lunedì 11 dicembre 2017

Tradurre o interpretare?



Hanno fatto molto scalpore le dichiarazioni rilasciate da Papa Francesco durante il programma di TV2000 Padre nostro andato in onda mercoledí scorso 6 dicembre. «Non ci indurre in tentazione» non sarebbe, secondo il Pontefice, una buona traduzione:
Anche i francesi hanno cambiato il testo con una traduzione che dice non lasciarmi cadere nella tentazione, sono io a cadere, non è lui che mi butta nella tentazione per poi vedere come sono caduto, un padre non fa questo, un padre aiuta ad alzarsi subito.
Sembrerebbe che si tratti di una novità (l’unica vera novità è il fatto che dal 3 dicembre scorso, prima domenica di Avvento, in Francia è stata introdotta nella liturgia la nuova traduzione del Padre nostro: qui); in realtà, si tratta di una questione che si trascina da decenni.

Da un punto di vista filologico, Padre Zerwik (Analysis philologica Novi Testamenti graeci, Pontificio Istituto Biblico, 1953) scriveva a proposito del verbo greco originale εἰσενέγκῃς: «Congiuntivo aoristo secondo di εἰσ-φέρω, in-duco; anche in senso permissivo: “lascio entrare”: “fa’ che non entriamo”». Le varie traduzioni bibliche pubblicate negli ultimi decenni si sono sbizzarrite nel proporre nuove soluzioni.

In francese, la Bible de Jérusalem, nella sua prima (1956) e seconda (1973) edizione, riteneva la versione tradizionale («Et ne nous soumets pas à la tentation»), senza neppure aggiungere una nota esplicativa. La terza edizione (1998) invece ha tradotto: «Et ne nous laisse pas entrer en tentation», spiegando in nota:
Il senso permissivo del verbo aramaico, impiegato da Gesú, non è stato reso né dal greco né dalla Volgata, da qui la traduzione usuale «non ci indurre». Ma fin dai primi secoli molti manoscritti latini sostituivano Ne nos inducas con Ne nos patiari induci.
La TOB (1972), da parte sua, ha tradotto: «Et ne nous expose pas à la tentation», aggiungendo una lunga nota di commento, che può essere utilmente letta anche nell’edizione italiana (p. 2196). La nuova traduzione ufficiale della Bibbia in francese per l’uso nella liturgia nei paesi francofoni rende il testo, come la 3ª ed. della Bible de Jérusalem: «Et ne nous laisse pas entrer en tentation», che è appunto la traduzione introdotta una settimana fa nella liturgia.

In inglese, tanto la Douay-Rheims (cattolica) quanto la King James Version (protestante) avevano «And lead us not into temptation», traduzione conservata dalla Revised Standard Version e dalle sue “eredi” conservatrici English Standard Version (2001) e RSV-Second Catholic Edition (2006). Solo la progressista New Revised Standard Version (1990), anche nella sua edizione cattolica (1993), ha deciso di proporre una nuova traduzione: «And do not bring us to the time of trial». La New American Bible (Revised Edition, 1986) traduce: «And do not subject us to the final test», specificando in nota che «questa domanda chiede che ai discepoli sia risparmiata le prova finale». La ELLC (English Language Liturgical Consultation) nel 1988 pubblicò un nuovo testo “ecumenico” del Padre nostro (se c’era un testo ecumenico della preghiera del Signore, esso era proprio il testo tradizionale), in cui la nostra invocazione è tradotta, piuttosto liberamente, con «Save us from the time of trial». Nei paesi di lingua inglese (ma non in quelli di antica tradizione, che avevano sempre conservato la vecchia versione) fu successivamente adottata nella liturgia una nuova traduzione del Padre nostro, simile ma non identica a quella “ecumenica”, dove la sesta domanda suonava: «Do not bring us to the test». Tutto è cambiato con la pubblicazione del nuovo Messale in inglese (2011): ora, in tutti i paesi anglofoni, si è tornati a recitare la preghiera del Signore nella formula tradizionale.

In spagnolo pare (ma ne non sono sicuro) che abbiano sempre pregato il Padre nostro dicendo: «No nos dejes caer en la tentación». A mio parere, questa traduzione, piú che qualsiasi altra considerazione, spiega l’intervento di Papa Francesco. Si tenga però presente che nell’originale εἰσενέγκῃς è assente qualsiasi idea di “caduta”.

In italiano, la prima edizione della Bibbia della CEI (1974) conservava la versione tradizionale del Padre nostro. L’edizione del 2008 ha invece sentito il bisogno di modificarla, traducendo la sesta invocazione con un originale «E non abbandonarci alla tentazione». E, in tale forma, è entrata a far parte del nuovo lezionario (2009). Sicché, quando nella liturgia si legge Mt 6:7-15 (martedí della I settimana di Quaresima e giovedí dell’XI settimana del tempo ordinario), sentiamo quella traduzione. Nel post del 13 marzo scorso facevo notare il diverso trattamento riservato, a questo proposito, dalla Congregazione del culto divino al lezionario inglese e a quello italiano in base alle norme, allora in vigore, di Liturgiam authenticam.

Questa veloce carrellata di traduzioni dovrebbe dimostrare che non c’è un consenso unanime sul modo di rendere nelle lingue volgari il Ne nos inducas in tentationem. Semplificare troppo, facendo credere che si possa facilmente sostituire la versione tradizionale con una nuova che renderebbe adeguatamente il senso inteso da Gesú, significa non solo illudersi, ma anche ingannare i fedeli: non appena decisa una nuova traduzione, ci sarebbe qualche esegeta che si direbbe insoddisfatto e proporrebbe una nuova traduzione a suo parere piú fedele. Credo che tutta questa storia si basi su un equivoco di fondo, oggi molto diffuso: pensare che “tradurre” sia sinonimo di “interpretare”, mentre si tratta di due azioni complementari, ma distinte. “Tradurre” significa rendere un testo il piú fedelmente possibile in un’altra lingua. Non possiamo affidare alla traduzione un compito che non le compete. L’interpretazione di un testo spetta agli esegeti, non ai traduttori. Ora, se vogliamo un’interpretazione sicura — e anche recente — del Padre nostro, ce l’abbiamo: basta andare a leggersi il Catechismo della Chiesa Cattolica, che dedica alla preghiera del Signore la sezione seconda della parte quarta. La spiegazione della sesta domanda la troviamo ai nn. 2846-2849 (tra l’altro, vi si dice molto responsabilmente: «Tradurre con una sola parola il termine greco è difficile»). Una volta che abbiamo capito il senso di quella invocazione, che bisogno c’è di cambiare traduzione? Ancora una volta, mi pare di essere tornato alle discussioni, puramente verbali, che erano tanto di moda negli anni Settanta-Ottanta.

Sembrava che Liturgiam authenticam avesse superato definitivamente quelle inutili diatribe; e invece, con la sua rottamazione, ce le ritroviamo di nuovo fra i piedi. Sarà un caso che in Francia abbiano introdotto nella liturgia la nuova traduzione del Padre nostro, con l’assist di Papa Francesco, giusto tre mesi dopo la pubblicazione del motu proprio Magnum principium? Visto come si sono messe le cose, è prevedibile che anche la terza edizione del Messale in italiano, rimasta nel freezer per anni, verrà presto scongelata e dovremo cosí anche noi lasciare la formula tradizionale per dire: «E non abbandonarci alla tentazione». Chiedo: Ma se un Dio che è Padre non può indurci in tentazione, può forse abbandonarci ad essa?
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