mercoledì 4 gennaio 2017

Modi diversi di vivere la tradizione




Questo blog (nato col titolo Senza peli sulla lingua e trasformatosi dal giugno scorso in Antiquo robore) ha avuto tre fasi: la prima, la piú lunga e la piú prolifica (359 post), va dalla sua nascita (gennaio 2009) fino al luglio 2011; la seconda è stata la piú breve (si è limitata a pochi mesi del 2013, tra marzo e maggio, con un occasionale sconfinamento nel mese di ottobre) e la meno feconda (8 post); la terza è quella attuale: iniziata un anno fa (gennaio 2016), ha finora prodotto 100 post (c’è però da dire che piú della metà di essi è costituito dalle mie omelie domenicali).

Uno degli argomenti maggiormente trattati nei post della prima fase (ma totalmente trascurato nelle fasi successive) era la riconciliazione con la “Fraternità sacerdotale San Pio X” (FSSPX). Anzi, direi che il blog è nato proprio in seguito a un evento che vedeva coinvolti appunto i seguaci di Mons. Lefebvre: la revoca della scomunica ai quattro Vescovi della Fraternità e le polemiche che ne erano derivate, in particolare la dichiarazione dell’Episcopato tedesco, che chiedeva ai quattro Vescovi di manifestare «in modo inequivocabile e credibile la loro fedeltà al Concilio Vaticano II e in particolare alla dichiarazione Nostra Aetate» (si veda il primo post del 30 gennaio 2009). Seguirono una ventina di interventi in cui si cercava di dimostrare che un accordo con la FSSPX era molto piú semplice di quanto non sembrasse. In maniera volutamente scherzosa, provai a esporre la mia posizione nel post del 18 marzo 2009: praticamente sostenevo che, a mio modesto parere, per ristabilire la piena comunione della FSSPX con la Chiesa cattolica bastava esigere l’emissione della professione di fede (posizione confermata e precisata nei post dell’11 settembre 2010 e del 13 settembre 2010). Si preferí percorrere un’altra via, quella dei “colloqui dottrinali”. S’è visto com’è andata a finire.

Nel frattempo c’è stata l’elezione di Papa Francesco, che ha riacceso le speranze per una composizione della frattura, che sembravano essersi ormai spente. Per due serie di motivi: primo, perché l’attuale Pontefice è, per natura, portato a non dare troppo peso alle questioni dottrinali; secondo, perché, come Arcivescovo di Buenos Aires e Primate argentino, ha sempre intrattenuto buoni rapporti con la Fraternità, al punto da non negare l’endorsement per il suo riconoscimento civile. Mons. Bernard Fellay ha avuto modo di incontrarsi personalmente, seppur in modo non ufficiale, con Papa Bergoglio. In questo nuovo clima va inquadrato anche l’atteggiamento piú conciliante assunto dalla Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” sulle questioni dottrinali. Particolarmente significative al riguardo mi sembrano le diverse interviste di Mons. Guido Pozzo, tra le quali si segnalano quella rilasciata a Famille Chrétienne il 20 ottobre 2014 (tradotta in italiano dal sito Una Vox) e quelle rilasciate all’agenzia ZENIT nell’anno appena concluso (28 febbraio 2016 e 8 aprile 2016). Praticamente in queste interviste, a proposito dell’interpretazione del Concilio, il Segretario di “Ecclesia Dei” sostiene una tesi assai simile a quella da me esposta nell’articolo Concilio e “spirito del Concilio” e, come unico punto “non negoziabile” nelle trattative per giungere a un riconoscimento canonico, indica… «l’adesione alla Professio fidei»! Probabilmente se, invece di inoltrarsi in estenuanti e inconcludenti “colloqui dottrinali” e pretendere dai lefebvriani un’incondizionata adesione al Vaticano II, si fosse adottata sin dall’inizio una posizione del genere, a quest’ora la FSSPX sarebbe già un’istituzione (prelatura, ordinariato o quel che sia) della Chiesa cattolica.

