Ieri Sandro Magister ha pubblicato sul suo blog Settimo cielo un post dove non si dice nulla di nuovo, ma che è utile leggere per rinfrescare la memoria di certi fatti e di certe dichiarazioni. Sono rimasto colpito nel rileggere le parole pronunciate da Papa Francesco sul volo di ritorno a Roma da Rio de Janeiro il 28 luglio 2013. Si tratta della conferenza stampa forse piú famosa del pontificato, tanto per intenderci quella del “Chi sono io per giudicare?”; quindi arcinota. Eppure, a rileggerla oggi, alla luce dei fatti successivamente emersi, alcuni passaggi, a cui lí per lí non si era data eccessiva importanza, assumono un significato diverso.
In quella conferenza stampa, il Papa faceva una distinzione fra delitto e peccato:
Io vedo che tante volte nella Chiesa, al di fuori di questo caso ed anche in questo caso [il caso Ricca], si vanno a cercare i “peccati di gioventù”, per esempio, e questo si pubblica. Non i delitti, eh? I delitti sono un’altra cosa: l’abuso sui minori è un delitto. No, i peccati. Ma se una persona, laica o prete o suora, ha fatto un peccato e poi si è convertito, il Signore perdona, e quando il Signore perdona, il Signore dimentica e questo per la nostra vita è importante.
A parte qualche approssimazione (anche i delitti possono essere perdonati da Dio), la distinzione in sé è giusta: se è vero che tutti i delitti sono peccati, non per questo ogni peccato è un delitto (non andare alla Messa la domenica è un peccato, ma non è un delitto). Per sapere che cos’è un peccato, possiamo tranquillamente rifarci alla definizione classica del Catechismo di San Pio X: un’offesa fatta a Dio, disobbedendo alla sua legge. Mentre la nozione di delitto è ricavabile dal can. 1321 § 1: una violazione esterna di una legge o di un precetto penale, gravemente imputabile per dolo o per colpa (nel precedente Codice si dava la seguente definizione: «Col nome di delitto, s’intende nel diritto ecclesiastico una violazione esterna e moralmente imputabile di una legge, alla quale sia annessa una sanzione canonica almeno indeterminata», can. 2195 CIC 1917).
Quindi fa bene il Papa a richiamare questa distinzione. Rileggendo però le sue parole, si ha l’impressione che ci sia un equivoco di fondo: che non stia facendo una distinzione fra peccato e delitto in senso canonico, ma fra peccato e delitto inteso come violazione della legge civile. Da dove deduco questa impressione? Dall’esempio che viene fatto: «L’abuso sui minori è un delitto». Anche questo è vero: l’abuso sui minori è considerato un delitto tanto dalla legge canonica quanto da quella civile. Il fatto però che tutte le altre trasgressioni contra sextum (nell’intervista si stava parlando di rapporti omosessuali) vengano derubricate a semplici peccati (“peccati di gioventú”) fa capire che il fondamento della distinzione non è il diritto canonico, ma la legislazione civile, che non considera i rapporti sessuali fra adulti consenzienti — etero o omo che siano — un delitto.
Si dà il caso però che, per i chierici, il Codice di diritto canonico considera delitto non solo l’abuso sui minori, ma anche altri peccati contro il sesto comandamento (il can. 695 § 1 estende i medesimi delitti anche ai religiosi):
Can. 1395 - § 1. Il chierico concubinario, oltre il caso di cui nel can. 1394 [attentato di matrimonio anche solo civile], e il chierico che permanga scandalosamente in un altro peccato esterno contro il sesto precetto del Decalogo, siano puniti con la sospensione, alla quale si possono aggiungere gradualmente altre pene, se persista il delitto dopo l’ammonizione, fino alla dimissione dallo stato clericale.
§ 2. Il chierico che abbia commesso altri delitti contro il sesto precetto del Decalogo, se invero il delitto sia stato compiuto con violenza, o minacce, o pubblicamente, o con un minore al di sotto dei 16 anni, sia punito con giuste pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, se il caso lo comporti.
Come si può vedere, in questo canone sono considerati tre tipi di delitti: concubinato; situazione scandalosa (in cui rientrano anche i rapporti omosessuali); abusi sui minori. Dunque, per il diritto canonico non costituiscono un delitto solo questi ultimi, ma anche i peccati contra sextum di cui al § 1. Il che significa che, una volta accertati, essi vanno opportunamente sanzionati. Non si può liquidare la questione semplicemente dicendo: si tratta di rapporti consensuali fra adulti, se la vedano loro col confessore.
E invece sembrerebbe proprio questa la mentalità oggi diffusa. Ha destato un certo scalpore il comunicato del Card. Joseph William Tobin, Arcivescovo di Newark, il quale, negando di essere a conoscenza di accuse di abusi rivolte al Card. McCarrick, ha però candidamente ammesso:
In passato ci sono state accuse secondo le quali egli sarebbe stato coinvolto in relazioni sessuali con adulti. Questa arcidiocesi e la diocesi di Metuchen, hanno ricevuto tre accuse di cattiva condotta sessuale con adulti decenni fa; due di queste accuse hanno portato a dei risarcimenti.
E sembrerebbe che questa mentalità sia alla base dell’atteggiamento della Santa Sede nei confronti del Card. McCarrick: finché si trattava di adulti (ancorché seminaristi), nulla quaestio; non appena è stato incriminato per abuso su minori, è immediatamente scattata la sanzione.
Si direbbe che, al di là delle norme canoniche, ci fosse una specie di tacito accordo, per cui si dovesse intervenire solo in caso di abusi sui minori, chiudendo un occhio su altri comportamenti immorali del clero. Non sarebbe forse il caso di incominciare ad applicare le leggi esistenti anziché lasciarsi ispirare da spericolate teorie senz’alcun fondamento morale e canonico?
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