La settimana scorsa il Prof. Roberto de Mattei ha pubblicato sull’agenzia
d’informazione Corrispondenza Romana, un breve articolo dal titolo “Il Concilio Vaticano II e il messaggio di
Fatima”, nel quale, prendendo spunto da un recente intervento di Mons.
Athanasius Schneider, ribadisce la propria posizione sul Concilio Vaticano II,
per poi soffermarsi su un punto specifico: la mancata consacrazione della
Russia al Cuore immacolato di Maria, richiesta dalla Vergine a Fatima e
sollecitata, durante il Concilio, da un gruppo di oltre cinquecento Presuli, la
cui petizione fu totalmente ignorata da Paolo VI e dalla maggioranza dei Padri.
Non intendo attardarmi su quest’ultimo aspetto, a proposito del quale mi
trovo pienamente d’accordo col prof. De Mattei. Il Concilio Vaticano II
sembrerebbe davvero una sequela di occasioni mancate: dalla mancata condanna
del comunismo alla mancata consacrazione della Russia. Va detto però che la
storia non si fa con i “se”; non ci si aspetterebbe di leggere da uno storico
una frase del genere: «Se la consacrazione richiesta fosse stata fatta, una
pioggia di grazie sarebbe caduta sull’umanità». Sarà anche vero, ma la
consacrazione… non è stata fatta. E questo è l’unico dato storico che conta.
Vorrei invece soffermarmi sulla prima parte dell’articolo, quella in cui si
riprende la spinosa questione del giudizio da dare sul Concilio Vaticano II. La
posizione del prof. De Mattei in proposito è nota: il suo giudizio — che è il
giudizio di uno storico — è «impietoso e senza appello». Esso può essere
riassunto nella frase:
Il Concilio Vaticano II non fu solo un Concilio mancato o fallito [è evidente il riferimento alla posizione di Mons. Brunero Gherardini, N.d.R.], fu una catastrofe per la Chiesa.
La novità di quest’ultimo intervento del Professore mi pare che vada
ricercata nel fatto che mentre in precedenza (questa è per lo meno la mia
impressione, ma potrei sbagliarmi) escludeva la possibilità di una qualsiasi
altra valutazione accanto a quella storica, ora sembrerebbe ammetterla.
Nell’articolo si distingue chiaramente fra due piani, quello teologico e quello
storico. La differenza fra i due livelli starebbe nel fatto che, mentre sul
piano teologico il giudizio può essere articolato («Ogni testo, per il teologo,
ha una diversa qualità e un diverso grado di autorità e di cogenza»), sul piano
storico invece
il Vaticano II costituisce un blocco non scomponibile: ha una sua unità, una sua essenza, una sua natura. Considerato nelle sue radici, nel suo svolgimento e nelle sue conseguenze, esso può essere definito una Rivoluzione, nella mentalità e nel linguaggio, che ha profondamente modificato la vita della Chiesa, avviando una crisi religiosa e morale senza precedenti.
Di qui il giudizio negativo inappellabile su riportato.
Anzi, il Prof. De Mattei nel suo intervento non si limita ad ammettere un
diverso approccio al Vaticano II, ma sembrerebbe addirittura incoraggiarlo:
Sul piano teologico, tutte le distinzioni possono e debbono essere fatte per interpretare i testi del Vaticano II, che è stato un Concilio legittimo: il ventunesimo della chiesa cattolica. I suoi documenti potranno di volta in volta essere definiti pastorali o dogmatici, provvisori o definitivi, conformi o difformi alla Tradizione … Il dibattito è dunque aperto.
Se ben ricordo, fino a qualche tempo fa non era questa la posizione del
Prof. De Mattei. Facendo propria (sebbene dalla sponda opposta) la nota tesi —
squisitamente ideologica — della Scuola di Bologna, egli sembrava svalutare
completamente i documenti del Concilio, per dare importanza
esclusivamente all’evento conciliare. Non è poco riconoscere la
legittimità del dibattito teologico sui testi conciliari e ammettere che da un
suo fruttuoso svolgimento potrebbe dipendere la soluzione alla questione
lefebvriana.
