Si direbbe che Paradigmenwechsel (“cambiamento
del paradigma”) sia un’espressione particolarmente cara al Card. Walter Kasper.
L’aveva usata nella relazione con cui aveva introdotto i lavori del Concistoro
straordinario sulla famiglia il 14 febbraio 2014 (qui il testo completo; qui una sintesi).
In quell’occasione, l’aveva cosí illustrata:
Se si pensa all’importanza delle famiglie per il futuro della Chiesa, il numero in rapida crescita delle famiglie disgregate appare una tragedia ancora piú grande. C’è molta sofferenza. Non basta considerare il problema solo dal punto di vista e dalla prospettiva della Chiesa come istituzione sacramentale; abbiamo bisogno di un cambiamento del paradigma e dobbiamo — come lo ha fatto il buon Samaritano (Lc 10:29-37) — considerare la situazione anche dalla prospettiva di chi soffre e chiede aiuto.
Il cambio di paradigma consisterebbe dunque in un mutamento
di prospettiva: occorre considerare i problemi della famiglia non piú solo dal
punto di vista della Chiesa, intesa come istituzione sacramentale, ma anche da
quello “di chi soffre e chiede aiuto”. Viene proposta anche un’icona del nuovo
paradigma: la Chiesa deve diventare come il buon Samaritano, deve cioè “farsi
prossimo” di chi si trova in una situazione di disagio.
Ritroviamo la stessa espressione Paradigmenwechsel nell’articolo
recentemente pubblicato sulla rivista Stimmen der Zeit (n. 11/2016, pp.
723-732; qui il testo originale; qui una sintesi in inglese; qui una sintesi in italiano)
dall’eloquente titolo “Amoris laetitia”: Bruch oder Aufbruch? (letteralmente,
“AL: rottura o inizio di un cammino?”; ma si noti il gioco di parole
impossibile a rendersi in italiano). In questo caso, il “cambiamento di
paradigma” viene cosí descritto:
Ein Paradigmenwechsel ändert nicht die bisherige Lehre; er rückt sie jedoch in einen größeren Zusammenhang. So ändert „Amoris laetitia“ kein Jota an der Lehre der Kirche und ändert doch alles. Der Paradigmenwechsel besteht darin, dass „Amoris laetitia“ den Schritt tut von einer Gesetzes- hin zur Tugendmoral des Thomas von Aquin.
Un cambiamento di paradigma non modifica la dottrina precedente; la inserisce però in un contesto piú ampio. Cosí Amoris laetitia non cambia uno iota della dottrina della Chiesa; eppure cambia tutto. Il cambio di paradigma consiste in questo, che Amoris laetitia segna il passaggio da una “morale della legge” alla “morale della virtú” di Tommaso d’Aquino.
Poco prima, pur senza parlare di cambio di paradigma, aveva accennato
a un analogo mutamento:
Cum grano salis kann man sagen: „Amoris laetitia“ nimmt Abstand von einer vorwiegend negativen, augustinischen Sicht der Sexualität und wendet sich der schöpfungsbejahenden thomistischen Sicht zu.
Cum grano salis, si può dire: Amoris laetitia prende le distanze da una visione agostiniana, prevalentemente negativa, della sessualità e si volge alla visione tomistica piú positiva della creazione.
Nell’articolo troviamo anche altre contrapposizioni, come
quella tra l’optimum e il “bene possibile” (Evangelii gaudium,
nn. 44-45; cf Amoris laetitia, n. 308) o quella tra la realtà in bianco
e nero e le molteplici sfumature (recentemente sfruttata anche da Papa
Bergoglio nell’intervista rilasciata ad Avvenire):
Meist können Menschen — und wir alle sind solche Menschen — nicht das Optimum, sondern nur das in ihrer Situation Bestmögliche tun; oftmals müssen wir das kleinere Übel wählen. Im gelebten Leben gibt es nicht nur schwarz oder weiß, sondern sehr unterschiedliche Nuancen und Schattierungen.
