martedì 27 febbraio 2018

Padre Cavalcoli interviene su Rosmini


Beh, sembrerebbe che il “laboratorio culturale”, da me auspicato nel post di venerdí scorso, si sia già avviato. Ho ricevuto ieri da Padre Giovanni Cavalcoli una lettera su Rosmini, in risposta ai miei ultimi post sull’argomento. Trattandosi di una questione estremamente importante e visto il contenuto, di gran pregio, della lettera, penso che sia giusto condividerla con i lettori, perché possano farsi un’idea personale che tenga conto dei diversi aspetti del problema. Per una mia replica, bisognerà attendere qualche giorno.
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Caro Padre Scalese,


ho letto le sue considerazioni sul pensiero del Beato Rosmini, che Lei ha recentemente pubblicato sul suo blog. La questione che Lei solleva se il Rosmini possa aiutarci nel confronto pensiero moderno postcartesiano è molto interessante, ma io Le direi subito che il Roveretano, per quanto abbia posseduto una mente di  eccezionale acutezza, nobiltà e forza speculativa e ci abbia lasciato al riguardo intuizioni e spunti importanti, nel confrontarsi con Kant e con l’idealismo tedesco, nonostante la sua retta intenzione e la sua opera poderosa di salvare il salvabile e di accoglierne criticamente i valori, seppur tenendo d’occhio le verità di fede, è rimasto ingannato in buona fede dagli errori metafisici e gnoseologici dell’idealismo, come ha dimostrato il Padre Cornelio Fabro in un approfondito e documentato studio da par suo (L’enigma Rosmini, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1988). Questo fu messo in luce autorevolmente dal famoso Decreto Post obitum del Sant’Offizio del 1887.

Il Rosmini è uno di quei rarissimi casi nella storia della teologia e della santità — pensiamo ad Origene o a Meister Eckhart — nei quali il Santo è vittima involontaria e quindi innocente di gravi errori filosofici speculativi, benché la morale, direttrice dell’azione, resti intatta, diversamente la santità sarebbe stata impossibile. Ma la dottrina morale si salva nonostante gli errori speculativi, i quali, se tradotti in pratica, distruggerebbero la morale. Quindi Rosmini, con la sua vita santa, ha implicitamente corretto gli errori speculativi, dei quali non si era accorto. Vittima dell’errore speculativo, ha messo in pratica una verità, della quale non si rendeva conto.

Uno dei suddetti casi, in campo protestante, è appunto Kant, che Rosmini si propose generosamente di affrontare, ma, privo come fu di un adeguato e sufficiente criterio di discernimento e di valutazione, cadde negli stessi errori del grande filosofo tedesco, egli pure probabilmente autoingannatosi.

Rosmini fu indubbiamente un ammiratore di San Tommaso, ma non riuscì — anche per la miseria dei tempi, che non offriva validi centri di formazione tomista — a conseguire una preparazione sufficiente, che gli permettesse un’opera di discernimento efficace, atta a separare il grano dal loglio, il cibo sano da quello avvelenato. Sicché Rosmini rimase infetto senza accorgersene, anzi convinto di fare una giusta critica a Kant, come del resto a tutto l’idealismo tedesco, compreso Hegel, che egli giudicava addirittura un “pazzo”.

Buona fu la decisione di concentrarsi su Kant, nel quale si riassume nella forma più dignitosa, sistematica e seducente la filosofia postcartesiana, Kant, che dà l’avvio all’idealismo trascendentale di Fichte, Schelling ed Hegel. Del resto, il sistema kantiano, come è noto, se da una parte ripugna profondamente alla filosofia cristiana nella parte speculativa, offre appigli in quella morale. Infatti, mentre per Kant la ragione non può dimostrare l’esistenza di Dio partendo dall’esperienza sensibile, ma possiede solo a priori l’idea di Dio come perfezione della ragione, la ragion pratica deduce l’esistenza di Dio dalla coscienza a priori della legge morale e del contenuto assoluto, immutabile ed universale del dovere, che è anche oggetto razionale del volere.