Naturalmente non tutti, tanto fra i progressisti quanto fra i tradizionalisti, vedono di buon occhio una eventuale riconciliazione. Certamente non si possono ignorare i possibili rischi di un riconoscimento canonico nell’attuale momento; d’altra parte non sembra proprio il caso di lasciarsi sfuggire un’occasione piú unica che rara. Personalmente, per tanti motivi, avrei preferito che l’accordo fosse raggiunto durante il pontificato di Benedetto XVI. Ma il fatto che ciò non sia avvenuto insegna che in genere ci si dovrebbe muovere con maggiore libertà e ci si dovrebbe lasciar guidare esclusivamente da fattori oggettivi, senza farsi condizionare dalle reazioni che determinate decisioni potrebbero provocare (per cui si finisce per chiedere ai lefebvriani piú del necessario, solo per evitare di essere poi accusati di eccessiva arrendevolezza). Molti, nella FSSPX o da essa fuoriusciti, accusano la Fraternità di cedimento e di deriva liberale. In uno di questi episodi mi sono trovato coinvolto personalmente. Sul sito Non possumus della “Società sacerdotale degli Apostoli di Gesú e Maria”, appartenente alla cosiddetta “Resistenza cattolica” (il movimento creato da Mons. Richard Williamson dopo la sua espulsione dalla FSSPX), è apparso recentemente un post a proposito di «Un articolo “politicamente corretto” di DICI sui dubia dei quattro Cardinali». Nell’articolo in questione, pubblicato sul sito DICI il 24 novembre 2016, l’autore, l’Abbé Alain Lorrans, a un certo punto scriveva:
Au fond, comme le dit un bon analyste de la crise présente, on voit deux conceptions de l’Eglise s’affronter : « D’un côté il y a ceux qui considèrent qu’il est du devoir pastoral de l’Eglise d’enseigner la doctrine révélée, telle qu’elle est ; de l’autre, ceux qui préconisent comme unique attitude pastorale acceptable, l’accompagnement, le discernement et l’intégration ». 
Ebbene, quelli di Non possumus si son sentiti in dovere di smascherare l’anonimo “analista” citato dall’Abbé:
¿Quién es este “buen analista de la crisis presente”? Se trata del P. Giovanni Scalese, un liberal moderado perteneciente al clero oficial.
A tale rivelazione hanno fatto seguire un florilegio di mie “buone analisi”, per dimostrare appunto la deriva liberale della FSSPX. Ecco, mi sembra che ci troviamo di fronte a un chiaro esempio di due diversi modi di essere tradizionalisti: un modo intelligente e un modo contrassegnato da grettezza mentale. Pur non essendo io un lefebvriano (ma neppure un “liberale”, seppur “moderato”), ho sempre nutrito rispetto e stima per Mons. Lefebvre e la Fraternità da lui fondata, perché ritengo che abbiano svolto — e continuino a svolgere — un ruolo importante nella Chiesa, quello di richiamare tutti alla tradizione, spesso trascurata in questi anni; e per questo ho sempre auspicato una riconciliazione. Devo dire che il mio rispetto e la mia stima sono stati ampiamente ricambiati. Quando pubblicai l’articolo Concilio e “spirito del Concilio”, esso fu ripreso su La Porte Latine. Nel messaggio che mi inviarono per comunicarmi l’avvenuta pubblicazione definirono il testo “très interéssant”. Quando, lo scorso anno, uscí l’esortazione apostolica Amoris laetitia, la FSSPX diffuse una dichiarazione, nella quale si riprendevano, con tanto di virgolettato, diversi passaggi del mio post del 14 aprile 2016. Ora, nel sito ufficiale della Fraternità, il riferimento alle mie “analisi” sulla crisi della Chiesa (per inciso, la frase citata nell’articolo dell’Abbé Lorrans è ripresa dal post del 16 novembre 2016). Il fatto che i lefebvriani si trovino spesso d’accordo su pensieri espressi da un “liberale moderato appartenente al clero ufficiale” dimostra che anche loro, ormai, sono irrimediabilmente persi? Secondo me, dimostra semplicemente che sono intelligenti e senza complessi, che sanno ancora ragionare con la loro testa, sono aperti alla verità dovunque essa si trovi e non sono ancora diventati vittime dell’ideologia. Questo dimostra anche che, se da parte della Chiesa cattolica non si fossero assunti atteggiamenti, diciamo pure, “ideologici”, non solo a quest’ora lo “scisma” sarebbe già rientrato, ma probabilmente non sarebbe mai avvenuto. Quando c’è chiarezza e rigore sui principi e disponibilità sulle questioni pratiche; quando c’è apertura mentale e buona volontà; quando c’è piena consapevolezza della propria identità e tolleranza verso le legittime diversità, un accordo prima o poi lo si trova, pur conservando ciascuno la propria specificità (che a quel punto non è piú un motivo di conflitto, ma una ricchezza per tutti).

