Il Professor Massimo Introvigne ha rilasciato nei giorni scorsi una lunga
intervista alla rivista Formiche. È uno di quei casi strani in cui
vorresti tanto che ciò che stai leggendo fosse vero, ma ti accorgi, con
dispiacere, che non lo è.
L’intervista si muove in quella che è la narrativa ufficiale dell’attuale
pontificato: «In parole e gesti, Papa Francesco è prima di tutto un
comunicatore. Lavora di bulino sui testi della Tradizione che ha ricevuto e che
è chiamato a trasmettere. Non ne cambia una virgola, ma l’incipit del suo
linguaggio è differente». Le novità non vanno dunque cercate
sul piano dei contenuti («I principi rimangono fermi»), ma
solo su quello dello stile («comunicativo-pastorale»), del linguaggio, del tono
(«È cambiato il tono, e il tono per Papa Francesco è fondamentale»), dell’atteggiamento («Quello che
c’è di diverso è l’atteggiamento pastorale»).
E già qui ci sarebbe qualcosa da ridire: si dà per scontato che Papa
Francesco sia un grande comunicatore («sommo locutore»!), che riesce ad avere,
al contrario dei suoi oppositori (che costituiscono solo «un’élite
intellettuale») un contatto diretto con le masse («cerca di saltare le
mediazioni, vuole rivolgersi ai fedeli direttamente»). Ma ne siamo cosí sicuri? Se tale rapporto
immediato con la gente esistesse davvero, la piazza e la basilica di San Pietro
dovrebbero essere sempre gremite (come lo erano al tempo dell’intellettuale Papa
Benedetto), mentre appaiono sempre piú vuote.
Non è poi vero che vengono saltate le mediazioni; le mediazioni continuano
a esserci (e non potrebbe essere altrimenti), sono solo diverse rispetto al
passato: invece di servirsi dell’Osservatore Romano, Papa Bergoglio
preferisce ricorrere a Repubblica. La scelta viene cosí motivata: «È
piú importante avere una
buona stampa su Repubblica o sulla Cnn che sui media cattolici». Questione di gusti. Ma non illudiamoci,
per favore, che attraverso Repubblica il messaggio evangelico giungerà
alle masse nella sua purezza.
«Cosí facendo si rischia il fraintendimento, la riduzione? … Francesco sa di potere essere
equivocato, con Scalfari e nelle interviste in aereo. È un rischio che corre
quando insiste sulla necessità di avviare processi piú che occupare spazi». È vero che talvolta, forse sempre, per
raggiungere un obiettivo, è necessario rischiare: chi non è disposto a
correre mai alcun pericolo è inevitabilmente condannato all’immobilismo. Il problema è
che qui non si capisce se il gioco valga la candela. Sembra quasi che tutti
leggano Repubblica, e quindi, per raggiungerli, sia necessario servirsi
di quello strumento di comunicazione. Solo che la premessa è sbagliata, perché,
anche se è vero che i lettori di Repubblica sono piú numerosi di
quelli dell’Osservatore Romano, non è vero che tutti leggono il
quotidiano di Eugenio Scalfari. Inoltre, Repubblica, come qualsiasi
altro quotidiano del resto, non è un giornale neutro, ma di parte. Sceglierlo
come interlocutore privilegiato, pertanto, non significa semplicemente
rivolgersi a un uditorio piú vasto; significa piuttosto fare una scelta di
parte ed escludere a priori una larga fetta di potenziali destinatari
che non si riconoscono in quella linea ideologica. Per carità, tutto
assolutamente legittimo; ma da che mondo è mondo io ho sempre saputo (forse mi
sono sbagliato; dovrò aggiornarmi) che un pastore non dovrebbe essere un uomo
di parte, ma il padre di tutti…
Credo poi che ormai questa storia dell’equivoco e del fraintendimento possa
essere pure archiviata. Papa Francesco, quando vuole, sa essere estremamente
chiaro. Per esempio, riguardo ad Amoris laetitia, che di per sé è un
documento (volutamente) ambiguo, Papa Francesco ha fatto chiaramente capire
come essa vada interpretata: se qualcuno avesse ancora dei dubbi (o dei… dubia),
vada a leggersi gli Acta Apostolicae Sedis dell’ottobre 2016.
