Padre Giovanni Cavalcoli, dimostrando grande attenzione ai recenti post sul confronto della Chiesa con la modernità e in particolare su Antonio Rosmini, è voluto intervenire nel dibattito con una lettera che ho pubblicato martedí scorso (qui). Ho apprezzato molto il gesto di Padre Cavalcoli e gliene sono assai grato. Ciò non significa, ovviamente, che condivida la sua posizione. Cercherò di chiarire i motivi per cui non posso trovarmi d’accordo con lui.
Padre Cavalcoli espone, in maniera distesa e pacata, quella che è sempre stata la posizione neotomista nei confronti di Rosmini. Ovviamente in passato i toni erano piú accesi; ora, sia perché col passare degli anni la polemica si è affievolita, sia soprattutto perché Rosmini è stato beatificato, ci si esprime in maniera piú benevola nei suoi confronti. Padre Cavalcoli, da buon scolastico — distingue frequenter! — opera giustamente una serie di distinzioni nella persona di Rosmini: tra il santo e il pensatore; fra l’autore spirituale e il filosofo; tra il filosofo morale e il filosofo speculativo; fra le intenzioni soggettive e i risultati effettivamente raggiunti. È non solo opportuno, ma doveroso fare tali distinzioni, perché altrimenti si correrebbe il rischio di giungere a conclusioni arbitrarie, come, per esempio, pensare che la beatificazione comporti l’automatica approvazione del pensiero del nuovo Beato. D’altra parte, però, non si può vivisezionare una persona, pensando che gli aspetti che la costituiscono siano come compartimenti stagni non comunicanti fra loro. Riprendendo l’esempio della santità, se uno ha professato degli errori in materia di fede, ben difficilmente potrà essere elevato all’onore degli altari. Origene non viene venerato come santo dalla Chiesa cattolica; per Rosmini è stata necessaria una nota della CDF perché si potesse procedere alla sua beatificazione. Ma queste cose Padre Cavalcoli le sa; e anzi, con molta onestà, riconosce tale continuità e interdipendenza fra santità, dottrina spirituale, teologia morale e dogmatica:
Se Rosmini è guida alla santità, ciò dipende evidentemente dalla conoscenza verace che aveva della morale cattolica. Ma siccome la morale discende dalla dogmatica, ecco che ci troviamo obbligati a riconoscere che, se egli ha potuto farsi santo ed essere maestro di santità ... ciò non può non esser stato dovuto alla verità dogmatica, che ha accolto, per cui, così come egli cadde senza rendersi conto nell’errore, altrettanto e per questo motivo — la logica ci obbliga a questa conclusione paradossale ma stringente — praticò il vero senza saperlo.
In tale citazione troviamo sintetizzata la posizione di Padre Cavalcoli: Rosmini «cadde senza rendersi conto nell’errore», «praticò il vero senza saperlo». Egli salva la retta intenzione e la buona fede del Roveretano, ma ne condanna gli errori oggettivi, commessi inavvertitamente. Capisco che si tratta di un modo elegante per giustificare i presunti errori di un santo; ma non mi sembra che si possa usare una simile scappatoia con uno del quale poco prima si era detto che ha posseduto «una mente di eccezionale acutezza, nobiltà e forza speculativa»: possibile che un personaggio di tal fatta non si sia accorto di certi errori? che si sia lasciato ingannare da quegli autori con cui ebbe a ingaggiare un confronto intellettuale (Kant e l’idealismo)?
Padre Cavalcoli sembrerebbe interpretare in modo analogo la Nota della CDF del 2001:
Il documento ... spiegò che le 40 proposizioni erano condannate in quanto intese in senso idealistico, ma che esse non corrispondevano alle vere intenzioni dell’Autore. Come a dire che Rosmini è stato kantiano senza rendersene conto.
Onestamente, non mi sembra questo il senso della Nota, che afferma:
Il senso delle proposizioni, cosí inteso e condannato dal medesimo Decreto [del 1887], non appartiene in realtà all’autentica posizione di Rosmini, ma a possibili conclusioni della lettura delle sue opere … Nello stesso tempo rimane la validità oggettiva del Decreto Post obitum in rapporto al dettato delle proposizioni condannate, per chi le legge al di fuori del contesto di pensiero rosminiano, in un’ottica idealista, ontologista e con un significato contrario alla fede e alla dottrina cattolica.
La posizione della CDF mi sembra chiara: la condanna delle proposizioni, interpretate in senso idealistico e ontologistico, rimane (e non potrebbe essere altrimenti); ma si riconosce, con grande onestà, che quel senso non appartiene al pensiero rosminiano. Con ciò, la Chiesa non fa proprio il sistema rosminiano (la cui plausibilità affida giustamente al libero dibattito filosofico), ma lo dichiara alieno da errori contro la fede. Continuare perciò ad accusare oggi, dopo la Nota del 2001, Rosmini di “ontologismo” non è corretto, dal momento che egli è stato ufficialmente prosciolto da tale accusa.
