Di ecumenismo, confesso, mi sono sempre interessato poco. Anche nel caso del concilio (che doveva essere panortodosso) in corso in questi giorni a Creta, non ho seguito molto le vicende che hanno portato al suo fallimento, prima ancora che iniziasse, per l’assenza delle delegazioni di Antiochia, Georgia, Bulgaria e Mosca. Un tempo mi sarei rallegrato di questo insuccesso (ché di questo si tratta, a prescindere dalle conclusioni a cui giungerà l’incontro, dal momento che esse saranno comunque non vincolanti) perché dimostra l’incapacità dell’Ortodossia di raggiungere un qualsiasi consenso dopo lo scisma con Roma. Oggi mi rallegro dello smacco per altri motivi, che sono quelli esposti nelle riflessioni che un amico ha pubblicato su Facebook e che mi pare utile condividere con voi.
“W il primato”, mi ha scritto in questi giorni un confratello. Una volta avrei sottoscritto senza esitazione; oggi avrei qualche perplessità: ciò che doveva essere la nostra forza, si sta rivelando la nostra debolezza; mentre, al contrario, ciò che appariva finora il punto debole dell’Ortodossia sembrerebbe risultare il segreto della sua vitalità. Nell’assalto del mondo contro la Chiesa, il sistema immunitario delle comunità ortodosse dà l’impressione di essere piú efficiente di quello della Chiesa cattolica. È troppo forte il fascino che il mondo esercita sulle élites che detengono il potere, nella società come nella Chiesa. Piú resistenti sono gli anticorpi presenti nella “base”, della società come della Chiesa. È ovvio che in un sistema “sinodale” come quello ortodosso le difese immunitarie abbiano maggior possibilità di reagire. Non nascondo un pizzico di invidia. Resta la speranza che lo Spirito, nella sua fantasia talvolta bizzarra, sappia trovare anche per la Chiesa cattolica il modo di farla reagire alla lenta e inarrestabile resa di fronte al mondo.
“W il primato”, mi ha scritto in questi giorni un confratello. Una volta avrei sottoscritto senza esitazione; oggi avrei qualche perplessità: ciò che doveva essere la nostra forza, si sta rivelando la nostra debolezza; mentre, al contrario, ciò che appariva finora il punto debole dell’Ortodossia sembrerebbe risultare il segreto della sua vitalità. Nell’assalto del mondo contro la Chiesa, il sistema immunitario delle comunità ortodosse dà l’impressione di essere piú efficiente di quello della Chiesa cattolica. È troppo forte il fascino che il mondo esercita sulle élites che detengono il potere, nella società come nella Chiesa. Piú resistenti sono gli anticorpi presenti nella “base”, della società come della Chiesa. È ovvio che in un sistema “sinodale” come quello ortodosso le difese immunitarie abbiano maggior possibilità di reagire. Non nascondo un pizzico di invidia. Resta la speranza che lo Spirito, nella sua fantasia talvolta bizzarra, sappia trovare anche per la Chiesa cattolica il modo di farla reagire alla lenta e inarrestabile resa di fronte al mondo.
Q
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Cosa fa Dio, quando la Chiesa gli chiede lo Spirito? Glielo dona. Cosí, gratuitamente. Dio è molto semplice. Dio non è avaro. Dio non ha tesori gelosi da custodire. Quel che ha lo dà. Cosí come è, si dà. Ma lo sa, la Chiesa, quel che invoca e quel che riceve?
Lo Spirito non è il Logos, non è un’istanza ordinatrice. Non si conosce da dove viene né dove va. È la mano sinistra del Grande Prestigiatore, quella che estrae invisibile le carte truccate dalle maniche mentre il pubblico è incantato dall’abilità della destra. È la divina ubriachezza, è la grazia immeritata, è il caos deterministico. È la colomba, ma ancora piú il vento: quel Libeccio che sferza da anni le vecchie mura del cosmo, che fa impazzire le bussole e che confonde il calcolo dei dadi, che spezza le mani dell’arenaria e che sconvolge i libri d’ore nei solai, per usare le immagini di Montale.
