Beh, sembrerebbe che il “laboratorio culturale”, da me auspicato nel post di venerdí scorso, si sia già avviato. Ho ricevuto ieri da Padre Giovanni Cavalcoli una lettera su Rosmini, in risposta ai miei ultimi post sull’argomento. Trattandosi di una questione estremamente importante e visto il contenuto, di gran pregio, della lettera, penso che sia giusto condividerla con i lettori, perché possano farsi un’idea personale che tenga conto dei diversi aspetti del problema. Per una mia replica, bisognerà attendere qualche giorno.
Q
ho letto le
sue considerazioni sul pensiero del Beato Rosmini, che Lei ha recentemente pubblicato
sul suo blog. La questione che Lei solleva se il Rosmini possa aiutarci nel confronto
pensiero moderno postcartesiano è molto interessante, ma io Le direi subito che
il Roveretano, per quanto abbia posseduto una mente di eccezionale acutezza, nobiltà e forza speculativa
e ci abbia lasciato al riguardo intuizioni e spunti importanti, nel
confrontarsi con Kant e con l’idealismo tedesco, nonostante la sua retta intenzione e la sua
opera poderosa di salvare il salvabile e di accoglierne criticamente i valori, seppur
tenendo d’occhio le verità di fede, è rimasto
ingannato in buona fede dagli errori metafisici e gnoseologici dell’idealismo,
come ha dimostrato il Padre Cornelio Fabro in un approfondito e documentato studio da par suo (L’enigma
Rosmini, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1988). Questo fu messo in luce
autorevolmente dal famoso Decreto Post obitum del Sant’Offizio del 1887.
Il Rosmini è
uno di quei rarissimi casi nella storia della teologia e della santità —
pensiamo ad Origene o a Meister Eckhart — nei quali il Santo è vittima involontaria
e quindi innocente di gravi errori filosofici speculativi, benché la morale, direttrice
dell’azione, resti intatta, diversamente la santità sarebbe stata impossibile.
Ma la dottrina morale si salva nonostante gli errori speculativi, i quali, se tradotti
in pratica, distruggerebbero la morale. Quindi
Rosmini, con la sua vita santa, ha implicitamente corretto gli errori speculativi,
dei quali non si era accorto. Vittima dell’errore speculativo, ha messo in pratica
una verità, della quale non si rendeva conto.
Uno dei suddetti
casi, in campo protestante, è appunto Kant, che Rosmini si propose generosamente
di affrontare, ma, privo come fu di un adeguato e sufficiente criterio di
discernimento e di valutazione, cadde negli stessi errori del grande filosofo
tedesco, egli pure probabilmente autoingannatosi.
Rosmini fu
indubbiamente un ammiratore di San Tommaso, ma non riuscì — anche per la
miseria dei tempi, che non offriva validi centri di formazione tomista — a
conseguire una preparazione sufficiente, che gli permettesse un’opera di
discernimento efficace, atta a separare il grano dal loglio, il cibo sano da
quello avvelenato. Sicché Rosmini rimase infetto senza accorgersene, anzi convinto
di fare una giusta critica a Kant, come del resto a tutto l’idealismo tedesco, compreso
Hegel, che egli giudicava addirittura un “pazzo”.
Buona fu la decisione
di concentrarsi su Kant, nel quale si riassume nella forma più dignitosa, sistematica
e seducente la filosofia postcartesiana, Kant, che dà l’avvio all’idealismo trascendentale
di Fichte, Schelling ed Hegel. Del resto, il sistema kantiano, come è noto, se
da una parte ripugna profondamente alla filosofia cristiana nella parte
speculativa, offre appigli in quella morale. Infatti, mentre per Kant la
ragione non può dimostrare l’esistenza di Dio partendo dall’esperienza sensibile,
ma possiede solo a priori l’idea di Dio come perfezione della ragione, la
ragion pratica deduce l’esistenza di Dio dalla coscienza a priori della
legge morale e del contenuto assoluto, immutabile ed universale del dovere, che
è anche oggetto razionale del volere.
