Sembrerebbe che lo scandalo Lettergate si sia concluso con le (non del tutto convincenti) dimissioni di Mons. Dario Viganò. Durante lo svolgimento dell’affaire sono rimasto a guardare, tra il divertito e lo sconsolato. Ora che la vicenda sembra essere giunta al suo epilogo, senza tornarci sopra (è stato già fatto piú volte da altri e con grande competenza), vorrei fare un paio di veloci osservazioni marginali.
1. Se questi sono i risultati della grande riforma della Curia intrapresa cinque anni fa… aridatece Ottaviani! A parte le battute, quanto accaduto dovrebbe far riflettere sull’opportunità dell’accentramento di potere in corso. Che ci fosse bisogno di un coordinamento, era abbastanza evidente; ma pensare che i problemi della Curia si risolvessero con la creazioni di grandi carrozzoni e la scomparsa delle legittime autonomie è stata, diciamo, una grossa ingenuità. La concentrazione di tutti i media (Radio Vaticana, Osservatore Romano, internet, LEV, Tipografia Vaticana) nelle mani di un’unica persona si è rivelata una mossa piuttosto imprudente. In tal modo, l’errore di uno, finisce per mettere in crisi l’intero sistema.
2. Quel che è successo dovrebbe inoltre insegnarci che, per quanto i tempi cambino, ci sono alcuni valori che dovrebbero rimanere immutati. Viviamo in un’epoca in cui ciò che conta sembra essere l’immagine, l’efficienza, il successo, da raggiungere a qualsiasi costo, senza farsi troppi scrupoli. Nella gestione del potere, la spregiudicatezza, la spavalderia e il cinismo sembrano essere diventati la regola. Personalmente, sono sempre stato del parere che, per governare efficacemente, un pizzico di spregiudicatezza sia indispensabile. L’importante è ricordare che quel “pizzico” ha dei limiti, oltre i quali si sconfina nell’abuso e nell’arbitrio.
Purtroppo, si ha l’impressione che la tendenza, divenuta comune nella società, abbia ormai fatto breccia anche nella Chiesa. L’attuale classe dirigente, composta spesso di giovani monsignori rampanti, sembrerebbe ricalcare le orme degli odierni gestori della cosa pubblica. Va detto che, se lo fanno, è perché c’è chi glielo lascia fare. L’attuale Pontefice, in questo senso, non solo si mostra molto tollerante, ma spesso non dà il buon esempio. Nell’intervista rilasciata alla Civiltà Cattolica (n. 3918, 19 settembre 2013, p. 451), Papa Francesco affermava: «Posso dire che sono un po’ furbo, so muovermi». Se alla naturale astuzia si aggiungono le “restrizioni mentali” apprese alla scuola gesuitica, si capisce che ne può derivare un comportamento non sempre edificante. È rimasta famosa la rivelazione, mai smentita, dell’Arcivescovo Bruno Forte a proposito della gestione del Sinodo sulla famiglia: «Se parliamo esplicitamente di comunione ai divorziati risposati, questi non sai che casino ci combinano. Allora non parliamone in modo diretto, tu fai in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò io» (qui). Con queste premesse, è evidente che tutti si sentano autorizzati a fare di meglio e di piú… La vicenda della lettera dovrebbe appunto insegnare che a tutto c’è un limite, oltre il quale anche i nostri contemporanei, pur cosí smaliziati, istintivamente si ribellano e, a un certo punto, ti costringono a fare un passo indietro. È successo in Italia con Renzi; ora succede in Vaticano con Viganò.
Sarebbe forse il caso di riscoprire certe “virtú umane”, un tempo tanto raccomandate (e oggi altrettanto trascurate): correttezza, serietà, onestà, sincerità, lealtà, fedeltà alla parola data, rispetto delle persone, umiltà di chiedere scusa, disponibilità a pagare di persona, onore, riservatezza, cortesia, modestia, buone maniere... Molti pensano che tali virtú siano passate di moda; in realtà, esse continuano a essere indispensabili, se si vuol vivere insieme. Il Concilio afferma, a questo proposito, che, senza di esse, «non ci può essere neanche vera vita cristiana» (Apostolicam actuositatem, n. 4). Al tempo di Berlusconi presidente, si era coniata l’espressione “decoro istituzionale”, finita presto in soffitta dopo la sua caduta in disgrazia. Beh, forse sarebbe il caso di rispolverarla e rimetterla in circolazione anche in ambito ecclesiastico.
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