Per i lettori sarà opportuno chiarire i termini dell’accusa rivolta per oltre un secolo a Rosmini: che cos’è l’ontologismo? Per farsene un’idea sommaria, si può consultare la voce che gli riserva il Dizionario di filosofia Treccani. Il problema sta nel fatto che si tratta di un termine piuttosto equivoco, usato cioè di volta in volta con significati diversi. Esso è stato introdotto nel dibattito filosofico ottocentesco da Vincenzo Gioberti per designare il proprio sistema, in contrapposizione al cosiddetto “psicologismo”. Per semplificare al massimo, si potrebbe considerare ontologismo sinonimo di “oggettivismo” e psicologismo sinonimo di “soggettivismo”. Ontologista sarebbe chi, per spiegare la conoscenza umana, parte dall’Essere; psicologista, chi parte dall’uomo. Ebbene, Gioberti, nella sua opera Degli errori filosofici di Antonio Rosmini, accusa il Roveretano esattamente di psicologismo (come del resto fa per Cartesio e Kant). Rosmini, a sua volta, critica l’ontologismo di Gioberti. L’ontologismo fu condannato dalla Chiesa con il Decreto del Sant’Uffizio del 18 settembre 1861, nel quale non si faceva riferimento ad alcun autore in particolare, ma si rispondeva negativamente alla domanda se si potessero insegnare senza pericolo (utrum tuto tradi possint) sette precise proposizioni (Denzinger-Schönmetzer, nn. 2841-2847). Tale Decreto considerava praticamente l’ontologismo come il risvolto gnoseologico del panteismo. Riporterò qui solo la prima di tali proposizioni, che qualcuno potrebbe pensare riferita a Rosmini:
Immediata Dei cognitio, habitualis saltem, intellectui humano essentialis est, ita ut sine ea nihil cognoscere possit: siquidem est ipsum lumen intellectuale [= la conoscenza immediata di Dio, almeno abituale, è cosí essenziale all’intelletto umano che, senza di essa, non può conoscere nulla, trattandosi dello stesso lume intellettuale] (DS, n. 2841).
Ebbene, un’affermazione del genere si può applicare a Gioberti (il quale pone come oggetto dell’intuito l’Essere reale, cioè Dio), ma certamente non a Rosmini, per il quale oggetto dell’intuizione è l’essere ideale, che non è Dio, ma solo l’idea dell’essere. Il fatto che nella proposizione si faccia riferimento al lumen intellectuale non significa naturalmente che sia condannata qualsiasi spiegazione della conoscenza umana che faccia ricorso ad esso (ché altrimenti bisognerebbe condannare anche Sant’Agostino e San Tommaso); ciò che viene condannato è l’identificazione del lumen intellectuale con la immediata Dei cognitio (ciò che, come detto, non può applicarsi a Rosmini, per il quale il lume intellettuale è appunto l’idea dell’essere).
Allora come si spiega l’accusa di ontologismo rivolta a Rosmini? Per rispondere a questa domanda faccio ricorso al compianto Prof. Augusto Del Noce (1910-1989), che usa il termine ontologismo con un’accezione piú ampia, per designare una corrente filosofica cattolica, finora trascurata, che attraversa la modernità, prendendo le mosse da Cartesio e arrivando fino a Rosmini (una delle opere postume di Del Noce è appunto intitolata Da Cartesio a Rosmini, Giuffrè, Milano, 1992). Ebbene, secondo il grande filosofo cattolico, l’ontologismo cosí inteso ha come sua antitesi il neotomismo (da distinguere dal tomismo e da intendere come interpretazione del tomismo sorta in opposizione all’ontologismo). Per cui si comprende come Rosmini, appartenente a questa corrente “ontologista” in senso lato (anzi, costituendone in qualche modo il vertice), non potesse non diventare il bersaglio preferito del neotomismo. Per cogliere meglio la posizione di Del Noce, riporto questa sintetica e illuminante descrizione di Giulio Nocerino:
Rosmini è il pensatore in cui culmina la linea di pensiero filosofico-religioso, che, partendo da Cartesio, soprattutto dal Cartesio delle Meditazioni, attraverso Malebranche, Vico, il pensiero savoiardo (Gerdil), arriva fino a Gioberti, e che costituisce la dimostrazione del carattere composito della modernità, attraversata da una corrente calda teistica, trascendentistica e anti-immanentistica, profondamente segnata dal cattolicesimo e capace di dar vita ad un ontologismo non eterodosso, non esposto al rovesciamento in razionalismo, come ancora poteva accadere nel pensiero di Malebranche, o in panteismo. Rosmini, perciò, è il punto di partenza per una ricostruzione metafisica: la sua Teosofia, infatti, è il modello insuperato di dissociazione tra ontologismo e razionalismo, è l’opera per eccellenza dell’ontologismo moderno, cristiano e teista. L’ultimo Rosmini, quello della riflessione teosofica e dell’essere morale, diviene, per Del Noce, la vera antitesi filosofica e civile al prevalente pensiero idealistico moderno, la cui acme, attraverso la fondamentale sintesi hegeliana, si raggiunge con l’attualismo gentiliano, da un lato, e con il marxismo, dall’altro (A. Del Noce legge Rosmini. Le lezioni inedite alla “Cattedra Rosmini” [’82-’83], Lezione I: qui)
Per Padre Cavalcoli (al seguito di Cornelio Fabro), Rosmini «nel confrontarsi con Kant e con l’idealismo tedesco … è rimasto ingannato in buona fede dagli errori metafisici e gnoseologici dell’idealismo». Al contrario, per Del Noce, il rosminianesimo costituisce la vera antitesi al pensiero idealistico moderno.
A questa convinzione di Del Noce, che condivido in toto, aggiungo che, a mio parere, Rosmini va letto in continuità con la tradizione filosofica cattolica, non solo quella opportunamente messa in luce da Del Noce, ma anche quella precedente, in particolare con San Tommaso. L’interpretazione neotomista, che oppone Rosmini all’Aquinate, è quanto mai discutibile, perché fa del tomismo un sistema chiuso, non passibile di ulteriori sviluppi (e quindi un sistema morto); mentre il tomismo, quello vero, è un sistema aperto, capace di evolversi e di adattarsi ai tempi che cambiano. Personalmente vedo nel rosminianesimo proprio questo adattamento del tomismo — o, se si vuole, meglio ancora, della philosophia perennis — alla modernità.
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