Contro Kant Rosmini ammette l’oggettività dell’essere distinto dall’intelletto, per cui Dio, come per San Tommaso, è l’Ipsum Esse subsistens. Il reale non è, come per gli idealisti, prodotto del pensiero, ma oggetto del pensiero da questo distinto. Tuttavia l’intelletto intuisce aprioricamente ed immediatamente l’essere ideale. E in ciò Rosmini cede senza accorgersene agli ontologisti, che si differenziano da Kant solo perché mettono l’essere ideale al posto dell’Idea della ragione del pensiero kantiano.

Dio dunque, per Rosmini, è bensì reale e creatore trascendente e causa provvidente della realtà mondana, ma sembra nel contempo che si possa arrivare a conoscerlo grazie ad una semplice infinitizzazione dell’essere ideale, che è la tesi degli ontologisti. In realtà si tratta di una concettualizzazione involontariamente falsa, giustamente riprovata dalla Chiesa, della quale Rosmini non si è accorto, per cui resta salvo il vero concetto di Dio, che sta alla base della sua vita santa.

Questo suo errore glie lo fu fatto notare dai teologi del suo tempo, ma in modo inadeguato, aspro ed offensivo, sicché Rosmini ebbe solo ad offendersene e a soffrirne, senza capire dove stava l’errore e quindi senza la possibilità di correggersi.

Egli concepì invece un ottimo e coraggioso intento di affrontare la modernità, criticandone gli errori ed assumendo il positivo, in ciò incoraggiato dagli stessi Papi Gregorio XVI, Pio VIII e il Beato Pio IX; e si impegnò con tutte le forze del suo ingegno eccezionale — già, questa, testimonianza di santità — in questa impresa colossale, che era già stata più volte tentata senza successo da altri teologi del suo tempo (Denzinger-Schönmetzer, nn. 2738-2740; 2751-2760; 2765-2769; 2811-2814; 2828-2831).

La critica rosminiana a Kant non riuscì del tutto, perché, se da una parte Rosmini rimproverò a Kant di non esser riuscito a fondare la conoscenza oggettiva del reale a causa del suo fenomenismo e della sua mancanza dell’intuizione dell’essere, e quindi di non esser riuscito a risalire a Dio partendo dalla conoscenza delle cose, dall’altra egli rimase soggiogato ed ingannato dall’apparente spiritualità dell’apriorismo kantiano, erede di Cartesio, senza accorgersi che esso apriva la strada all’idealismo successivo, che pur Rosmini detestava, consapevole del fatto che conduceva al panteismo.

La Nota della CDF nel 2001 sul pensiero di Rosmini in occasione della sua Beatificazione, ebbe lo scopo di mostrare il significato del rapporto fra la Beatificazione e il senso del famoso Decreto del 1887 di condanna di 40 proposizioni del Rosmini. Occorreva infatti spiegare come la Chiesa poteva beatificare un teologo, del quale alcune proposizioni erano state condannate. Il documento allora spiegò che le 40 proposizioni erano condannate in quanto intese in senso idealistico, ma che esse non corrispondevano alle vere intenzioni dell’Autore. Come a dire che Rosmini è stato kantiano senza rendersene conto.

La Beatificazione di Rosmini certamente è un avvenimento importante, che però riguarda più la storia della santità e della Chiesa che quella della teologia, almeno della dogmatica. Importante invece è il Rosmini nell’ambito della teologia spirituale ed ascetica. Se riguardo al problema del confronto col pensiero moderno Rosmini, nonostante il suo generoso sforzo, nel suo tentativo di dialogo non ha avuto successo, tanto da essere stato censurato dalla Chiesa, oggi è la Chiesa stessa che ci presenta il Beato Rosmini come modello e maestro ad un livello esistenziale ben superiore di quello della speculazione teologica, che è la ricerca e pratica della santità.

Per questo, sarebbero del tutto fuori luogo le opinioni di coloro che interpretassero la beatificazione del Roveretano come implicita riabilitazione del suo pensiero dopo la condanna del 1887. Non è assolutamente questo il senso che la Chiesa intende dare a al suo innalzamento agli altari, ma è precisamente — e dovrebbe essere ovvio — quello che ho detto.