La maggior parte degli uomini — e tutti noi siamo tali uomini — possono fare non l’optimum, ma solo il meglio possibile nella loro situazione; spesso dobbiamo scegliere il male minore. Nella vita vissuta, non c’è solo il nero o il bianco, ma svariatissime sfumature e tonalità.
Se devo essere sincero, non mi convince molto il ricorso a
San Tommaso per giustificare scelte pastorali che personalmente trovo discutibili.
Va detto che il Card. Kasper non fa altro che evidenziare una tendenza già
presente in Amoris laetitia, nella quale si possono contare una ventina
di riferimenti al Dottore Angelico (probabilmente dietro questa massiccia
presenza dell’Aquinate nell’esortazione apostolica si può vedere la longa
manus del Cardinale domenicano Christoph Schönborn). In ogni caso, rimane
l’impressione che si tratti di un ricorso pretestuoso e strumentale,
tendente a coprire le motivazioni reali di un cambiamento altrimenti
difficilmente giustificabile. Sarebbe auspicabile un approfondimento in
proposito da parte di teologi di professione.
Cosí pure, non mi piace la contrapposizione fra la visione
agostiniana e quella tomistica della sessualità. È vero che i due grandi
dottori hanno sensibilità diverse e affrontano i problemi da prospettive
diverse; ma non mi sembra il caso di insisterci troppo: nella storia della
filosofia e della teologia, come nella storia della Chiesa, trovo molto piú
utile sottolineare lo sviluppo nella continuità che non le opposizioni e le
differenze. Ma sembrerebbe che lo stesso Kasper non voglia calcare la mano piú
di tanto (si noti l’iniziale cum grano salis).
In ogni caso, considerare un “cambio di paradigma” il
passaggio da una “morale della legge” (Gesetzesmoral) alla “morale della
virtú” (Tugendmoral) di Tommaso d’Aquino non lo trovo del tutto corretto.
Anche qui, è vero che nella teologia morale esistono queste due diverse
impostazioni (quella alfonsiana, che si basa sui comandamenti, e quella tomista,
fondata sulle virtú); ma si tratta di due diverse prospettive, entrambe
legittime, che non si escludono, ma anzi si completano a vicenda. La catechesi
ha finora privilegiato la prima impostazione (anche il Catechismo della
Chiesa Cattolica continua a seguirla, credo soprattutto per motivi di
praticità, senza per questo trascurare la trattazione delle virtú), lasciando
però a tutti piena libertà di seguire l’altra impostazione (io, all’Angelicum,
ho studiato la teologia morale secondo lo schema delle virtú e non dei
comandamenti).
Con ciò non voglio negare che sia avvenuto un “cambiamento
di paradigma”; ma credo che esso vada ricercato a un altro livello. Penso che
un’utile indicazione ci venga dalla relazione del Card. Kasper al Concistoro
del 2014. In quell’occasione, come abbiamo visto, il Porporato tedesco parlava
della necessità di non considerare piú le cose soltanto dal punto di vista
della Chiesa, ma anche da quello dell’umanità sofferente. Siccome in quella
sede Kasper si era servito di una metafora (il buon Samaritano), si potrebbe
completare l’allegoria e descrivere i due paradigmi proprio facendo riferimento
al testo di Luca (10:25-37): da una parte c’è il paradigma del “dottore della
legge”, quello che cavilla sulla dottrina («E chi è il mio prossimo?»);
dall’altra c’è il paradigma del “buon Samaritano”, colui che, senza discettare
su questioni astratte, si rimbocca le maniche e viene in soccorso di chi è nel
bisogno. Potremmo quindi affermare che il cambio di paradigma si identifica con
la “conversione pastorale” (Evangelii gaudium, n. 25) chiesta da Papa
Francesco alla Chiesa odierna.
Mentre finora, per orientare il comportamento dei fedeli, la
Chiesa si limitava a presentare una dottrina astratta (la legge morale), e poi
ciascuno doveva arrangiarsi con la propria coscienza per applicare le norme
morali generali alla situazione concreta in cui si trovava a vivere; ora la Chiesa
è invitata a non lasciare piú gli uomini soli nel fare le loro scelte, ma ad
accogliere, accompagnare, discernere e integrare (i quattro momenti del nuovo
metodo pastorale, di cui ci siamo occupati in un precedente post).