C’è bisogno, a quanto pare, di una “narrazione differente”: emblematico
l’aneddoto delle trecentomila prostitute minorenni filippine, con le quali «discettare
di Concilio Vaticano II o di indissolubilità del matrimonio non serve». Non credo che ci sia mai stato nessuno
che abbia avuto la pretesa di discutere di Concilio Vaticano II con le
prostitute filippine (magari, se si dovesse presentare l’occasione, visto che
si definiscono cattoliche, fare loro un po’ di catechismo non sarebbe una
cattiva idea). Ma è proprio qui che ci troviamo davanti al grande equivoco dell’attuale
congiuntura ecclesiale: preoccuparsi della dottrina è la vecchia “narrazione”
che “non arriva”, e quindi va abbandonata per essere sostituita da una
“narrazione nuova”, che sarebbe poi l’attenzione alle persone. Come se nella
Chiesa che si preoccupava della dottrina non ci fosse attenzione alle persone e
ai loro problemi. E come se nel nuovo corso, oltre all’attenzione alle persone
(non poi cosí accentuata come ci si aspetterebbe), non ci fosse una nuova
ortodossia, che ha rimpiazzato la vecchia. Eh sí, perché anche nella nuova
Chiesa di retorica se ne fa tanta, a proposito dei temi che vanno per la
maggiore (clima, ambiente, migranti, ecc.). Introvigne spiega il fenomeno cosí:
«Attraverso quelle [questioni
Papa Francesco] pensa di poter dialogare con un numero piú alto di persone, di
avvicinarne di piú». Già, perché la gente non dorme la notte pensando al
buco dell’ozono e al riscaldamento globale…
Lo stesso dicasi dell’ecumenismo. Non so se le prostitute filippine si
appassionino al dialogo fra cattolici, protestanti e ortodossi; eppure
quest’anno il centenario di Lutero sembra essere stato al centro
dell’attenzione del Papa e di molti Vescovi. Non si tratta, in questo caso, di
un «dibattito per circoli ristretti»? Ma il bello è che, dopo averci fatto una
testa cosí per cinquant’anni sul Concilio, ora, tutto d’un tratto, ci vengono a
dire che il dibattito sul Vaticano II è solo un passatempo per pochi sfaccendati che non sanno come occupare il tempo. Ma che dico, il Concilio? No,
anche su Amoris laetitia sembrerebbe ormai chiuso il dibattito: fino a
qualche tempo fa sembrava che la comunione ai divorziati risposati fosse la
questione numero uno della Chiesa; ora, proibito parlarne; ciò che conta è
«rivolgersi alle periferie».
Ma ciò che piú meraviglia è la granitica convinzione che, in questa nuova
“narrazione”, i principi, quelli no, non cambieranno: «La Chiesa — per stare ai grandi argomenti
morali come aborto, eutanasia e matrimonio — non cambierà posizione: “È impossibile”. Bergoglio, anche se poco
raccontato, su quei temi è netto e in stretta continuità coi predecessori». Sarà. Anche se, poco dopo, il Professore si vede costretto ad ammettere
che «la dottrina non cambia, ma si sviluppa». È il riconoscimento che, una volta che si
incomincia a cambiare stile, linguaggio, tono e atteggiamento, è inevitabile
che anche i contenuti, in un modo o nell’altro, ne risentano.
Con queste osservazioni non voglio dire che tutta l’intervista sia da
buttare: ci sono passaggi pienamente condivisibili. Quelli dove il
Professore fa il suo mestiere, il sociologo. Ha perfettamente ragione quando
afferma che la frequenza alla Messa non dipende da questo o quel Papa: «Sono
processi in atto da tempo, che continuano, con una costante, lieve diminuzione
della partecipazione attiva». Anche
se Introvigne non dovrebbe dimenticare che lui stesso fu tra i primi a
parlare, nel 2013, di “effetto Francesco”. Cosí pure ha ragione quando
sottolinea che il futuro della Chiesa non si gioca in Europa, ma in America
Latina, Africa e Asia. Solo che non si vede tutta questa sintonia di Papa
Bergoglio con le giovani Chiese. Anche in questo caso, il Professore è
costretto ad ammettere che «l’episcopato africano è stato tra quelli piú conservatori al Sinodo sulla
famiglia». Si direbbe che Papa
Francesco abbia fatto sua piú la sensibilità delle Chiese dell’Europa del Nord
che non quella delle Chiese del Sud del mondo.
Va dato atto a Introvigne di essere fondamentalmente onesto: riconosce con
grande sincerità che ad allontanarlo dai vecchi amici hanno contribuito anche
le sue vicende personali. Diciamo che gli è andata bene: tali vicende hanno
coinciso con un cambio di rotta nella Chiesa cattolica. Per cui, a differenza dei
suoi amici che un tempo difendevano il papato e oggi lo contestano, lui potrà dire
di essere rimasto sempre fedele al Papa. Anche in questo caso però è costretto
ad ammettere che, a sostenere sempre, senza se e senza ma, qualsiasi decisione pontificia, qualche volta si rischia di prendere una cantonata, di cui poi ci si deve pentire. I Papi non
sono infallibili in ogni loro affermazione e atteggiamento. Un
pizzico di sano spirito critico anche nei confronti dei Romani Pontefici non guasterebbe:
Amicus Plato, sed magis amica veritas.
Q