Contro Kant
Rosmini ammette l’oggettività dell’essere distinto dall’intelletto, per cui
Dio, come per San Tommaso, è l’Ipsum Esse
subsistens. Il reale non è, come per gli idealisti, prodotto del pensiero,
ma oggetto del pensiero da questo distinto. Tuttavia l’intelletto intuisce aprioricamente
ed immediatamente l’essere ideale. E in
ciò Rosmini cede senza accorgersene agli ontologisti, che si differenziano da
Kant solo perché mettono l’essere ideale al posto dell’Idea della ragione del
pensiero kantiano.
Dio dunque,
per Rosmini, è bensì reale e creatore trascendente e causa provvidente della
realtà mondana, ma sembra nel contempo che si possa arrivare a conoscerlo
grazie ad una semplice infinitizzazione dell’essere
ideale, che è la tesi degli ontologisti. In realtà si tratta di una concettualizzazione
involontariamente falsa, giustamente riprovata dalla Chiesa, della quale Rosmini
non si è accorto, per cui resta salvo il vero concetto di Dio, che sta alla base
della sua vita santa.
Questo suo
errore glie lo fu fatto notare dai teologi del suo tempo, ma in modo
inadeguato, aspro ed offensivo, sicché Rosmini ebbe solo ad offendersene e a soffrirne,
senza capire dove stava l’errore e quindi senza la possibilità di correggersi.
Egli concepì
invece un ottimo e coraggioso intento di affrontare la modernità, criticandone
gli errori ed assumendo il positivo, in ciò incoraggiato dagli stessi Papi Gregorio
XVI, Pio VIII e il Beato Pio IX; e si impegnò con tutte le forze del suo
ingegno eccezionale — già, questa, testimonianza di santità — in questa impresa
colossale, che era già stata più volte tentata senza successo da altri teologi del
suo tempo (Denzinger-Schönmetzer, nn. 2738-2740; 2751-2760; 2765-2769;
2811-2814; 2828-2831).
La critica
rosminiana a Kant non riuscì del tutto, perché, se da una parte Rosmini rimproverò
a Kant di non esser riuscito a fondare la conoscenza oggettiva del reale a
causa del suo fenomenismo e della sua mancanza dell’intuizione dell’essere, e
quindi di non esser riuscito a risalire a Dio partendo dalla conoscenza delle
cose, dall’altra egli rimase soggiogato ed ingannato dall’apparente spiritualità
dell’apriorismo kantiano, erede di Cartesio, senza accorgersi che esso apriva
la strada all’idealismo successivo, che pur Rosmini detestava, consapevole del fatto
che conduceva al panteismo.
La Nota della CDF nel 2001 sul pensiero
di Rosmini in occasione della sua Beatificazione, ebbe lo scopo di mostrare il
significato del rapporto fra la Beatificazione e il senso del famoso Decreto del 1887 di condanna di 40
proposizioni del Rosmini. Occorreva infatti spiegare come la Chiesa poteva beatificare
un teologo, del quale alcune proposizioni erano state condannate. Il documento
allora spiegò che le 40 proposizioni erano condannate in quanto intese in senso idealistico, ma che esse non corrispondevano
alle vere intenzioni dell’Autore. Come a dire che Rosmini è stato kantiano
senza rendersene conto.
La
Beatificazione di Rosmini certamente è un avvenimento importante, che però riguarda
più la storia della santità e della Chiesa che quella della teologia, almeno della
dogmatica. Importante invece è il Rosmini nell’ambito della teologia spirituale
ed ascetica. Se riguardo al problema del confronto col pensiero moderno Rosmini,
nonostante il suo generoso sforzo, nel suo tentativo di dialogo non ha avuto successo,
tanto da essere stato censurato dalla Chiesa, oggi è la Chiesa stessa che ci presenta
il Beato Rosmini come modello e maestro ad un livello esistenziale ben superiore
di quello della speculazione teologica, che è la ricerca e pratica della santità.
Per questo,
sarebbero del tutto fuori luogo le opinioni di coloro che interpretassero la
beatificazione del Roveretano come implicita riabilitazione del suo pensiero dopo
la condanna del 1887. Non è assolutamente questo il senso che la Chiesa intende
dare a al suo innalzamento agli altari, ma è precisamente — e dovrebbe essere
ovvio — quello che ho detto.
