è un’altra questione, che preferisco non prendere in considerazione. In ogni caso, si tenga presente che:
a) se (e sottolineo “se”) le dimissioni di Benedetto XVI non sono state libere, esse non sono valide (can. 332 § 2: «Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti»);
b) se le dimissioni di Benedetto XVI non sono valide, tutti gli atti che sono seguiti sarebbero a loro volta nulli;
c) anche in tal caso, però, il Papa continuerebbe a essere uno solo.
Tertium (il pontificato collegiale, sinodale, in comune o allargato, che dir si voglia) non datur.
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