Per rendere ancora piú evidente il cambiamento, potremmo dire schematicamente:
mentre prima era la dottrina a guidare la vita morale, ora questo
compito viene affidato al discernimento. Ma proprio questa schematizzazione
(se si vuole, sommaria, come tutte le schematizzazioni, ma utile per
comprendere) ci mostra i rischi del nuovo paradigma. Sí, perché da una parte
abbiamo una dottrina, astratta, fredda, distante quanto si vuole, ma oggettiva;
dall’altra abbiamo un discernimento, sicuramente piú attento alle singole
situazioni concrete, ma sempre in balia della soggettività di chi lo pratica. Si
ha l’impressione di trovarsi di fronte al trasferimento in campo morale di
quanto avvenuto col protestantesimo a proposito dell’interpretazione della
Scrittura: mentre nella Chiesa cattolica l’interpretazione della Bibbia è
affidata al magistero, fra i luterani ciascuno può interpretarla personalmente
attraverso il “libero esame”. Ci si potrebbe chiedere inoltre se, cosí facendo,
il discernimento non oltrepassi i limiti del suo naturale campo di azione (che
è sempre consistito nella valutazione dell’origine degli “spiriti”, nel
giudizio sull’autenticità dei carismi, nella ricerca della volontà di Dio, ecc.).
Ce ne siamo occupati in un precedente post,
ma il discorso andrebbe ripreso e approfondito in separata sede.
A nulla serve dichiarare che la dottrina non viene
modificata, quando essa non serve piú a dirigere la nostra vita. Il cambio di
paradigma la rende del tutto irrilevante. Ha ragione il Card. Kasper quando
afferma: «Amoris laetitia non cambia uno iota della dottrina della
Chiesa; eppure cambia tutto». La dottrina può anche rimanere la stessa, tanto
non serve piú; potrebbe essere pure messa in museo e conservata cosí com’è,
intatta nella sua purezza. Oggi, per sapere come dobbiamo comportarci, abbiamo
a disposizione il discernimento, che è completamente diverso dalla rigida
dottrina: esso è piú malleabile, si adatta alle diverse situazioni, può cambiare di volta in
volta, diversificandosi caso per caso.
Non so se ci si renda conto della portata eversiva di questo
Paradigmenwechsel: si tratta di una vera e propria rivoluzione,
quella “rivoluzione pastorale” di cui parlavo in un post del marzo scorso (alla vigilia della presentazione di Amoris laetitia) e alla quale Guido Vignelli ha dedicato un saggio.
Il cambiamento del paradigma non è una variazione di secondaria importanza: cambiando il
paradigma, cambia davvero tutto. A questo punto, non saprei come rispondere
alla domanda che il Card. Kasper pone retoricamente nel suo articolo: “Rottura
o inizio di un cammino?”. A me pare tanto una rottura, la stessa identica
rottura che si sarebbe voluta attuare con il Concilio Vaticano II, ma che allora non riuscí (checché ne dica la “Scuola di Bologna”).
Infine, non si può non tener conto di questo Paradigmenwechsel in
fase di impostazione della “strategia difensiva” nei confronti della suddetta “rivoluzione
pastorale”. Perché, se ci si oppone ad essa con gli strumenti tradizionali si
rischia — come qualcuno ha fatto intelligentemente notare — di cadere nel medesimo errore commesso dai francesi durante la seconda guerra
mondiale: pensavano che per difendersi dai tedeschi bastasse costruire un
imponente sistema difensivo (la “linea Maginot”), che però si rivelò del tutto
inutile, dal momento che i tedeschi aggirarono l’ostacolo e occuparono la
Francia attraversando l’Olanda e il Belgio. Se vogliamo efficacemente opporci
alla “rivoluzione pastorale” in atto, dobbiamo farlo nella piena consapevolezza
del cambiamento di paradigma avvenuto e, se possibile, combattendo ad armi pari
sul medesimo campo di battaglia. In caso contrario, sarà una battaglia persa in
partenza.
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