Personalmente sono sempre stato convinto dell’utilità e della necessità di
una riflessione teologica spassionata sul Concilio Vaticano II (si veda l’articolo
con cui si apriva questo blog nel lontano 2009: Concilio e “spirito delConcilio”). Questo senza nulla togliere all’importanza dell’approccio
storico. Il libro del Prof. De Mattei Il Concilio Vaticano II. Una storia
mai scritta (Lindau, Torino, 2010) rimane, a mio parere un punto di
riferimento imprescindibile per ricostruire la dinamica dei fatti: è doveroso
sapere come andarono veramente le cose. Come è giusto prendere serenamente atto
degli effetti negativi del Concilio nella vita della Chiesa. Nell’articolo del
2009 li descrivevo, senza falsi pudori, nei termini seguenti:
La riforma liturgica ha rese deserte le chiese; il rinnovamento della catechesi ha diffuso l’ignoranza religiosa; la revisione della formazione sacerdotale ha svuotato i seminari; l’aggiornamento della vita religiosa sta mettendo a rischio l’esistenza di molti istituti; l’apertura della Chiesa al mondo, nonché favorire la conversione del mondo, ha significato la mondanizzazione della Chiesa stessa.
Si tratta di dati storici difficilmente controvertibili. Dobbiamo però
chiederci: tale spregiudicata costatazione dei fatti giustifica il giudizio storico
«impietoso e senza appello» del Prof. De Mattei? Il Vaticano II deve necessariamente
essere liquidato come una «catastrofe per la Chiesa»? Personalmente non lo credo.
E questo cercando di rimanere su un piano strettamente storico.
1. Non è storico affermare che il Concilio Vaticano II avrebbe avviato
una crisi religiosa e morale senza precedenti, ignorando — o fingendo di
ignorare — che tale crisi era già in corso da decenni, se non da secoli.
Presentare la Chiesa preconciliare come una Chiesa perfetta, dove tutto
procedeva senza problemi, è semplicemente falso. Senza imbarcarsi in lunghe e
impegnative ricerche, basta chiedersi: Da dove venivano fuori i teologi che, dentro
e fuori il Concilio, maggiormente spingevano per una radicale trasformazione
della Chiesa? Erano dei marziani? Non erano forse teologi che operavano liberamente già
prima del Concilio e si erano formati nei seminari e nelle facoltà
ecclesiastiche prima del Concilio? Ciò significa che certe idee già circolavano
nella Chiesa, tanto è vero che prima Pio X (enciclica Pascendi) e poi
Pio XII (enciclica Humani generis) avevano sentito il bisogno di intervenire
per cercare di porre freno a certe tendenze. Senza riuscirci. Si dirà: ma
almeno i Papi prima del Concilio si opponevano a quelle tendenze; il Vaticano
II le ha fatte proprie. Io vedrei la cosa in maniera diversa: il Concilio,
prendendo atto del fallimento dei precedenti interventi pontifici, ha tentato
una strada diversa, quella del “discernimento”: distinguere nelle tendenze
novatrici ciò che vi era di valido, per farlo proprio, e ciò che era erroneo,
per respingerlo.
2. Non è storico considerare nello svolgimento del Concilio solo le lotte
fra gli opposti schieramenti, i giochi di potere, i maneggi delle lobby, i
soprusi della presidenza, i compromessi al ribasso. Sono, questi, fatti storici
incontestabili; ma non sono gli unici. È storia anche lo sforzo di Paolo VI per
raddrizzare il Concilio; è storia anche l’impegno della maggioranza dei Padri
in quell’opera di discernimento di cui si diceva; sono storia anche i documenti
conclusivi del Concilio. Questi non possono essere situati in una dimensione
a-storica o meta-storica; sono talmente storici che possiamo ricostruirne la
genesi, fissarne il diverso valore teologico, evidenziarne i limiti, ecc.
