Sta facendo molto discutere in questi giorni la sentenza dell’Alta Corte di giustizia di Londra del 20 febbraio scorso, con la quale si autorizzano i medici dell’Alder Hay Children Hospital di Liverpool a far morire il piccolo Alfie Evans sospendendo ventilazione e nutrizione.
La sentenza fa discutere anche perché in essa il giudice Hayden, per giustificare la sua decisione, fa riferimento, tra l’altro, al messaggio inviato da Papa Francesco il 7 novembre 2017 a Mons. Vincenzo Paglia e ai partecipanti al meeting regionale europeo della World Medical Association sulle questioni del “fine-vita”, organizzato in Vaticano unitamente alla Pontificia Accademia per la Vita (qui).
Senza voler entrare nel merito della questione, mi sembra opportuno riflettere su questo aspetto: un giudice si appella alle parole del Papa, per giustificare una decisione che va contro l’insegnamento morale della Chiesa. Come è possibile? Ciò che ha scritto il Santo Padre nel suo messaggio non è forse in linea col magistero della Chiesa? Sembrerebbe proprio di sí: se si va a leggere il testo, vi si trovano riferimenti al Catechismo della Chiesa cattolica, alla dichiarazione della CDF sull’eutanasia del 5 maggio 1980 e a un discorso di Pio XII del 1957. Dunque, il messaggio non fa che ribadire alcuni aspetti assodati della morale cattolica (forse si potrebbe discutere sull’affermazione che si trova verso la fine del messaggio: «In seno alle società democratiche, argomenti delicati come questi vanno affrontati con pacatezza: in modo serio e riflessivo, e ben disposti a trovare soluzioni — anche normative — il piú possibile condivise», ma lasciamo perdere). Eppure tale messaggio è stato utilizzato per autorizzare un gesto condannato dalla morale cattolica. Si è trattato di un abuso da parte del giudice o il messaggio costituiva effettivamente un assist per quella decisione?
Mi pare che si sia trattato, oggettivamente (a prescindere cioè dalle intenzioni, che non sta a me giudicare), di un assist. Perché? Perché nel momento in cui, nella società, si fa particolarmente acceso il dibattito sull’eutanasia, il Papa, in quel messaggio, anziché parlare di eutanasia, ha preferito parlare di... accanimento terapeutico. Non che la morale non debba porsi anche tale questione, ma non mi sembra che, in questo specifico momento, fosse questo il problema all’ordine del giorno. Certamente ciò che il Santo Padre dice a proposito dell’accanimento terapeutico è giusto, ma non è pertinente al dibattito in corso.
Qualcuno dirà: Ma il Papa nel suo messaggio riafferma anche il giudizio della Chiesa sull’eutanasia, «che rimane sempre illecita, in quanto si propone di interrompere la vita, procurando la morte». È vero; ma è detto quasi en passant, in un contesto dove si parla esclusivamente di accanimento terapeutico e di “proporzionalità delle cure”. Significativo pure il riferimento al Catechismo: questo dedica all’eutanasia quattro paragrafi (nn. 2276-2279); ma nel messaggio è citato solo il n. 2278, dove si parla, guarda caso, di accanimento terapeutico. Mi sembra ovvio che un messaggio del genere non potesse non fornire lo spunto per giustificare la decisione del giudice inglese.
Ho l’impressione che ci troviamo di fronte a uno dei casi previsti dallo stesso Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium:
A volte, ascoltando un linguaggio completamente ortodosso, quello che i fedeli ricevono, a causa del linguaggio che essi utilizzano e comprendono, è qualcosa che non corrisponde al vero Vangelo di Gesú Cristo. Con la santa intenzione di comunicare loro la verità su Dio e sull’essere umano, in alcune occasioni diamo loro un falso dio o un ideale umano che non è veramente cristiano. In tal modo, siamo fedeli a una formulazione ma non trasmettiamo la sostanza. Questo è il rischio piú grave (n. 41).
A volte, non basta ripetere affermazioni giuste in sé stesse, se poi tali affermazioni non sono inserite nel contesto piú appropriato o non vengono fatte al momento opportuno e senza tener conto di ciò che effettivamente potrebbero percepire i destinatari. Talvolta un “supplemento di prudenza”, forse, non guasterebbe.
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