Il che non vuol dire che il sistema rosminiano, nel suo insieme non meriti rispetto e — come dice la Nota della CDF — non offra agli studiosi ampia materia di ricerche, approfondimenti e discussioni. Resta comunque il fatto che, se Rosmini è guida alla santità, ciò dipende evidentemente dalla conoscenza verace che aveva della morale cattolica. Ma siccome la morale discende dalla dogmatica, ecco che ci troviamo obbligati a riconoscere che, se egli ha potuto farsi santo ed essere maestro di santità — ricordiamoci dell’Istituto Religioso da lui fondato — ciò non può non esser stato dovuto alla verità dogmatica, che ha accolto, per cui, così come egli cadde senza rendersi conto nell’errore, altrettanto e per questo motivo — la logica ci obbliga a questa conclusione paradossale ma stringente — praticò il vero senza saperlo.

Rosmini ebbe il merito di accorgersi dell’urgenza cha la teologia cattolica e la Chiesa stessa si confrontassero col pensiero moderno, nei confronti del quale ai suoi tempi c’era un atteggiamento di chiusura ed eccessiva severità, mentre occorreva assumerne i valori. Purtroppo non si seppe apprezzare il suo intento, troppo preoccupati dei suoi errori, che agli occhi dei suoi critici confermavano la pericolosità del pensiero moderno.

Lo stesso Papa Leone XIII ebbe la felice idea di far rinascere il tomismo con l’enciclica Aeterni Patris del 1879; ma non riuscì ad apprezzare il tentativo del Rosmini, del quale addirittura condannò il pensiero. In tal modo il problema di come affrontare il pensiero moderno restava irrisolto, anche se Papa Leone aveva fornito ai teologi in San Tommaso un ottimo metodo di discernimento critico e costruttivo.

Fu così che nacque il modernismo. Infatti, un gruppo di teologi più sensibili all’urgenza del problema, ma purtroppo essi stessi infettati dal pensiero moderno — i modernisti — ripresero l’impresa di Rosmini, ma senza la sua saggezza e moderazione e soprattutto senza servirsi del metodo tomista fornito da Leone XIII. Il risultato non poteva che essere illusorio ed addirittura disastroso, cosa che, come è noto, provocò la provvidenziale Pascendi di San Pio X.

Tuttavia, ancora una volta, sconfitti gli errori modernisti, restava aperto il problema dell’esame critico e costruttivo della modernità. Per risolverlo una buona volta è sorto il Concilio Vaticano II con la sua raccomandazione di un tomismo fedele ma nel contempo aperto e progressista.

Di ciò esisteva già lo spunto in alcuni teologi, soprattutto tomisti come il Sertillanges, il Maritain, il Congar, lo Journet, il Von Balthasar, il de Lubac, il Daniélou, Raimondo Spiazzi, Antonio Piolanti, Pietro Parente, Ambroise Gardeil, Jean-Hervé Nicolas, Marie-Joseph Nicolas e, successivamente al Concilio fino ad oggi, il Wojtyla, il Ratzinger, Alberto Boccanegra, Pier Paolo Ruffinengo, Alberto Galli, Alberto Strumia, Abelardo Lobato, Vittorio Possenti, Jesús Villagrasa, Antonio Livi.

Il grave problema, oggi, come tutti sappiamo, è quello di confutare il rinato modernismo e falso tomismo di Rahner, prolungamento del rinnovato ingannevole confronto con Kant fatto dal Maréchal negli anni ’20 del secolo scorso, e falso interprete del Concilio, il cui sano progressismo è del tutto in armonia con la Sacra Tradizione, mentre il progressismo rahneriano è solo uno zuccherino, sotto il quale si cela appunto il veleno mortale del modernismo.

Così si realizzerà finalmente il sogno del Beato Rosmini, quando, ancor giovane, come egli stesso racconta, si sentì improvvisamente illuminato ed entusiasmato dalla luce immarcescibile e gloriosa dell’Essere ideale.

P. Giovanni Cavalcoli, OP

Varazze, 26 febbraio 2018