mercoledì 16 novembre 2016

Pericolosa polarizzazione



Lunedí scorso, 14 novembre, è stata resa nota la lettera con cui quattro Cardinali (Walter Brandmüller, Raymond L. Burke, Carlo Caffarra e Joachim Meisner) chiedono a Papa Francesco di dirimere le incertezze sorte dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica Amoris laetitia, dando risposta a cinque dubia allegati. In un paio di giorni sono stati versati fiumi di inchiostro sull’iniziativa dei quattro Porporati; inutile, quindi, ripetere cose che sono state già dette. Volevo solo evidenziare un aspetto che mi sembra sfuggito ai piú.

Ho avuto l’impressione che, in genere, i commentatori abbiano presentato gli estensori della lettera come ancora in attesa di una risposta del Papa (e quindi, si potrebbe supporre, abbiano pubblicato la lettera, in qualche modo, per “costringere” il Papa a dare una risposta). Lo stesso Magister, nell’inquietante post di ieri sul suo blog, si esprime nei seguenti termini:
I quattro cardinali … hanno aspettato invano per quasi due mesi che il papa rispondesse all’appello. E c’è chi prevede che nemmeno da qui in avanti Francesco romperà il suo silenzio.
Anch’io, in un primo momento, avevo interpretato l’iniziativa in questo senso; ma poi, rileggendo il testo della lettera, ho capito che forse le cose sono andate diversamente. I Cardinali non stanno ancora aspettando una risposta del Papa alla loro lettera (se cosí fosse, molto probabilmente non l’avrebbero pubblicata); una risposta — non saprei dire in quale forma — devono averla già ricevuta; ed essa consiste nel fatto che il Papa non risponderà ai loro quesiti. Solo questo possono significare le seguenti parole, contenute nella “premessa” alla lettera:
Il Santo Padre ha deciso di non rispondere. Abbiamo interpretato questa sua sovrana decisione come un invito a continuare la riflessione e la discussione, pacata e rispettosa.
“Il Santo Padre ha deciso di non rispondere”. Una decisione — giustamente definita “sovrana” dai Porporati — dunque c’è stata: il Papa non risponderà ai dubia. Inutile quindi continuare ad attendere una risposta che non verrà. Di qui la decisione di pubblicare la lettera.

Tale decisione di Papa Francesco non meraviglia. Non solo perché finora si è sempre comportato allo stesso modo in situazioni analoghe; ma perché rifiuta, per principio, questo modo di procedere. Accettare di rispondere ai dubia proposti dai Cardinali significherebbe accettare una visione della Chiesa e del ministero papale, che non è sua. Lo ha già espresso chiaramente piú volte. Nella intervista rilasciata a Padre Spadaro all’inizio del pontificato, affermava:
Se il cristiano è restaurazionista, legalista, se vuole tutto chiaro e sicuro, allora non trova niente. La tradizione e la memoria del passato devono aiutarci ad avere il coraggio di aprire nuovi spazi a Dio. Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla “sicurezza” dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva. E in questo modo la fede diventa una ideologia tra le tante (La Civiltà Cattolica, n. 3918, 19 settembre 2013, pp. 469-470)
Un concetto ripreso nell’esortazione apostolica Amoris laetitia
Comprendo coloro che preferiscono una pastorale piú rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesú vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, «non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada» [Evangelii gaudium, n. 45] (n. 308).
Come si può vedere, ci troviamo di fronte a due concezioni di Chiesa e di pastorale antitetiche: da una parte c’è chi ritiene che la Chiesa sia tenuta a “fare chiarezza”, a mostrare ai fedeli quale sia la verità da seguire; dall’altra, chi invece ritiene che la Chiesa debba essere un “ospedale da campo”, dove si curano le ferite dei fedeli, mostrando loro la propria vicinanza, senza preoccupazioni di carattere legalistico; da una parte c’è chi considera dovere pastorale della Chiesa insegnare, cosí com’è, la dottrina rivelata; dall’altra, chi propugna come unici atteggiamenti pastorali accettabili l’accoglienza, l’accompagnamento, il discernimento e l’integrazione. Che nella Chiesa ci siano sempre state sensibilità diverse, è un dato di fatto e non meraviglia; ma ho l’impressione che ci troviamo di fronte a una polarizzazione di posizioni non solo diverse, ma alternative e tra loro inconciliabili.

Papa Bergoglio, nella conversazione con Padre Spadaro introduttiva al volume Nei tuoi occhi è la mia parola, sembrerebbe giustificare l’esistenza di “opposizioni” nella Chiesa (e non potrebbe essere altrimenti per chi si è formato alla scuola di Romano Guardini):
Le opposizioni aiutano. La vita umana è strutturata in forma oppositiva. Ed è quello che succede adesso anche nella Chiesa. Le tensioni non vanno necessariamente risolte ed omologate, non sono come le contraddizioni.
Nella citata intervista alla Civiltà Cattolica, troviamo diverse espressioni, che fanno da supporto spirituale a questa visione di Papa Francesco:
Solamente nella narrazione si può fare discernimento, non nella esplicazione filosofica o teologica, nelle quali invece si può discutere (p. 455); Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia (p. 468); Dio lo si incontra camminando, nel cammino … Dio è sempre una sorpresa, e dunque non sai mai dove e come lo trovi, non sei tu a fissare i tempi e i luoghi dell’incontro con lui (p. 469); Dio si è rivelato come storia, non come un compendio di verità astratte (p. 474).
Personalmente, mi trovo abbastanza d’accordo con Papa Bergoglio sull’utilità — e l’inevitabilità — delle opposizioni (semmai ci sarebbe da conciliare questa posizione, autenticamente guardiniana, con il secondo postulato esposto in Evangelii gaudium, nn. 226-230: “l’unità prevale sul conflitto”). Sono d’accordo che “le tensioni non vanno necessariamente risolte ed omologate”; sono convinto che le differenze non debbano essere cancellate, ma semmai valorizzate; ma sono altrettanto convinto che le opposizioni — e, a maggior ragione, la loro polarizzazione — non vadano favorite né, tanto meno, alimentate, quanto piuttosto “gestite” e “composte” in una superiore (“superiore” in senso spirituale, non in  senso hegeliano) unità. Come ricordavo in un recente post, scopo dell’autorità è la salvaguardia della pace e dell’unità: essa non dovrebbe mai schierarsi apertamente con una delle parti in gioco, e dovrebbe piuttosto svolgere un ruolo di mediazione; in caso contrario, le conseguenze potrebbero rivelarsi devastanti.

Qualcuno è convinto che siamo alle soglie di uno scisma. In effetti, alcuni segnali potrebbero indurre a pensarlo. Speriamo e preghiamo perché ciò non avvenga. In ogni caso, ritengo che anche la sola ipotesi che possa avvenire solleva qualche dubbio sulla validità della “riforma” della Chiesa in corso.
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