Sandro Magister pubblica oggi sul sito www.chiesa il testo della conferenza tenuta ieri sera a Houston dall’Arcivescovo di Denver Charles J. Chaput su “La vocazione dei cristiani nella vita pubblica americana”. Si tratta di un documento che merita di essere letto. Ne parlo qui perché si ricollega a un punto da me toccato nel post della settimana scorsa. Se ricordate, scrivevo: «Si è partiti con l’idea — di per sé positiva — di laicità dello Stato; dalla rivendicazione di una legittima autonomia dello Stato dalla Chiesa, si è poi passati a quella di indipendenza e di totale separazione; poi si è proceduto al graduale smantellamento di quella cultura e di quel patrimonio di valori morali, che erano alla base della convivenza civile». Mi riferivo alla situazione italiana; ma, a quanto pare, il discorso vale anche, e forse in misura maggiore, per gli Stati Uniti. Questo paese è sempre stato una democrazia, che presupponeva un sistema di valori fondati sulla religione cristiana (sia pure protestante); a un certo punto, secondo l’interessante analisi del prelato americano, è stato introdotto surrettiziamente il principio di separazione fra Stato e Chiesa, estraneo alla tradizione americana, che ha portato alla situazione attuale.
Non entro nel merito della questione storiografica delle responsabilità del Presidente Kennedy. Certo, si tratta di una questione di estremo interesse; ma non ho gli elementi per pronunciarmi. Apprezzo però il coraggio, l’anticonformismo, la parrhesia, con cui si esprime Mons. Chaput. Confesso che lo conoscevo molto superficialmente, senza aver mai letto nulla di suo. Questa conferenza è stata per me una rivelazione: sono rimasto molto bene impressionato da questo Vescovo di origini indiane. Sembra quasi che ci troviamo di fronte a una nuova generazione di Vescovi, su cui la Chiesa può fare affidamento.
E questo mi porta a fare una ulteriore riflessione. Recentemente lo stesso Magister si soffermava sulle tensioni che si sarebbero create tra la Segreteria di Stato e alcuni episcopati nazionali (vedi qui): non solo quello italiano, ma anche quello brasiliano (per la questione della bambina costretta ad abortire) e quello statunitense (per l’atteggiamento da tenere nei confronti della presidenza Obama).
Ebbene, mi veniva da fare la seguente riflessione. Nel passato Roma si trovava a fronteggiare episcopati che spesso ne contestavano l’insegnamento dottrinale e morale: in Europa motivo del contendere era soprattutto la contraccezione; in America Latina, la teologia della liberazione. Gli anni del pontificato di Giovanni Paolo II sono stati quelli in cui ci si è sforzati di procedere a un ricambio dei Vescovi, in modo da avere un episcopato in linea col magistero pontificio. Non è stato facile: ancora ci sono casi di singoli presuli o di intere conferenze episcopali che fanno fatica ad allinearsi con Roma; ma, in generale, si può dire che le Chiese locali siano in comunione con gli insegnamenti pontifici in materia morale, specialmente per quanto riguarda la difesa della vita. Anzi, si direbbe che in qualche caso (come, per esempio, negli Stati Uniti) si sia creata una sensibilità ignota alle Chiese europee.
Appare quindi quanto meno singolare che ora la Santa Sede si trovi ad avere problemi proprio con quei Vescovi e quegli episcopati che hanno fatto della difesa della vita la loro bandiera. Invece di essere contenti che esistano certi Vescovi, li si critica. Sono d’accordo che in tutte le cose, e quindi anche nella difesa della vita, c’è bisogno di equilibrio; ma sono altrettanto convinto che, nelle situazioni locali, gli unici qualificati a discernere sull’opportunità di certi interventi sono i Vescovi del luogo, che conoscono a fondo la situazione. Come dicevo in altra occasione, il fatto di stare a Roma non è di per sé garanzia di infallibilità: il dogma dell’infallibilità riguarda esclusivamente il Sommo Pontefice quando si pronuncia ex cathedra in materia di fede e di morale; i dicasteri della Curia Romana — men che meno la Segreteria di Stato — non godono della medesima prerogativa: loro compito è, semmai, quello di promuovere la comunione fra la Sede di Pietro e le Chiese particolari. Per non parlare dello scandalo che potrebbe provocare nei fedeli anche il solo sospetto che Roma, alla difesa dei principi, preferisca la politica e la diplomazia.