3. Un atteggiamento veramente storico inoltre dovrebbe prendere in seria
considerazione la distinzione, fatta da Benedetto XVI nel suo ultimo incontro
col clero romano prima della rinuncia (14 febbraio 2013), fra “Concilio dei Padri” e “Concilio dei
media”, “Concilio reale” e “Concilio virtuale”; e verificarne i riflessi nella
realtà: quale di questi due “concili” ha avuto maggiore influsso nella vita
della Chiesa? Le conseguenze negative del “Concilio” sono da attribuire al Concilio
dei Padri o a quello dei media? In altre parole, ai documenti del Concilio o
allo “spirito del Concilio”? Queste sono domande a cui uno storico non può
sottrarsi. Qui non si sta parlando di quale interpretazione dare ai testi
conciliari — che è compito del teologo — ma si sta cercando di capire come sono
andate effettivamente le cose. E questo spetta esclusivamente allo storico, il
quale non può limitarsi a dire che il Concilio è stato una catastrofe, una
rivoluzione che ha avviato una crisi religiosa e morale senza precedenti. Si
tratta di una semplificazione assolutamente antistorica.
4. Non è storico, nell’esame del periodo postconciliare, considerare solo
gli evidenti e incontestabili disastri provocati da una malintesa applicazione
del Concilio. Va pure considerato lo sforzo di difesa e di ricostruzione operato
dai Pontefici postconciliari (Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI).
Questi hanno dato l’unica, legittima interpretazione del Concilio, hanno dato
attuazione alla sua opera riformatrice e si sono opposti ai tentativi di
sovvertire la Chiesa in nome del “Concilio”. I Papi che si sono succeduti negli
ultimi cinquant’anni, fra le nebbie che si sono diffuse dopo il Concilio, sono
stati dei fari che hanno indicato ai fedeli la rotta da seguire. Pur fra mille
difficoltà e contraddizioni — che non vanno nascoste, ma non devono meravigliare — hanno fatto chiarezza
su molti punti. Non che abbiano eliminato la confusione, ma hanno individuato
alcuni punti fermi, sui quali non era possibile continuare a discutere
indefinitamente.
Bene, siccome ai nostri giorni, uno dopo l’altro, si stanno rimettendo in
discussione proprio quei punti fermi, che sembravano ormai acquisiti; siccome
si sta smantellando tutto quanto si era ricostruito nel periodo postconciliare,
come se cinquant’anni fossero trascorsi invano; siccome si sta cercando di far
passare l’idea che il vero Concilio non è quello dei documenti, ma quello di un
non meglio precisato “spirito”, che continuerebbe ad agire nella Chiesa a prescindere
da qualsiasi criterio previamente dato; non credo che serva a nulla continuare
a polemizzare contro il Vaticano II, considerandolo come l’origine di tutti
mali della Chiesa; non credo che l’attuale situazione possa essere considerata
semplicisticamente come un “frutto” del Concilio. Anzi credo che sia giunto il
momento di cominciare a difendere il vero Concilio da chi pretende di farsene
abusivamente interprete, spacciando per “Concilio” ciò che ne è una
semplice caricatura. Credo che sia giunto il momento in cui i veri amanti della
tradizione incomincino a considerare il Vaticano II e il magistero
postconciliare come parte della tradizione (con tutti i possibili distinguo sul
piano teologico) e a difenderli in nome della tradizione. Pensare che la
tradizione si sia fermata al 1962 (o al 1958) significherebbe dare ragione a
quanti prima, durante e dopo il Concilio, fino ai nostri giorni, hanno cercato
e stanno cercando di sovvertire la Chiesa. Il Concilio, quello vero, non è
stato una rivoluzione, ma solo un tentativo, piú o meno riuscito, di rinnovare
la Chiesa nel solco della tradizione. La rivoluzione è quella che hanno cercato
e stanno cercando di imporre i modernisti di ieri e di oggi. Ad essi occorre opporsi
non solo in nome della tradizione, ma anche in nome dello stesso Concilio, che
di quella tradizione è parte integrante.
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