La Chiesa ha invocato lo Spirito sul Santo e Grande Sinodo. E lo Spirito è sceso e si è manifestato: nel suo classico, non addomesticabile, imprevedibile modo. A lungo ha soffiato fra i rami delle alte foreste e dei contorti cespugli dell’Athos, infilandosi tra i muri degli eremi e dei grandi monasteri, e incendiando le menti dei monaci di santo e incomprensibile delirio. Ed essi sono stati i primi a intonare un canto intriso di fiduciosa angoscia. Lo si sente da mesi. Questa perturbante melopea confesso di non averla finora mai compresa. Pur rispettandone e venerandone la sorgente, mi è sempre parsa rozza, brutale, fastidiosa: perché preoccuparsi, proprio quando le persone cominciano a guardarsi e a parlarsi? Solo adesso comincio a decifrarne qualche frammento, a riconoscerne il Divino Ispiratore.
Ma se il medesimo Divino Ispiratore fosse anche dietro la tracotanza russa, dietro il cuore duro e la dura cervice dei bulgari e dei georgiani, dietro le controversie giurisdizionali sul Qatar che armano l’una contro l’altra nientedimeno che Gerusalemme e Antiochia? Se soprattutto fosse nel doloroso sconcerto, nella cocente delusione, nella misteriosa ostinazione del Patriarca Bartolomeo, solo e chiuso nel Fanar come in una città proibita in mezzo al mondo ormai irrimediabilmente trasformato, o meglio solo ed esposto nel Fanar, senza lo scudo, la cintura, la corazza della fede accesa di un popolo.
Pare che uno dei problemi — pensate — sia stata la disposizione delle sedie nella sala. Mosca voleva il cerchio, Costantinopoli due file affrontate, col Patriarca al centro a presiedere. Veramente si crede che tutto questo possa essere opera umana? Puerilità simili tradiscono una mano ironicamente divina.
Lo Spirito è disceso e ha trovato la Sposa sul punto di concedersi al Mondo. E no, non poteva lasciargliela. L’ha abbracciata stretta: e per alcuni quest’abbraccio è stato dolore, per altri delirio, per alcuni indurimento, per altri fallimento, per alcuni capriccio di bimbo, per altri lamento di vecchio, per alcuni rabbia, per altri farsa, per tutti stupore. L’abbraccio è stato cosí intenso da fare impazzire la Sposa. Impazzire: cioè frammentarsi in piccoli pezzi irrelati. Con i molti che non andranno a Creta, e hanno ovviamente torto, ma anche ragione. E con i pochi che a Creta ci saranno, e hanno ovviamente ragione, ma anche torto. Beve dunque fino alla feccia la coppa della propria umiliazione, viene mostrata nuda a tutti. La folle nudità della Sposa ha fatto retrocedere coloro che già pregustavano di saccheggiare il tesoro del Re assente. Vedrete, fuggiranno tutti, nessuno piú la vorrà. Dopo averla giudicata severamente, dopo averla irrisa, dopo averla ritenuta impresentabile in società, la ignoreranno e infine la dimenticheranno. Come una novella Psiche, la Sposa dovrà separare i mucchietti dell’immenso granaio, raccogliere la lana dorata sul vello delle pecore feroci, attingere acqua dalla sorgente delle vertigini, e infine discendere agli inferi, e tutti sanno che per discendere agli inferi bisogna prima morire.
E tuttavia non è forse questa sua sorte infinitamente preferibile al diventare prostituta del Mondo, sua conquista, suo vanto, suo trastullo, comprata con le perline colorate della firma concorde di qualche documento troppo saggio per essere santo, di qualche abbraccio pontificio troppo amichevole per essere fraterno, di qualche apparizione troppo smagliante per essere luminosa sui palcoscenici della contemporaneità? Segno di contraddizione essa resterà invece, pietra di inciampo resterà, custodita dalle liti, goffa e impacciata nei suoi poveri stracci d’oro, luce e madre per gli amanti e per i dolenti.
Leonardo Lenzi