Mentre ci stringiamo tutti intorno al Santo Padre in questo momento difficile — per altro ampiamente previsto — registriamo oggi con piacere la pubblicazione di due rilevanti contributi, che inviterei i lettori a leggere per intero. Si tratta di altri due tasselli da aggiungere al “mosaico” che abbiamo incominciato a comporre con l’ultimo post di questo blog. Entrambi gli interventi sono apprezzabili, perché si fondano su dati certi: riportano delle statistiche difficilmente contestabili. In un momento di confusione come quello attuale, mi sembra importante fare riferimento anche ai numeri, perché altrimenti si rischia di perdere di vista la reale consistenza dei fenomeni di cui si sta parlando.
Il primo contributo è l’intervento di Massimo Introvigne, che analizza ciò che sta accadendo in questi giorni da un punto di vista scientifico. L’autore descrive il fenomeno facendo ricorso alle categorie della sociologia. Mi sembra un approccio molto utile, per capire che cosa c’è dietro ai titoli che leggiamo sui giornali. Alle riflessioni di Introvigne, che sottoscrivo al cento per cento, aggiungerei solo alcune osservazioni sulla vicenda Regensburg, costruita praticamente sul nulla. I casi che sono stati portati, per dimostrare gli abusi avvenuti nel coro del Duomo, si riferivano agli anni Cinquanta-Sessanta: ciò significa che le vittime sono ora cinquantenni-sessantenni; i responsabili erano noti, erano stati già processati e condannati, e sono già morti. Perché tirare fuori proprio ora questi casi? In secondo luogo, avete notato come si sia giocato sull’equivocità del termine “violenza”, equiparando negli articoli un ceffone a una violenza sessuale? Si tratta di tecniche per creare, appunto, un “panico morale”.
Il secondo contributo è l’intervista, pubblicata oggi su Avvenire, con Mons. Charles J. Scicluna, promotore di giustizia della Congregazione per la dottrina della fede. Anche in questo caso mi sembra che si tratti di un contributo importante, perché rende noto come si muove la Chiesa; apre uno squarcio su quell’ordinamento canonico, di cui si parlava la volta scorsa. Fino ad ora l’idea che ci si è fatta attraverso i media è che i casi di pedofilia siano stati sempre e solo “coperti” e “insabbiati” dai Vescovi, i quali si sarebbero limitati a trasferire i preti coinvolti da una parrocchia all’altra, moltiplicando cosí gli abusi. Ci sono senz’altro stati anche questi casi, ma l’intervista ci manifesta l’altra faccia della medaglia: gli interventi canonici che ci sono stati in questi anni e la procedura che solitamente viene seguita in simili circostanze.
Ho voluto citare questi interventi, perché credo che possano essere utili a tutti, in questo momento, per non farci prendere dal panico e mantenere la calma e il sangue freddo, necessari in questi casi. È molto importante, nei momenti difficili, non reagire in maniera scomposta, sull’onda delle emozioni indotte dai media: il rischio è quello di commettere gravissimi errori e ingiustizie. Che ci debba essere collaborazione con le autorità civili, mi pare piú che ragionevole; ma non mi sembrano assolutamente fuori luogo (quasi fossero tentativi di frenare l’opera di pulizia intrapresa da Benedetto XVI) i richiami di chi ci rammenta che anche il peccato di pedofilia può essere assolto (e che non si può in nessun caso infrangere il sigillo sacramentale) o di chi ribadisce che «lo scandalo degli abusi va affrontato seguendo rigorosamente il diritto canonico» (si veda l’articolo di Giacomo Gaelazzi per La Stampa). Che il diritto canonico possa cambiare, è fuor di dubbio (lo stesso Mons. Scicluna sembrerebbe auspicarlo); ma scavalcarlo o ignorarlo, potrebbe essere estremamente pericoloso.