Il che non
vuol dire che il sistema rosminiano, nel suo insieme non meriti rispetto e —
come dice la Nota della CDF — non offra agli studiosi ampia
materia di ricerche, approfondimenti e discussioni. Resta comunque il fatto che,
se Rosmini è guida alla santità, ciò dipende evidentemente dalla conoscenza verace
che aveva della morale cattolica. Ma siccome la morale discende dalla dogmatica,
ecco che ci troviamo obbligati a riconoscere che, se egli ha potuto farsi santo
ed essere maestro di santità — ricordiamoci dell’Istituto Religioso da lui fondato
— ciò non può non esser stato dovuto alla verità dogmatica, che ha accolto, per
cui, così come egli cadde senza rendersi conto nell’errore, altrettanto e per
questo motivo — la logica ci obbliga a questa conclusione paradossale ma
stringente — praticò il vero senza saperlo.
Rosmini ebbe
il merito di accorgersi dell’urgenza cha la teologia cattolica e la Chiesa stessa
si confrontassero col pensiero moderno, nei confronti del quale ai suoi tempi
c’era un atteggiamento di chiusura ed eccessiva severità, mentre occorreva assumerne
i valori. Purtroppo non si seppe apprezzare il suo intento, troppo preoccupati
dei suoi errori, che agli occhi dei suoi critici confermavano la pericolosità del
pensiero moderno.
Lo stesso
Papa Leone XIII ebbe la felice idea di far rinascere il tomismo con l’enciclica
Aeterni Patris del 1879; ma non riuscì
ad apprezzare il tentativo del Rosmini, del quale addirittura condannò il pensiero.
In tal modo il problema di come affrontare il pensiero moderno restava irrisolto,
anche se Papa Leone aveva fornito ai teologi in San Tommaso un ottimo metodo di
discernimento critico e costruttivo.
Fu così che
nacque il modernismo. Infatti, un gruppo di teologi più sensibili all’urgenza del
problema, ma purtroppo essi stessi infettati dal pensiero moderno — i modernisti
— ripresero l’impresa di Rosmini, ma senza la sua saggezza e moderazione e soprattutto
senza servirsi del metodo tomista fornito da Leone XIII. Il risultato non poteva
che essere illusorio ed addirittura disastroso, cosa che, come è noto, provocò
la provvidenziale Pascendi di San Pio
X.
Tuttavia, ancora
una volta, sconfitti gli errori modernisti, restava aperto il problema dell’esame
critico e costruttivo della modernità. Per risolverlo una buona volta è sorto il
Concilio Vaticano II con la sua raccomandazione di un tomismo fedele ma nel contempo
aperto e progressista.
Di ciò esisteva
già lo spunto in alcuni teologi, soprattutto tomisti come il Sertillanges, il Maritain,
il Congar, lo Journet, il Von Balthasar, il de Lubac, il Daniélou, Raimondo
Spiazzi, Antonio Piolanti, Pietro Parente, Ambroise Gardeil, Jean-Hervé
Nicolas, Marie-Joseph Nicolas e, successivamente al Concilio fino ad oggi, il
Wojtyla, il Ratzinger, Alberto Boccanegra, Pier Paolo Ruffinengo, Alberto Galli,
Alberto Strumia, Abelardo Lobato, Vittorio Possenti, Jesús Villagrasa, Antonio
Livi.
Il grave problema,
oggi, come tutti sappiamo, è quello di confutare
il rinato modernismo e falso tomismo di Rahner, prolungamento del rinnovato
ingannevole confronto con Kant fatto dal Maréchal negli anni ’20 del secolo
scorso, e falso interprete del Concilio, il cui sano progressismo è del tutto in
armonia con la Sacra Tradizione, mentre il progressismo rahneriano è solo uno zuccherino, sotto il quale si cela
appunto il veleno mortale del modernismo.
Così si realizzerà
finalmente il sogno del Beato Rosmini, quando, ancor giovane, come egli stesso racconta,
si sentì improvvisamente illuminato ed entusiasmato dalla luce immarcescibile e
gloriosa dell’Essere ideale.
P. Giovanni
Cavalcoli, OP
Varazze, 26
febbraio 2018