Purtroppo, non sempre si incontra tale apertura alla verità («Omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est»), ma ci si imbatte spesso in menti anguste e ottenebrate dall’ideologia (anche la tradizione, male interpretata, può trasformarsi in ideologia!). Ed è cosí che non interessa se un’affermazione sia giusta o sbagliata in sé, ma importa di piú chi l’ha pronunciata (contraddicendo in tal modo la saggia ammonizione dell’Imitazione di Cristo: «Non quæras quis hoc dixerit, sed quid dicatur attende»). Cosa può venire di buono da un “liberale moderato appartenente al clero ufficiale”? Sembra di sentire Natanaele: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?». Il bello è che certi atteggiamenti di chiusura non si rinvengono solo fra chi è di fatto fuori della Chiesa, ma anche fra certi tradizionalisti di casa nostra. Quando appunto pubblicai i miei dieci punti sull’Amoris laetitia Salutare autocritica»), mentre i lefebvriani vi trovarono alcuni spunti degni di essere ripresi nella loro dichiarazione ufficiale, qualche cattolicone de noantri ebbe da ridire sul fatto che in quel post, per criticare l’esortazione apostolica, si era fatto ricorso al Concilio!

Non sono pochi i cattolici tradizionalisti che, di fronte alla crisi senza precedenti che sta attraversando la Chiesa, anziché indignarsi, preferiscono rimarcare, con distacco e una certa superiorità: “Perché meravigliarsi? Quanto sta accadendo non è altro che la naturale conseguenza del Vaticano II. Il male non è ciò che oggi si sta verificando, ma il Concilio che ha posto le premesse perché questo avvenisse”. Dimenticando che fra il Concilio e noi ci sono cinquant’anni, durante i quali i Papi che si sono succeduti sulla cattedra di Pietro hanno dimostrato che non è vero che dal Concilio debba necessariamente derivare il sovvertimento della Chiesa e della sua dottrina. Per limitarci all’ambito morale, chi ha scritto l’Humanae vitae o la Familiaris consortio, a cui oggi ci si appella per confutare Amoris laetitia? Forse Pio XII? O non piuttosto due Papi “conciliari”, che evidentemente non avevano trovato nel Vaticano II motivi che li portassero alle conclusioni di Amoris laetitia? Chi assume nei confronti del Concilio un atteggiamento di totale rifiuto non è poi cosí diverso da chi lo considera un “superdogma”, del quale non è lecito mettere in discussione neppure una virgola. Come in tutte le cose, esiste una via di mezzo — su cui, a quanto pare, si trovano d’accordo anche i lefebvriani — per la quale il Vaticano II va preso per quello che è, e cioè un Concilio (quindi un’espressione solenne del magistero ecclesiastico, a cui è dovuta la massima attenzione) “pastorale” (e quindi con tutti i limiti che questo comporta). Il Vaticano II non va né respinto in blocco né assolutizzato. Nei confronti del Concilio va assunto quell’atteggiamento rispettosamente critico che, accanto a una generale accettazione, non esclude la possibilità di discutere su alcune questioni che non possono essere considerate definitivamente chiuse. Se Mons. Lefebvre firmò tutti i documenti conciliari, significa che non vi rinveniva alcuna eresia; sicuramente si rendeva conto dell’ambiguità di certe espressioni, ma evidentemente era convinto che di quei testi si potesse dare un’interpretazione ortodossa. Se a un certo punto cambiò atteggiamento, si può pensare che lo fece perché ebbe l’impressione — certamente non infondata — che nella Chiesa stesse avendo il sopravvento una interpretazione errata del Concilio. Ma se la Chiesa dichiara autorevolmente qual è l’interpretazione corretta (e Benedetto XVI, irresponsabilmente disatteso, lo fece nel discorso del 22 dicembre 2005, e ora Mons. Pozzo completa quella prospettiva con alcune importanti precisazioni), perché continuare a scaricare sul Concilio colpe che non ha?
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