La “giornata di preghiera e di riflessione”, svoltasi venerdí scorso in preparazione al Concistoro di sabato, ha stimolato in me alcune considerazioni su come si potrebbe attuare il principio di “sinodalità” nella Chiesa latina. Sappiamo che tale principio è al centro delle discussioni fra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse: in queste ultime (come del resto nelle Chiese orientali cattoliche), accanto alla figura del Patriarca, esiste sempre un “Sinodo patriarcale”. A tale assemblea spettano fondamentalmente il potere legislativo e quello giudiziario, oltre che l’elezione del Patriarca (cf CCEO, can. 110).
In Occidente, come sappiamo, si è sviluppato soprattutto il principio del primato (esercitato dal Romano Pontefice) ed è rimasto nell’ombra, pur senza mai scomparire, quello della sinodalità. (Preferisco parlare di “sinodalità”, piuttosto che di “collegialità”, perché quest’ultima è sempre rimasta viva nella Chiesa cattolica, sia nella forma conciliare — cosa che invece non è piú avvenuta nelle Chiese ortodosse — sia in particolare circostanze, come la definizione dei dogmi di fede).
Con il Concilio si è cercato in qualche modo di ripristinare il principio della sinodalità nella Chiesa cattolica. Fu per questo che Paolo VI nel 1965 istituí il “Sinodo dei Vescovi”, che è poi entrato a far parte in maniera definitiva dell’organizzazione della Chiesa con il Codice di diritto canonico del 1983.
A quasi 50 anni dalla sua istituzione, dopo dodici assemblee generali ordinarie, due assemblee generali straordinarie e una decina di assemblee speciali, penso che sia giunto il momento di procedere a una valutazione. Personalmente ho l’impressione che si sia dato vita a una sorta di “pachiderma” che si muove a stento e che non produce i risultati sperati. A intervalli piú o meno regolari (tre o quattro anni, senza contare le assemblee speciali) si mette in moto una procedura piuttosto macchinosa: si inizia con i lineamenta, che vengono sottoposti all’esame delle Chiese locali; con le osservazioni da queste inviate si elabora il cosiddetto instrumentum laboris; su questo si svolge l’assemblea vera e propria, che consiste in una serie di relazioni (solo recentemente è stata introdotta la possibilità di dibattito), che poi devono confluire in un elenco di propositiones da presentare al Papa, il quale, dopo un notevole lasso di tempo, emana una “esortazione apostolica post-sinodale”. E, diciamo la verità, tali esortazioni apostoliche lasciano un po’ il tempo che trovano, e vengono presto dimenticate.
Forse non è stata una grande idea l’istituzione di un Sinodo di questo tipo. Probabilmente ci vorrebbe qualcosa di piú stabile (una sorta di “sinodo permanente”, che non richieda ogni volta l’elezione dei membri da parte delle Conferenze episcopali) e, allo stesso tempo, piú agile (che non abbia bisogno di oltre un anno di preparazione; che possa svolgersi in tempi ragionevoli; che non debba attendere due anni per vedere pubblicate le proprie conclusioni).
Mi frullava per la mente: si potrebbe pensare a una sorta di “Sinodo dei Metropoliti”, cioè di tutti gli Arcivescovi a capo delle diverse province ecclesiastiche; ma, in tal caso, il numero dei partecipanti supererebbe i cinquecento: altro che “pachiderma”! Ciò che è avvenuto la settimana scorsa mi ha fatto allora pensare: che bisogno c’è di inventare nuove forme di sinodalità quando esiste già un organismo che, se fatto funzionare a dovere, risponderebbe perfettamente alle esigenze di comunione e di partecipazione, sempre esistite nella Chiesa e particolarmente sentite ai nostri giorni?
Attualmente sembrerebbe che il Sacro Collegio abbia come sua unica competenza l’elezione del Papa, ma il diritto canonico a tale compito ne aggiunge un altro: «I Cardinali assistono il Romano Pontefice … agendo collegialmente quando sono convocati insieme per trattare le questioni di maggiore importanza» (can. 349). Oltretutto, essendo ora presenti nel Collegio cardinalizio Vescovi provenienti da ogni parte della Chiesa, esso risponde adeguatamente alle esigenze di rappresentatività dell’Episcopato mondiale.
Non c'è quindi bisogno di modificare l’attuale legislazione; il “sinodo” della Chiesa latina esiste già: il Collegio cardinalizio riunito in Concistoro. Basterebbe dargli nuovo impulso ed eventualmente nuove prerogative. Si potrebbe pensare di riunirlo a scadenze regolari (per esempio ogni anno) e sottoporre ad esso tutte le questioni di una certa rilevanza. L’attuale Sinodo dei Vescovi potrebbe invece essere convocato, senza regolarità fissa, per affrontare questioni particolari, soprattutto a carattere locale (come è avvenuto recentemente con il Sinodo per il Medio Oriente).